La sicurezza non si compra, ma si costruisce. Con fatica. E il maggior sforzo lo si deve fare a proposito di sicurezza del personale e poi sul fronte del personale addetto alla sicurezza
In questi giorni non è facile parlare di sicurezza. La cronaca riporta grotteschi episodi di corruzione e infedeltà che vedono protagonisti soggetti istituzionalmente preposti alla rappresentanza e alla tutela del cittadino. Qualsivoglia dissertazione non può evitare sconfortate considerazioni sul degrado etico e morale che emerge dalle indagini giudiziarie. Quel che è accaduto ferisce il quisque de populo e mortifica chi – indossando la stessa giubba – vorrebbe per un attimo essere Johnny Stecchino e poter esclamare “Non mi somiglia ppe’ niente”.
Le considerazioni in proposito, venate di incalcolabile stupore e incredibile amarezza, fanno legittimamente chiedere se ci si può ancora fidare di qualcuno.
La fiducia, già, la fiducia. È – o forse era – il presupposto su cui far poggiare qualsiasi relazione affettiva, professionale, imprenditoriale.
Qualunque modello organizzativo – anche il più sofisticato – non è mai sufficiente a garantire l’impermeabilità da possibile minacce interne: precauzioni e cautele devono fare perno sull’affidabilità delle persone che costituiscono la reale ossatura di un’azienda o di un ente. Strutture storiche come l’Arma dei Carabinieri hanno sempre dato grande peso all’acquisizione di informazioni sui candidati alla Benemerita e sulla sfera di individui, rapporti e ambienti in cui ciascun interessato e corrispondenti familiari gravitano o hanno gravitato nelle ultime due generazioni. Ricerche approfondite, carteggi dettagliati, rastrellamento di dati aggiornatissimi: nemmeno questi sistemi hanno evitato casi clamorosi. Nelle Forze di Polizia vengono anche eseguiti severi test e colloqui psicoattitudinali per scoprire l’idoneità a svolgere non un semplice mestiere, ma contribuire a una missione importante come quella di occuparsi della serenità del cittadino. Probabilmente gli strumenti selettivi finora impiegati non sono stati così efficaci da scongiurare eclatanti sorprese. E la questione è speculare nell’emisfero business della società odierna: dirigenti e funzionari vengono (o dovrebbero venire) scelti con rigidi criteri di preferenza e distinzione delegando l’incombenza – se necessario – a operatori specializzati nel recruiting.
Quando l’ingresso di un tizio a livello decisionale in un certo contesto lavorativo non è dettato da motivazioni di “alta politica” e quindi sussistono validi requisiti alla base dell’individuazione di un certo manager, è necessario stabilire le modalità di verifica del mantenimento delle condizioni di attendibilità del personaggio in questione.
Il tenore di vita – e non c’era bisogno di scoprirlo bruscamente solo adesso – è fonte di indizi ineludibili. Il grand commis pubblico o privato spesso è fruitore agiato delle possidenze immobiliari e finanziarie del o della consorte: in ogni ovattato quadro di opulenza c’è sempre una moglie ricca oppure un marito particolarmente benestante a giustificare un train de vie sproporzionato persino per chi dispone della più fervida immaginazione. Chi si vende i segreti – siano questi giudiziari, militari, industriali o commerciali poco importa – non fatica a trovare potenziali acquirenti e a piazzare la sua refurtiva al miglior offerente. Anche se il furbetto era considerato un genio e la sua acquisizione in squadra addirittura provvidenziale, qualche piccola sbavatura (di norma di dimensioni ciclopiche) fa emergere verità difficili da credere e ammettere.
La cosa che in realtà maggiormente sconcerta è che ci si meravigli ancora.
La sicurezza non si compra, ma si costruisce. Con fatica. E il maggior sforzo lo si deve fare a proposito di sicurezza del personale e poi sul fronte del personale addetto alla sicurezza. Non un gatto che si morde la coda, ma una spirale evolutiva che punta verso un sempre più elevato livello di affidabilità complessiva. Siamo certi di voler cominciare o pensiamo che si possa ancora rinviare?