A Torino nasce il social network verticale che fa leva sull’attività fisica. Ispirato al modello di Facebook, We-Sport vuole diventare il portale italiano – e non solo – degli sport minori: quelli che non riescono mai ad avere la visibilità che meritano. Per diffonderli, ma anche per consentire ai loro praticanti di potersi incontrare più facilmente. Tutt’intorno, una pletora di opportunità commerciali e di crescita sociale
Li chiamano sport “minori” e spesso lo sono davvero. Chi ha mai sentito parlare, in Italia, della passione per il “boomerang sportivo”? All’incrocio tra attività fisica (di per sé un’abitudine piuttosto rara da queste parti), social network e coda lunga di Internet, circa tre anni fa Marco Ivaldi – allora Ph.D. candidate in sistemi complessi in medicina – crede di individuare una nicchia di opportunità interessante. «L’obiettivo – racconta a Vision Marco Iacuaniello, socio fondatore della We-Sport (www.we-sport.com), incaricato del lato finanziario-amministrativo della startup – era proprio quello di dare visibilità a sport che non fossero il solito calcetto o il basket. Insieme a Marco e a Aurelian Vacariuc, che si occupa dello sviluppo software, abbiamo presentato il progetto alla Suism, la Scuola universitaria interfacoltà Scienze Motorie dell’Università di Torino. La cosa piacque e, anche grazie allo stimolo avuto da Top-ix Piemonte, siamo partiti. Nel settembre del 2009 è stata infine costituita la società come spin-off universitario e il Suism come socio».
We-Sport è un piccolo Facebook degli sport meno praticati. Uno di questi, per l’appunto, è il boomerang sportivo, presente accanto al “normale” boomerang, ma con tutta un’altra filosofia, a quanto dicono gli appassionati del genere. Gli iscritti al social network – al momento sono previsti due profili, “sportivo” e “professionista”, ma l’iniziativa, spiega Iacuaniello, è molto aperta al terzo settore e presto nascerà anche la categoria delle onlus – si scambiano informazioni e notizie, ma soprattutto si danno appuntamento per praticare insieme i loro hobby sportivi preferiti. La galassia di We-Sport al momento è molto focalizzata sulle aree metropolitane, in particolare l’area torinese e delle altre città importanti del Piemonte. «Un po’ perché gli impianti di solito si trovano nelle città e poi perché in provincia continua a pesare il fattore digital divide», ammette Iacuaniello. Ma il modello ha tutte le intenzioni di ampliarsi, diventando sempre più capillare sul territorio italiano e possibilmente esportando l’interfaccia anche nelle altre lingue, per dare l’opportunità agli sportivi europei di sfruttare, in uno spazio fisico più grande, questa nuova piattaforma di comunicazione e aggregazione virtuale. L’obiettivo originario, seguire l’esempio di Facebook per arrivare col tempo a creare il più importante progetto di network sportivo al mondo, è forse ambizioso. Ma il potenziale interesse nei confronti di un network come We-Sport non va trascurato. Da indagini statistiche effettuate in collaborazione con il Politecnico di Torino e il corso di Laurea Specialistica in Ingegneria Gestionale è stato infatti evidenziato come il 25% delle persone che non praticano sport si trovano in questa condizione di inattività a causa della mancanza di un partner con cui praticare l’attività.
La storia, i premi, le sponsorizzazioni – Nel 2010 l’idea di Ivaldi e soci viene selezionata tra i finalisti di “Mind the Bridge”, l’iniziativa pro-startup di un gruppo di italiani della Silicon Valley. Poi arrivano le vittorie su scala nazionale nello “Start-up Hack” per i progetti universitari in ambito Web e nella “Business plan Competition” organizzata dal politecnico di Torino. E infine, proprio in virtù delle aperture di We-Sport nei confronti dello sport per i diversamente abili, così come per i giovani delle categorie più disagiate, arriva anche il primo premio “Torino Internazionale per l’inclusione sociale”. A questo proposito We-Sport ha anche unito le forze con la Sportiamo, una società che promuove lo sport in favore di tutti coloro che hanno difficoltà di accesso alla pratica sportiva, organizzando corsi e competizioni. «Ogni due corsi sportivi a pagamento organizzati con Sportiamo, uno viene completamente regalato a bambini che altrimenti non potrebbero permettersi di praticare uno sport – racconta Iacuaniello -. La partnership con la società milanese ci ha spinto ad aprire We-Sport alla partecipazione diretta delle onlus a carattere sportivo».
Anche la compagine societaria è cambiata dal settembre di tre anni fa. Oggi, oltre all’ateneo torinese finanziano We-Sport anche Fortras e Seminole, una società di consulenza e investimenti nel settore della comunicazione costituita dai fondatori di Edv, una delle prime Web agency italiane poi confluita nel Gruppo Armando Testa.
Un’altra fonte di revenues è costituita dalle sponsorizzazioni. La più importante è quella nata da un accordo con Parmalat per la campagna “Milk & Smile”, che promuove una vita più sana a base di attività fisica e – naturalmente – latte. We-Sport collabora anche con Raduni Sportivi, società veneta al primo posto in Italia nell’organizzazione di eventi “da spiaggia” e Cisalfa, produttore di abbigliamento e attrezzature sportive. La piattaforma software messa a punto dalla startup torinese non rappresenta un risvolto marginale di una iniziativa che è soprattutto tecnologica. L’interfaccia del social network è stata completamente rinnovata da pochi mesi e una delle sue estensioni prevede una applicazione Flash che può essere integrata (“embedded”) in siti Web esterni. In futuro è sicuramente previsto il lancio di app per il mondo mobile, per il quale è già disponibile una applicazione “lite” per il mondo iOs. Secondo i fondatori è infatti indispensabile fare leva su funzionalità come la geolocalizzazione, in modo da poter sfruttare le opportunità di una utenza giovane e orientata alla mobilità.
Il business model – Ma il business model definito dai creatori di We-Sport è ancora più articolato e prevede per esempio la possibilità di fornire informazioni di servizio sugli impianti sportivi pubblici e privati di una città, o di aprire la strada a una forma di pubblicità diversa dal tradizionale banner e ispirata piuttosto alle inserzioni modulari tipiche di un social network come Facebook. «A patto – sottolinea tuttavia Iacuaniello – di fissare precisi limiti tra contenuti e pubblicità». Per il momento iscriversi e partecipare a We-Sport è gratuito, ma nel corso del tempo la comunità potrebbe adottare un modello misto “freemium”, in cui i singoli iscritti partono da un accesso gratuito o vincolato a una modesta fee, ma acquistano al bisogno funzionalità e servizi più evoluti.
Difficile dire se una iniziativa sorta in buona sostanza in un contesto di nicchia e su scala geografica locale riuscirà a coronare davvero i suoi sogni di crescita internazionale. Quel che è certo è che We-Sport riesce a rispettare tutti i requisiti di un social network verticale di successo: una tematica interessante ed estremamente diversificata, una tecnologia robusta e facilmente declinabile in forme diverse, la capacità di arrivare là dove altri mezzi di comunicazione sono carenti, un target giovanile e tecnicamente evoluto. Comunque andrà, sarà una bellissima gara.