Uomini, macchine, strumenti e agenti. Nel gioco delle parti, non si finisce mai di stupirsi. Soprattutto non si smette mai di rimanere sorpresi di essersi sbalorditi. Mentre le parole ingarbugliano il ragionamento, vale la pena fermarsi e cercare di mettere a fuoco l’obiettivo della chiacchierata di questo mese
Siccome è impossibile prescindere dagli eventi che segnano violentemente la cronaca e che sono destinati a marcare in maniera indelebile persino la storia, stavolta parliamo di Eddie. La pagina è dedicata a lui, Edward Snowden. E’ il protagonista del “Datagate” e l’erede di Julian Assange sul palcoscenico mediatico che – quasi fosse un’inesauribile cornucopia – continua a riversare sorprese sul fronte dei segreti internazionali. Parlando con un amico, autorevole personaggio di spicco dell’intelligence, mi sono sentito dire che Eddie era l’ultima spia in carne e ossa.
L’affermazione era frutto di una serie di considerazioni inquadrate in un contesto in continuo fermento e in cui le tecnologie poco alla volta si sostituiscono agli esseri umani in tante attività in cui l’automazione e le comunicazioni elettroniche possono esprimersi al meglio. Il gran parlare di computer e programmi di onnipotenti capacità ha portato molte persone – anche del mestiere – a immaginare che le “macchine” siano destinate a soppiantare le human resources più qualificate.
Sono i grandi apparati di elaborazione a custodire i dati, a setacciare quelli di interesse, a incrociare le informazioni. Questa circostanza fa sbiadire il ruolo, invece nevralgico, della vasta pletora di individui che a diverso titolo continuano ad assolvere il ruolo fondamentale delle attività di ricerca, analisi e impiego di notizie ed elementi di conoscenza.
Ci è cascato anche il mio amico che – forse distratto – si è lasciato trascinare da una pericolosa deriva: lo sminuire il ruolo dell’uomo nel variegato orizzonte del cosiddetto “spionaggio”. Come lui, sono in tanti a individuare hardware, software e reti al centro del sistema, dimenticando che il vero anello debole è quello dell’insider ancor più del pirata digitale o dell’hacker militarizzato di certe realtà geografiche ben definite.
A dimostrazione che i “whistleblowers” – in altre parole, quelli che fanno le soffiate – sono la vera calamità, è arrivato un altro tizio che ha subito smentito la categorica dichiarazione del mio conoscente. Mentre tutti si stavano agitando per conoscere le sorti di Snowden, prigioniero dell’aeroporto di Mosca, come il protagonista del film The Terminal, è saltato fuori Wayne Madsen e le sue ciance sulle intercettazioni americane in danno dei diplomatici alleati. In entrami i casi, Snowden e Madsen, le “macchine” non hanno svelato alcunché. Hanno fatto solo il loro mestiere di “strumenti”. E qui, finalmente, si arriva a parlare di sicurezza. Le misure tecniche di protezione non sono state certo oggetto di violazione. E allora, se non ci sono state falle nei sistemi, come può esser capitato lo scandalo del moderno Grande Fratello?
Quel che sta filtrando è l’evidente segno di una carenza organizzativa e culturale. L’aver considerato poco i rischi connessi alla gente che gravita attorno a segreti e cose riservate è il presupposto degli eventi di cui siamo spettatori. La sicurezza comincia con la selezione degli incaricati nelle posizioni maggiormente delicate. La sicurezza continua con la costante osservazione degli stati d’animo e dell’umore di chi gravita attorno al patrimonio informativo. Basta nulla per frantumare le più inossidabili precauzioni hi-tech: rabbia e insoddisfazione sono più pericolosi di un mitra. Quanti si sono mai posti questo genere di problema? Quanti hanno mai privilegiato l’aspetto umano? Le vacanze estive possono esser l’opportunità per riflettere in proposito. Nel frattempo chissà quanti nuovi insospettabili avranno svelato altri misteri e confidenze inconfessabili…