Il contesto normativo non solo stimola l’adozione di soluzioni open source nella PA ma lo impone: un’evoluzione che si rivela strategica per ogni ente
Finalmente dopo molti anni in cui se ne parla, il software open source è entrato nella pubblica amministrazione e si contano già numerosi casi di successo che oltre a consentire ingenti risparmi economici, garantiscono allo stesso tempo anche miglioramenti in termini di efficacia ed efficienza. Ne abbiamo parlato con Paolo Storti, fondatore di Studio Storti (www.studiostorti.com), società leader in questo segmento di mercato, che a partire dal prossimo numero racconterà l’evoluzione di questo mondo in una rubrica dedicata.
Data Manager: Qual è lo stato dell’arte dell’adozione del software open source nella PA?
Paolo Storti: In questi ultimi anni, abbiamo assistito a una modifica sostanziale dell’approccio al mondo open source da parte delle pubbliche amministrazioni italiane.
Nel 1997, quando iniziai a occuparmi di questa tematica e fino ai primi anni 2000, l’approccio era orientato a una visione di tipo sperimentale e pionieristico, e onestamente anche l’offerta del tempo era classificabile come tale. Vi erano molti progetti molto ben strutturati e tecnicamente validi, ma con una scarsa attenzione all’esperienza utente e alla semplicità di utilizzo che rimanevano prerogative del software commerciale, relegando il mondo dell’open source ai soli tecnici.
Nella seconda metà degli anni 2000, è iniziata la vera rivoluzione dell’offerta open source orientata a creare prodotti non solo paragonabili ai simili prodotti commerciali, ma puntando spesso a superarli in funzionalità e in semplicità di utilizzo. Anche in questa fase – però – l’attenzione è stata troppo puntata sulla gratuità del software, spingendo il concetto di “Free Software” come software gratuito, insinuando così spesso anche il dubbio di una sua più scarsa qualità.
Il grosso obiettivo raggiunto oggi dal software open source nelle PA è quello di riuscire a passare inosservato o “dato per scontato”. Questa fase quindi segna la fine dell’era dei tecnici e l’inizio di un approccio orientato all’utente che l’utente stesso vive con naturalezza.
La normativa italiana è adeguata?
Il periodo che stiamo vivendo è ricco di fermento e di interesse attorno al tema delle soluzioni open source con la presa di posizione anche delle istituzioni, un pò per la raggiunta maturità del mercato e dell’offerta e un pò per le stringenti politiche di spending review in cui ci troviamo.
Il Codice dell’Amministrazione Digitale, già in vigore dal 2005 e rafforzato nel 2012 dal governo Monti, chiarisce come la scelta di prodotti open source sia obbligatoriamente da preferire alle soluzioni proprietarie. Il concetto è approfondito anche dall’Agenzia per l’Italia Digitale che ha emanato una circolare (63/2013) in cui definisce come debba essere fatta la comparazione tra le soluzioni.
L’unico problema che posso riportare in questo periodo è legato alla disponibilità del software stesso. In alcuni campi, il software open disponibile è di alta qualità, fortemente presente, referenziato e ottimamente assistito da aziende e community. Di contro, in alcuni campi applicativi completamente scoperti è presente un’offerta non paragonabile per qualità o supporto alle equivalenti commerciali.
Qual è la situazione del mercato?
Il mercato delle soluzioni open source ha una storia travagliata e – negli anni passati – abbiamo assistito alla rincorsa di prodotti proprietari allo scopo di dimostrarne almeno l’equivalenza tecnica e la convenienza economica. Oggi, la situazione è capovolta, la superiorità tecnica in molti campi è certificata e la sua preferibilità da un punto di vista normativo è chiara pur mantenendo sempre un profilo di costo complessivo nettamente più conveniente. Il punto più spinoso di questo mercato è la polverizzazione della sua offerta in una miriade di micro società locali con poca focalizzazione e scarse risorse. Gli ultimi dati disponibili evidenziano – infatti – come, più del 95% dell’offerta, sia effettuata da società con meno di cinque addetti. Studio Storti si posiziona come caso di particolare interesse in quanto si può far forte di una serie di record assoluti: opera solo nel settore dell’open source per la pubblica amministrazione da più di 15 anni; è specializzata solo su tre aree di business ben definite; è la più grande azienda italiana nel settore dell’open source per la pubblica amministrazione sia come numero di addetti sia come numero di clienti; gestisce soluzioni open source per più di 300 enti pubblici in Italia.