Dopo un percorso di pioniere della digitalizzazione del modo di fare affari, Riccardo Donadon, di H-Farm, vuole far leva sull’associazionismo e la condivisione delle esperienze per promuovere l’imprenditorialità high-tech tra le nuove generazioni
Riccardo Donadon è uno dei pochi visionari che hanno saputo interpretare in modo concreto il ruolo di “serial entrepreneur” in campo high-tech fuori dall’eldorado californiano. Trevigiano, studente del liceo classico e successivamente della mitica facoltà di psicologia di Padova (dove un tempo finivano tutti i futuri psicologi del Nord Italia), Donadon si mette a lavorare presto e nel 1995 si trova a elaborare, per conto di Benetton, un pionieristico progetto di mall virtuale. Tre anni dopo, nasce la società E-tree, che nel 2001 verrà acquisita da un’altra iconica fucina italiana del software di alto livello, la Etnoteam del “prof” Roberto Galimberti. Nel 2005, dopo un periodo sabbatico, Donadon riparte con H-Farm, una azienda-incubatore il cui “campus” sulla laguna di Venezia è diventato famoso in tutta Italia nel settembre scorso, per aver ospitato il secondo “Italia Startup Open Day”, con l’autorevole presenza dell’allora ministro Corrado Passera ripreso dalle telecamere impegnato a prendere appunti per i suoi progetti di legge a favore della cosiddetta Crescita 2.0.
L’iniziativa è stata promossa da Italia Startup (www.italiastartup.it), l’ultima operazione presieduta da Riccardo Donadon e H-Farm per la promozione di nuovi modelli di impresa – giovani e tecnologici – e delle loro forme di finanziamento innovative. A pochi mesi dalla sua fondazione, avvenuta nel 2012, Italia Startup è riuscita ad aggregare più di cinquanta organizzazioni, tra startup, incubatori, investitori e aziende, coinvolgendo oltre duecento persone fisiche, tra startupper, studenti, ricercatori e manager. A fine marzo, Donadon ha annunciato l’ingresso di altre nove imprese (tra le quali Club Italia Investimenti 2, il primo investitore privato aderente, RCS MediaGroup, Tiscali, Coffeemesh, KlariceStore, iPress, SmartStop, Starteed e l’incubatore Vega) in quella che può essere ormai definita come l’unica associazione italiana indipendente e no profit dedicata all’universo delle startup.
DARE VALORE ALLE IDEE
«Italia Startup è l’associazione che riunisce tutti coloro che credono profondamente nel rilancio del nostro Paese» – aveva dichiarato Donadon in quella occasione. «Nel darle forma pochi mesi fa, abbiamo voluto coinvolgere un ecosistema molto variegato e composto da nuove imprese innovative, da incubatori e acceleratori di startup, da investitori, da aziende e da enti che credono nello sviluppo imprenditoriale dell’Italia».
L’impegno di Italia Startup – ha aggiunto Donadon – «è quello di far conoscere e valorizzare le giovani iniziative imprenditoriali, avvicinandole al mondo della grande impresa italiana, oltre che agli investitori internazionali e nazionali, per rafforzare e rendere più competitivo l’intero ecosistema italiano. Allo stesso modo, vogliamo promuovere iniziative di formazione, di conoscenza, di scambio di esperienze, di condivisione di modelli di business innovativi, per sostenere chi ci vuole provare e per dare opportunità di cambiamento a tutto il sistema economico e industriale». Del resto, iniziative, incontri e occasioni di dibattito non sono mai mancate nella galassia che ruota intorno a Donadon. In aprile, sempre in H-Farm, si è tenuta (dopo il debutto del 2010) la seconda edizione dello Startup Weekend. Esteso a centocinquanta ospiti tra imprenditori, sviluppatori software, appassionati di business e geeks, questa sorta di realistico gioco-simulazione di 54 ore consiste in una sfida molto particolare. Il team dei partecipanti si riunisce per concepire e delineare, in soli tre giorni, un progetto imprenditoriale completo. Già organizzato in più di duecento città in tutto il mondo, lo Startup Weekend ha anch’esso l’obiettivo di promuovere il networking tra geeks e imprenditori per la realizzazione di progetti innovativi.
Di Italia Startup e delle sue finalità abbiamo parlato con il segretario generale, Federico Barilli, arrivato alla segreteria dell’associazione dopo una lunga esperienza in Assinform e Confindustria Digitale. Secondo Barilli, il primo obiettivo di Italia Startup è svolgere un’azione di collegamento con il contesto istituzionale, rappresentato dai governi centrale e locali, «sui temi riguardanti lo sviluppo delle startup nel nostro Paese, inclusi i regolamenti attuativi, vedi per esempio il crowdfunding».
Nei confronti delle startup associate, lo scopo è anche quello di erogare servizi: visibilità, networking, accesso ai finanziamenti, convenzioni con società di servizi, istruzioni per l’uso sui recenti provvedimenti legislativi, comunicazione e così via, nonché facilitare il dialogo tra industria consolidata e nuove imprese innovative.
L’ECOSISTEMA DELLE STARTUP
I soci dell’associazione sono rappresentativi dell’intero ecosistema delle startup. A Italia Startup possono quindi accedere persone fisiche (inclusi i soci junior, cioè gli studenti) e vere e proprie organizzazioni, come startup e incubatori, investitori, aziende». Anche se Barilli sottolinea come le startup siano il “core” dell’associazione, «gli altri soggetti sono a supporto del loro sviluppo e ne sostengono la crescita, sia a livello nazionale, sia internazionale». L’obiettivo, anche per l’Italia, come è già in altri Paesi, «è quello di dare vita a dei “champions” che riescano a essere competitivi sui mercati mondiali, auspicabilmente – sottolinea Barilli – nei settori più tipici del Made in Italy».
A proposito dell’ormai celebre incontro di settembre in H-Farm, abbiamo chiesto a Federico Barilli come vengono giudicate le azioni già intraprese dal governo Monti e quali dovrebbero essere quelle da implementare nel segno della loro continuità. Per il segretario generale di Italia Startup, il giudizio è positivo. «Le azioni intraprese dal governo Monti hanno colmato una grave lacuna di politica industriale e hanno fornito un indirizzo legislativo e strategico di cui il prossimo Governo non potrà non tener conto. Per completare il quadro normativo, sarebbe opportuno dare pieno sviluppo al crowdfunding e, soprattutto, attivare il cosiddetto “fondo dei fondi” secondo modelli già esistenti in altri sistemi (vedi per esempio la Germania) in modo da sostenere, con garanzie pubbliche, gli investimenti privati promossi da soggetti idonei e certificati».
Tra le carenze sistemiche che Barilli mette in evidenza e su cui Italia Startup potrebbe lavorare in futuro con progetti ad hoc, c’è il problema della “formazione” del giovane imprenditore. «C’è bisogno di fare più formazione al “fare impresa”. Fin dal livello delle scuole superiori, soprattutto quelle tecniche. Sono ancora troppi gli studenti che pensano a cercare lavoro invece di pensare a crearlo». E la responsabilità è anche molto in capo agli attuali processi formativi, inclusi quelli universitari». Per quanto riguarda i settori che i “makers” dell’Italia digitale dovrebbero esplorare, ci sono ovviamente gli ambiti della mobilità, del cloud e dei servizi connessi alle smart city e alla sanità digitale. Federico Barilli – però – preferisce evitare una visione troppo settoriale. «Non intendiamo rappresentare solo il mondo del digitale, ma il mondo dell’innovazione e delle startup in ogni settore industriale».