L’uso dei social network nelle organizzazioni può essere bloccato tramite filtri e black list, ma non sempre si ottiene il risultato sperato
James Stavridis non è un teenager, ma la sua passione per Facebook a quanto pare è irrefrenabile. E lo è al punto di servirsene per comunicazioni importanti. Coram populo. Anzi al mondo intero.
Stavridis, militare di carriera, non è un marinaio qualunque. Ammiraglio della US Navy, è il Saceur del Patto Atlantico. Prima che qualcuno crolli esanime nel leggere quello strampalato acronimo, eccone la traduzione. L’alto ufficiale è il Supreme Allied Commander Europe della Nato, ossia il numero 1 delle Forze alleate schierate nel Vecchio Continente.
Cos’ha combinato? Ha dichiarato la conclusione delle operazioni militari in Libia utilizzando Facebook. Mentre la gente normale scrive quel che pensa o quel che sta facendo, lui ha ritenuto opportuno piazzare nella sua bacheca di aver ordinato la fine delle manovre belliche. Non è dato sapere se il tizio ha mandato anche un “poke” alla buonanima di Gheddafi, ma è probabile che non l’abbia fatto (non per ostilità, ma soltanto perché è facile non rientrasse tra i suoi …amici).
Ho pensato ai suoi subordinati: fortunati per non esser costretti a spiegargli cos’è Internet e a fargli capire che fuori dalla caserma esiste un altro mondo che viaggia a ben diversa velocità, al contempo sfigatissimi perché bersaglio di continui “tweet” da un capo noto anche come “blogger compulsivo”.
Il fronte militare, almeno quello degli altri, ha ben compreso il ruolo delle più moderne soluzioni di comunicazione apprezzandone gli indiscussi pregi e non trascurandone le immancabili controindicazioni. Il mondo dell’impresa dovrebbe prendere spunto da alcune tra le iniziative che certe realtà in divisa hanno adottato per adeguare il proprio ciclo biologico all’evoluzione telematica.
Mentre molte organizzazioni hanno scelto la via della censura, del divieto e delle limitazioni, i Marines – per esempio – hanno imboccato la direzione giusta: invece di mettere al bando Facebook e dintorni, hanno preferito la via del consenso a un utilizzo consapevole da parte dei “dipendenti”.
È così uscito un manuale – “The Social Corps” – in cui sono spiegati pro e contro dei social network e vengono fornite indicazioni per adoperare certe opportunità di aggregazione senza esporre a rischi se stessi e l’organizzazione di appartenenza.
Senza dubbio in molte aziende si ritiene che sia molto più facile ed economico limitarsi a un secco e risoluto “niet”, ma è altrettanto vero che una simile scelta operativa non porta a risultati plausibili.
Un dipendente che si vede il computer “bloccato” non si arrende. Anzi, dedica larga parte del suo tempo nell’esperire tentativi mirati a by-passare gli ostacoli che il datore di lavoro ha disseminato in ogni angolo del sistema informatico. L’apparizione sullo schermo di frasi intimidatorie del tipo “il sito che si intende visitare non rientra tra quelli ammessi dalla policy aziendale” suona come il guanto di sfida sbattuto sulla guancia del contendente o come il gong per un pugile che sul ring ha ben chiaro di voler vincere l’incontro.
L’organizzazione installa filtri, ricorre a black list e studia mille altri escamotage per tenere stretto al guinzaglio il proprio impiegato. E spende un mucchio di soldi in hardware e software, ma a quella cifra non sa di dover aggiungere la quota parte di stipendio che viene corrisposta per le ore che il lavoratore ostinato dedica ai ripetuti tentativi di connessione …proibita.
Per fortuna delle aziende il dipendente non perde troppo tempo in simili attività.
Non per dedizione ai compiti assegnatigli o per attaccamento al dovere, ma per il quasi immediato raggiungimento del suo obiettivo di navigare liberamente.
Arriva alla scrivania, puntualissimo naturalmente, si siede e – invece di affrontare pratiche e incombenze – estrae la sua preziosissima chiavetta Usb che con una manciata di euro al mese gli consente di collegarsi in Rete senza fili.
L’ICT manager dorme tranquillo. Il lavoratore sta più che sveglio: poker online, siti porno, film da scaricare e mille altre cose gli garantiscono un’altra giornata di svago in ufficio proprio dal computer in dotazione.
Mancata produttività a parte, vogliamo pensare ai risvolti di sicurezza di un simile scenario?