Andrea Masullo e la questione energetica


Sviluppo sostenibile e utopia possibile

«La questione energetica esiste, ma non è un problema di scarsità di risorse»

TI PIACE QUESTO ARTICOLO?

Iscriviti alla nostra newsletter per essere sempre aggiornato.

 

Le tecnologie Ict hanno permesso l’evoluzione delle reti energetiche e del mercato elettrico. La crisi economica, però, ha determinato una brusca frenata sugli investimenti del settore e ha riacceso il dibattito sul sistema energetico e sulla questione ambientale e climatica. La crisi ha prodotto naturalmente una contrazione della domanda di energia e una conseguente riduzione dei prezzi. Questo fatto – da un lato – ha contratto i consumi di fonti fossili e di conseguenza le emissioni di CO2 – dall’altro – ha reso le fonti fossili più concorrenziali rispetto alle tecnologie per l’efficienza energetica, minando quindi quel processo di cambiamento del sistema energetico.

Isaac Asimov scriveva: «In ogni secolo gli esseri umani hanno pensato di aver capito definitivamente l’universo e, in ogni secolo, si è capito che avevano sbagliato».

Negli anni Trenta, Rutherford, padre della fisica nucleare dichiarò: «Chi crede che la trasformazione dell’atomo fornirà energia, dice una stupidaggine».

Gli scienziati che, oggi, invocano costose misure per ridurre le emissioni di CO2 ed evitare il riscaldamento globale antropogenico potrebbero commettere lo stesso errore di valutazione?

Il famoso matematico John von Neumann, padre della teoria dei modelli climatici GCM (General Circulation Models), aveva previsto che nel 1980 i computer sarebbero stati così veloci da prevedere il clima con anni di anticipo. Attualmente, i computer sono milioni di volte più veloci di quanto egli avesse mai potuto prevedere, ma il clima futuro rimane un’equazione con troppe variabili da calcolare. Dunque, se gli schemi su cui si basano i modelli climatici non sono validabili è ragionevole invocare un principio di precauzione estremo e in quali termini possiamo affrontare la questione energetica? Lo abbiamo chiesto ad Andrea Masullo, ingegnere elettronico, docente di Teoria dello Sviluppo Sostenibile all’Università di Camerino e responsabile dell’unità Clima e Energia del WWF Italia.

Autore di molti articoli e libri sui temi dell’ambiente (“La terra è casa tua” ed. Ancora, 2008 / “La sfida del bruco” Franco Muzzio Editore, 2008), Andrea Masullo, con la sobrietà che lo contraddistingue ricorda a tutti, sulla base di una conoscenza impeccabile dei dati scientifici, che «la storia dell’universo è una storia di energia che si degrada e di materia che si organizza creando complessità ed efficienza. È una storia paradossale di ordine propagante che avrà fine nel disordine totale». E noi facciamo parte di questa storia.

Leggi anche:  Start up innovativa bolognese brevetta un sistema di sensori per monitorare la qualità dell’aria indoor

 

Data Manager: Esiste una questione energetica?

Masullo: La questione energetica esiste, ma non è un problema di scarsità di risorse. Nel mondo, non ci sarà mai scarsità di energia, né scarsità di acqua. Mancano invece le politiche di gestione coerenti e lungimiranti di tali risorse. È questo che provoca le crisi, provoca l’emergenza. Parlare di questione energetica slegandola dalla problematica dello sviluppo globale è un modo per non affrontare il problema. La questione energetica è un aspetto dello sviluppo basato sulla crescita senza limiti. Per affrontarla in modo corretto è necessario cambiare i nostri fondamentali. È necessario progettare con la politica uno sviluppo più equo. L’individualismo e il consumismo consumano l’uomo e la sua umanità. La grande illusione del Novecento è stata quella di credere di potere crescere in maniera indefinita. Sostenibile non è solo un aggettivo aggiunto alla parola sviluppo, ma significa progettare un futuro in grado di accogliere tutti e non costruito a spese di altri o delle generazioni future. Come la ricchezza prodotta anche l’energia che è utilizzata dalla specie umana non è distribuita in modo omogeneo. Secondo l’Ocse l’occidente industrializzato consuma cinque volte la quota di energia dei Paesi in via di sviluppo.

 

Nulla si crea e nulla si distrugge?

Dove c’è energia che fluisce, c’è sempre la possibilità di porre un vincolo che ostacoli il flusso per imprigionare l’energia e trasformarla in lavoro per modificare l’ambiente, creando nuove opportunità di catturare altra energia e operare nuove trasformazioni, costruendo nuovi scenari evolutivi. L’universo, secondo la teoria del Big Bang, ha origine circa 15 miliardi di anni fa. In quell’istante si sprigiona un’enorme quantità di energia che inizia a fluire verso un lento degrado, fino a raggiungere, in futuro, il massimo livello di entropia e la fine della sua esistenza.

Leggi anche:  CRIF21 e BOOM: spazi innovativi e all’avanguardia in cui la tecnologia svolge un ruolo sinergico con le persone

 

Dunque, in ogni nostra attività, contribuiamo a consumare parte di quell’energia originaria?

Sì certo, sin da quel primo istante, quando la diversità atomica era minima, e via via gli atomi di idrogeno e di elio hanno cominciato a fondersi creando nuovi atomi. Questi hanno cominciato ad aggregarsi formando nuove molecole, le molecole hanno cominciato a unirsi formando organismi, in grado ogni volta di catturare nuovi flussi di energia e attraverso di essi trasformare l’ambiente e questo continua anche oggi. La storia dell’universo è quindi una storia di energia che si degrada e di materia che si organizza creando complessità ed efficienza.

 

Allora è lecito chiedersi quanta energia abbiamo a disposizione per continuare a esistere ed evolverci?

Finché non impareremo ad andare in giro per l’universo a catturare altri flussi di energia, avremo a disposizione quella quota dell’energia di formazione del sistema solare che da circa cinque miliardi di anni è presente sul nostro pianeta o è irradiata dal sole.

Se nulla si crea e nulla si distrugge, quando facciamo bollire l’acqua sul gas e poi la lasciamo raffreddare non sarà possibile raccogliere il calore disperso nella stanza per far bollire di nuovo l’acqua.

 

I cambiamenti climatici sono già in atto o non c’è nessun allarme?

Il debito ecologico che abbiamo accumulato è come la polvere sotto il tappeto. Fare qualcosa per invertire la rotta costa, non fare costa molto di più. Bisogna contenere il riscaldamento sotto i due gradi centigradi di aumento e ridurre le emissioni di gas serra del 60-80% entro il 2050.

 

Si può risolvere il problema energetico ricorrendo a vento, sole e geotermico per soddisfare tutta la domanda di elettricità?

Leggi anche:  Neuralink installerà il suo chip su un secondo paziente

Evidentemente no. S’ignora che l’energia elettrica in Usa e in Italia è solo il 13% dell’energia totale. Il consumo annuo pro capite medio di energia USA è di 7,9 TEP (Tonnellate Equivalenti di Petrolio, ndr), quello italiano è di 3,1 TEP.

Il costo di installazione del kW fotovoltaico è 5 volte più alto di quello di centrali idro o termoelettriche. La situazione cambierà se il rendimento salirà dal 15% attuale al 75%, ma oggi l’idea non è realistica. Si possono più realisticamente dimezzare i consumi invece di perseguire soluzioni illusorie. Certo è bene sfruttare eolico e solare che, però, sono discontinui: dunque va accumulata l’energia prodotta.

 

L’allarme ambientale e l’emergenza energetica sono i fattori che hanno contribuito allo sviluppo delle fonti energetiche alternative?

L’espansione degli investimenti nelle clean energy technologies e nei modelli di generazione distribuita è scaturito non solo dai problemi che le questioni della sicurezza energetica e del cambiamento climatico hanno sollevato con urgenza, ma anche dal contestuale delinearsi di nuove opportunità tecnologiche da sfruttare in ambiti non ancora adeguatamente esplorati. All’incremento del volume di investimenti nel settore, hanno, infatti, contribuito in misura crescente le spese collegate alle tecnologie per la produzione di energia da fonti rinnovabili, che nel 2008 sono arrivate a rappresentare più dei 3/4 degli investimenti totali sorpassando, per la prima volta, le spese di investimento in tecnologie per l’uso di fonti fossili con 140 contro 110 miliardi di dollari.

 

E l’Italia?

L’Italia deve impegnarsi a correggere, con politiche industriali più ampie, la distorsione che caratterizza la specializzazione del proprio sistema produttivo. Azioni mirate esclusivamente alle clean energy technologies, ma non inserite in un disegno omogeneo, rischierebbero di vanificare gli sforzi di qualunque intervento pubblico. L’Italia “consuma” innovazione, ma non la produce, questo fatto potrebbe compromettere sul nascere qualunque rivoluzione energetica e mettere a repentaglio le possibilità di crescita dell’intero sistema economico.