Cambiare, senza miracoli


A partire dal convegno inaugurale, trasformato in una pragmatica passerella di casi di eccellenza, l’edizione 2010 della storica fiera dell’informatica (non più solo) milanese, ha cercato di rendere l’innovazione semplice e concreta. Chiamando in cattedra le cento aziende selezionate per il Premio Smau

 

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L’innovazione, questa araba fenice che come l’erba del vicino è sempre più verde e fertile altrove, continua a dominare – almeno a parole – i dibattiti dedicati alle varie tematiche dell’Ict. Il connubio tra tecnologie e cambiamento è quest’anno l’asse portante di una manifestazione dal “cuore antico” come lo Smau (www.smau.it). Una fiera dell’Information technology che non si può più chiamare milanese, visto che, come ha ricordato il suo amministratore delegato Pierantonio Macola intervenendo a Milano nella conferenza di presentazione di Smau 2010, l’evento nei sei mesi successivi si trasforma in una catena di edizioni locali (Roma, Padova, Bologna, Bari) tutte molto apprezzate dai visitatori.

Quando ci leggerete la manifestazione avrà già chiuso i battenti, ma il messaggio resta. Innovare, hanno sottolineato Macola e gli altri partecipanti alla press conference, incluso il vice presindente della Giunta regionale lombarda Andrea Gibelli, non è una inevitabile conseguenza dell’investimento in tecnologie. Comprare un computer non significa portare innovazione in azienda. Tanto più in Italia, che di computer e software ne acquista, in proporzione, molto meno che in altre nazioni di Europa.

 

Far leva sulle tecnologie

Innovare significa piuttosto saper far leva sulle tecnologie per abilitare una serie di cambiamenti che devono riguardare i meccanismi interni delle aziende, la loro organizzazione, la loro mentalità. Tutte cose che in Italia, riconosciamolo, tendono invece a essere piuttosto conservatrici, forse anche per qualche limite e pregiudizio dei fornitori di tecnologie, ma anche e soprattutto per una scarsa propensione al rischio, alla capacità di mettere in gioco se stessi e le proprie più consolidate certezze. Hai un bel dire che proprio gli strumenti tecnologici possono aiutare a gestire meglio questo rischio, a tornare indietro se la strada imboccata si rivela più tortuosa del previsto, ad anticipare le direzioni future.

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Il vero limite, in fin dei conti, è di natura culturale. E come si fa quando si è in presenza di una lacuna culturale? Si va a scuola, hanno risposto gli organizzatori di Smau. Con una svolta significativa rispetto al passato più glorioso, tutto focalizzato su prodotti e servizi e riprendendo pazientemente un discorso più pragmatico che era stato imbastito negli anni recenti, forse un po’ più opachi per il grande brand delle fiere di informatica, lo Smau ha quest’anno scelto un ruolo per così dire di discente/docente e ha cercato di imparare a cambiare per poterlo insegnare agli altri.

La novità si è vista fin dal modo di concepire il convegno di apertura, che per lo Smau è sempre stato una sorta di manifesto programmatico a tema. I veri animatori di questo evento nell’evento non sono stati i relatori chiamati a condurre il dibattito, ma gli imprenditori che sono stati protagonisti del lungo processo di selezione che ha portato a una shortlist (neanche tanto short) di un centinaio di aziende italiane riconosciute per la loro capacità di innovare. Del “Premio Innovazione Smau 2010” ha parlato a Milano Raffaello Balocco, responsabile scientifico dell’Osservatorio Smau e School of Management del Politecnico di Milano, l’istituzione che affianca la kermesse fieristica nel non facile compito di mettere in giusta luce le case history più innovative della nostra economia. Non sono certo infrequenti queste casistiche, ma non obbediscono neppure a un modello statistico ben definito. Il cambiamento nelle aziende italiane raggiunge soglie di eccellenza assoluta, si trasforma in storie davvero esemplari, da manuale. Ma resta un fenomeno elusivo, a macchia di leopardo. E il Premio Smau ha cercato di unire queste macchie con un unico fil rouge.

Il primo sforzo ha riguardato la definizione di una serie di precisi perimetri di azione, delle aree funzionali nell’ambito della gestione di impresa in cui l’innovazione deve articolarsi per dare i frutti migliori, più significativi. Non a caso, quelle identificate dagli ideatori del Premio Smau (che come ha spiegato Balocco ha visto la partecipazione di oltre settecento aziende distillate in un centinaio di casi di successo), finiscono per coincidere con altrettante tematiche tecnologiche, in modo da stabilire comunque un legame diretto tra innovazione del software (e dell’hardware) e cambiamento sul piano procedurale, organizzativo.

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Le categorie del Premio Smau sono state queste: Architetture It e Cloud computing; Business intelligence e Crm; eCommerce, Enterprise 2.0; Fatturazione elettronica e dematerializzazione; Ict nel retail; Mobile&Wireless; Pubblica amministrazione; Sanità; sistemi di comunicazione avanzati; e sistemi gestionali integrati. Come si vede, un efficace compendio delle linee di specializzazione che l’Ict ha percorso in questi ultimi due o tre anni, forse con la sola assenza (ma la categoria dell’Ict nel retail è un efficace supplente), di concetti come supply chain management e logistica.

 

Imprenditorialità innovativa

La cospicua lista dei casi di successo premiati può essere letta come l’annuario di un club degli innovatori che Smau ha coinvolto nella conduzione dei numerosi momenti formativi che hanno come sempre agito da contraltare agli spazi espositivi riservati alle aziende fornitrici. Grazie a questi momenti i tre giorni di Smau si sono trasformati in una piccola università dell’innovazione in una formula che la nuova vocazione itinerante dell’evento permette di avvicinare ai diversi distretti industriali italiani. Il merito dei selezionatori dell’Osservatorio Smau è stato quello di aver riconosciuto gli effetti virtuosi dell’imprenditoria innovativa senza stabilire particolari nessi di casualità tra capacità di cambiamento e dimensioni aziendali, o settore di interventi. Nella lista dei magnifici cento sono finiti diversi grandi nomi (Artemide, Menarini, Trenitalia), ma anche molte aziende medio-piccole fortemente rappresentative dell’approccio italiano all’imprenditorialità. Notevole anche la diversità sul piano strettamente merceologico. Capita così che una azienda vitivinicola come Fontanafredda di Cuneo (36 dipendenti) venga riconosciuta per la sua capacità di assicurare la continuità del business attraverso le tecnologie di virtualizzazione (categoria Architetture It e Cloud computing). O che la Yellow Taxi di Milano (23 dipendenti) riceva un attestato alla categoria Mobile&Wireless per la sua interessante applicazione di pagamento del passaggio in taxi via Sms.

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Le buone idee

La vera lezione che, dopo tanti slogan roboanti del passato, il nuovo pragmatismo dello Smau sta trasmettendo – ed è un indubbio merito – è che quasi sempre non c’è nulla di miracolistico nel cambiamento. L’innovazione si può fare con tecnologie disponibili, con i business partner che si possono trovare nel proprio comprensorio, mettendo semplicemente in atto una serie di buone idee e facendo il possibile perché queste si traducano in un modo di lavorare diverso, magari un po’ più dinamico e reattivo. Tutto qui? Quanto può essere complessa la semplicità.