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Il “rimbalzino” dei primi mesi, sembra essere rimasto tale. Ridimensionate le stime di crescita per l’anno in corso. La spesa delle imprese si concentrerà su efficientamento e risparmi

Ci siamo, stiamo per infilare il rettilineo finale dell’anno. Non c’è più molto tempo per le manovre e la sensazione è che stiamo vivendo un anno che può portare qualche segnale positivo sul versante della tattica, ma assai meno su quello della strategia. Insomma, il “rimbalzino” dei primi mesi sembra essere rimasto tale. Le vendite di Pc, server, storage e relativi sistemi di gestione nella prima parte del 2010 hanno registrato una crescita in alcuni casi anche robusta, ovvero a due cifre, ma principalmente perché le aziende si sono trovate a dover aggiornare un parco invecchiato dopo un anno, il 2009, in cui i budget sono stati tenuti a stecchetto. Attenzione però anche agli effetti statistici: se in un anno perdete il 20%, scendete a 80. Per tornare a quota 100, non basta ricrescere in un anno del 20%. Occorre fare il 25….

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Così, non c’è da stupirsi se, poco prima delle vacanze, Gartner ha ridimensionato le stime di crescita della spesa Ict per il 2010, dal 5,1% del primo trimestre al 3,9%, dopo il –4,9% del 2009. Per inciso, queste stime comprendono anche le spese per le telecomunicazioni, che influiscono per il 60% del tutto, e aumentano del 3,4%. Il solo comparto It dovrebbe crescere del 4,5%, grazie soprattutto alla ripresa dell’hardware (+9,1% dopo il –12% del 2009), assai più che di software (+3,1%) e servizi (+2,9%).

La frenata è chiaramente attribuibile alle incertezze dell’economia e non c’è da stupirsene. La crisi greca, gli scricchiolii dei Paesi Pigs (con una o due “i”, quindi con o senza Italia), la debolezza dell’euro e le conseguenti politiche di stabilità di bilancio avviate dai Paesi europei hanno fatto passare in second’ordine gli obiettivi dello sviluppo, all’insegna del “primo sopravvivere, poi crescere”. La conseguenza è che le politiche di sostegno industriale e infrastrutturale degli Stati, soprattutto in Europa, sono state messe in naftalina e le scelte delle aziende sono rimaste a privilegiare i risultati a breve: riorganizzare per tagliare i costi e investimenti concentrati nelle aree che “tirano”, export compreso, se va bene. Del resto, in Italia, segnala Confindustria, il 2009 si è chiuso con un –12% per gli investimenti, difficile che l’Ict, a dispetto degli allarmi di Assinform, se la potesse cavare meglio. Gli investimenti, si sa, sono più ciclici dei consumi.

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I fichi secchi del pubblico

In contro-tendenza avrebbe potuto agire la spesa pubblica, ma anche da qui non arrivano segnali incoraggianti. Per anni, quando era lui ministro all’Innovazione, Lucio Stanca sottolineava che il suo dicastero era poco ambito perché senza portafoglio, cioè con poca spesa diretta. Gli è andata male anche all’Expo, dove per due anni, fino alla sua uscita, si è discusso soprattutto di aree, di governance e di come far aprire il portafogli.

Allo stesso dicastero, Renato Brunetta passerà alla cronache più per il decreto antifannulloni che per la Riforma (il Decreto 150 / 2009) che porta il suo nome ed è stata però immolata sulla pira della Finanziaria, visto che non c’erano i soldi per gli aumenti di merito. Sarà per questo che, “trombato” da sindaco, il ministro ha cercato consolazione come commissario di governo a Venezia. Resta la speranza di rifarsi con la digitalizzazione e la dematerializzazione dei documenti, anche se al ministero continuano stranamente a confondere i milioni con i miliardi. Non illudiamoci: la regola è quella delle nozze con i fichi secchi: la lunga decapitazione del ministero dello Sviluppo Economico è stata anche un alibi davanti alle casse vuote. Così, quando si parla della rete – e poco importa che sia quella per il digital divide o quella ottica di nuova generazione – l’unica reazione sembra essere: “purché ci pensino gli altri”.

La fila dei pretendenti alle magre risorse peraltro, è lunga. L’Europa della (mancata) agenda di Lisbona lamenta i ritardi nella rete ultraveloce. Tuttavia, a quanto pare, si appresta a rifinanziare il buco nero del sistema satellitare Galileo che, come si sapeva fin dal primo giorno, costerà assai più di quanto dichiarato. Il tutto per rifare una copia del Gps americano, che non ci costa nulla, e soprattutto per portare appalti ai “soliti noti”, cioè a quell’industria aerospaziale che vive di commesse pubbliche (e di aiuti come quelli per l’Airbus bocciati dalla WTO) e che, a scanso di rischi, unificò i due consorzi concorrenti per il progetto Galileo, affinché nessuno restasse escluso. Tra “società delle reti” e “reti di società”, un certo strabismo sembra dominare a Bruxelles.

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Dove spendono le aziende

Il futuro del settore dipenderà in larga misura ancora dagli indirizzi di spesa delle aziende. Le debolezze finanziarie rendono improbabile per ora una riedizione di forme di sostegno degli investimenti, una Tremonti-Ter, per intenderci, anche perché se si è detto basta agli incentivi per l’auto (ok, un settore che solo per un quarto dipende dal made in Italy), difficilmente qualcosa salterà fuori dal cappello per l’Ict. Gli scenari della spesa aziendale sembrano privilegiare un filone noto: efficientamento e risparmi. Per molte aziende, questo vorrà dire incoraggiare la propensione  all’outsourcing, approfittando delle tendenze ribassiste dei prezzi. Anche le soluzioni di cui oggi si parla, ma non necessariamente si fa, di più, ovvero SaaS e cloud computing, saranno alla fine determinate da questa prospettiva.

Ancora secondo Gartner, il mercato dei servizi cloud nel loro complesso (ovvero l’insieme dei servizi erogati “attraverso” il cloud) dovrebbe aumentare quest’anno del 17% a 68 miliardi, mentre la parte più strettamente tecnologica, quella del Software (SaaS), Piattaforme (PaaS) e Infrastrutture (Iaas) as-a-Service, dovrebbe ammontare a 112 miliardi di dollari nei prossimi cinque anni, con più della metà della spesa generata dagli Stati Uniti e solo un quarto dall’Europa Occidentale.

Si tratta di un’incidenza ancora limitata, ma in crescita. Sempre le stesse fonti indicano per il Software-as-a-Service con i suoi 8,8 miliardi previsti per quest’anno un’incidenza solo del 3,4% (2,0% l’anno prima) della spesa It delle aziende. Per IDC, che parla di “servizi It” in cloud, cioè software, piattaforme e infrastrutture, per 16 miliardi quest’anno (per il 70% negli Usa) si arriverà nel 2014 a 55 miliardi, con una crescita media del 27,4% annuale, cinque volte più della media dei prodotti tradizionali.

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Se Microsoft fa il cloud

C’è da crederci? Un segnale interessante è giunto a fine giugno dall’Europa, dove un attore di primo livello, la francese Alstom, con una produzione che va dalle centrali elettriche ai treni, e ha quindi esigenze “critiche”, ha adottato una soluzione cloud. Un aspetto sicuramente interessante è che il fornitore di questa soluzione non è uno dei soliti nomi cui si è abituati a pensare (IBM, HP, Accenture, Capgemini, …), ma Microsoft con i suoi online services. La casa di Seattle fornirà per cinque anni servizi di diverso tipo su 60mila postazioni di lavoro, privilegiando le applicazioni tipicamente di rete e collaborative, mentre Office (nella versione 2010) sarà installato in modo più tradizionale sui Pc. Nessuna tentazione di Web services, quindi, e pertanto la vera domanda potrebbe essere quanto Alstom paga per Office e non quanto paga per gli online service, ma si tratta comunque di un passo da tenere sotto controllo.

Per le aziende si sta profilando una triplice sfida: da una parte l’aggiornamento del parco, che in qualche modo dovrà tener conto anche delle nuove sfide / opportunità (si pensi al mobile, per esempio), dall’altra l’efficientamento che passa per un’ulteriore ondata di virtualizzazione. Infine, il cammino verso il cloud, che non sarà brevissimo, ma che soprattutto chiede nuovi strumenti di analisi, valutazione, comparazione delle alternative di business e di governance.