Un micidiale virus ha infettato i sistemi informatici dell’intera flotta di droni a disposizione della US Air Force
Predatore e Mietitore, chiamati così, sono senza dubbio meno aggressivi. E la colpa non è certo della traduzione italiana del quasi identico, ma più rapace Predator, e del meno frequente, ma apparentemente battagliero Reaper.
La sensazione di prepotente irruenza di quegli appellativi ha caratterizzato i droni delle forze aeree statunitensi, che oggi si presentano un po’ sdentati dopo una drammatica scoperta che li riguarda proprio da vicino. Anzi, da dentro.
Quegli straordinari strumenti da ricognizione e da combattimento comandati a distanza e quindi privi di equipaggio si sono guadagnati attenzione e ammirazione nelle recenti esperienze belliche a ridosso del Mediterraneo e nell’area in cui sono incastonati Afghanistan, Pakistan e Yemen. Il loro ruolo è rapidamente transitato da quello di mera osservazione e acquisizione di dati al ben più impegnativo compito di macchina da guerra. E poi, tutt’a un tratto, un velo pietoso ha avvolto aeromobili, hangar, piste e strutture logistiche: quegli apparecchi non possono decollare perché i loro sistemi di controllo si sono …ammalati.
La vicenda, dai contorni tanto suggestivi quanto incredibili, risale all’inizio di ottobre ed è connotata da due caratteristiche fondamentali: lo stupore e la paura.
Cominciamo con la sensazione di meraviglia e incredulità. Chi mai avrebbe potuto immaginare o addirittura credere che dispositivi bellici di simile “delicatezza” si trovassero al centro di un’avventura (o disavventura) di questo genere?
Dopo l’inossidabile “Carramba, che sorpresa!” o un falettiano “Minchia, signor tenente”, l’esclamazione successiva non garantisce espressioni plateali: il terrore non lascia spazio a boutade verbali destinate all’immortalità delle frasi celebri, ma piuttosto ammutolisce.
Cosa è successo? Un micidiale virus ha infettato i sistemi informatici dell’intera flotta di droni a disposizione della US Air Force.
Se lo sconcerto è giustificato, ancor più comprensibile è l’atmosfera di allarme che si è rapidamente diffusa. E l’escalation del brivido ha toccato il suo picco quando i tecnici hanno confidato di non riuscire a eliminare il programma maligno così subdolamente inserito e ormai profondamente radicato.
Il problema, quanto mai serio, riguarda un “keylogger”, ovvero un tanto piccino quanto pericoloso malware che ruba le password e le invia a chi ha organizzato la malefatta. E quando si parla di parole chiave in un ambiente militare bisogna considerare tutti quei codici di sicurezza che abilitano le funzioni maggiormente critiche e come tali sottoposte ai più rigidi vincoli e alle più calibrate autorizzazioni di esecuzione.
A volerla fare corta, i sistemi che gestiscono e controllano gli aerei senza pilota hanno …qualche fastidio. I mezzi, in realtà, funzionano perfettamente, ma quel che agita è il pensiero che a comandarli potrebbe intervenire anche personale non abilitato per requisiti e grado. E se si pensa che questi velivoli non si limitano a filmare o a scattare fotografie come facevano un tempo, ma sono impiegati in bombardamenti e in altre missioni operative (hanno totalizzato circa duemila vittime negli ultimi mesi di raid in scenari di guerra), la circostanza non rassicura.
I sorprendenti Predator e Reaper sono guidati da piloti che utilizzano speciali computer capaci di riprodurre il cockpit su schermi dagli effetti estremamente realistici e di ricevere ordini attraverso tastiera e joystick.
Nonostante gli elaboratori elettronici della Creech Air Force Base in Nevada siano isolati da Internet, è successo qualcosa che era preferibile non capitasse.
Qualcuno ha cominciato ad additare le solite pen-drive, colpevoli di veicolare virus e trojan. Qualcun altro ha cominciato a temere che la radice di questa grana bestiale possa essere qualche microchip opportunamente bacato dal relativo costruttore. È la storia dei processori e di altri componenti “sensibili” prodotti in Estremo Oriente e privi di qualunque garanzia di esenzione da “brutte sorprese”.
A proposito, nei vostri uffici vi siete chiesti come mai quell’ultima fornitura arrivata da lontano è costata così poco?