L’impresa rete e le sfide della complessità.
«Dalla tradizione della storia un ordine nuovo per il futuro»
Che forma avrà l’impresa nei prossimi anni? Gli imprenditori del futuro per continuare a essere efficacemente self-interest saranno costretti a diventare ecosostenibili e solidali?
La filosofia “network” orienta l’organizzazione dal basso verso l’alto, dal centro verso la periferia ed è destinata a influenzare sia l’approccio al profitto, sia la logica imprenditoriale stabilendo una nuova contrapposizione dialettica che definirà “il vecchio” e “il nuovo”: non più destra e sinistra, ma analogico e digitale, quantità e qualità, fordismo e toyotismo, fattuale e virtuale, base e vertice, con una rinnovata attenzione alla centralità delle persone e del talento. A tracciare un’analisi del mondo delle organizzazioni imprenditoriali e delle teorie che ne hanno condizionato lo sviluppo, sbarca oltreoceano Gianfranco Dioguardi che per i tipi di Springer pubblica il volume Network Enterprises, già edito nel 2007 in Europa e in Italia per Bollati Boringhieri. Oltre il valore intrinseco dell’opera, ci piace segnalare il fatto in sé: se è vero che esiste già una difficoltà oggettiva nel pubblicare autori di strategia e impresa non americani in America, la difficoltà aumenta se si tratta di autori già pubblicati. Ci piace che a rappresentare l’eccezione sia proprio questo volume di Gianfranco Dioguardi. Ingegnere, professore, bibliofilo, imprenditore, presidente della Fondazione che porta il suo nome, è autore di numerosi libri sui temi del management con interessi che spaziano fra storia, filosofia, scienze. Dal 1989 è Cavaliere del Lavoro della Repubblica Italiana, e dal 2004 Cavaliere della Legion d’Onore della Repubblica Francese. Non è facile trovare una definizione d’impresa rete più concreta di quella di Dioguardi. «L’impresa rete si presenta come un’organizzazione costituita da una rete di tecnologie prevalentemente informatiche (computer e robot), guidate da una rete di individui che operano alla stregua di “imprenditori di se stessi”, in quanto capaci di esprimersi attraverso una rete di decisioni operative che essi stessi determinano». Nell’edizione americana, Dioguardi offre una ricostruzione «tassello per tassello» del mondo dell’impresa, esprimendo una nuova unità di pensiero che lascia spazio non solo all’analisi della complessità, ma anche alla prospettiva storica: dall’impresa nel mercato globalizzato al rapporto tra impresa e cultura; dal futuro per il Mezzogiorno d’Europa al valore della conoscenza, della responsabilità e dell’innovazione tecnologica. Gianfranco Dioguardi sa guardare al passato tenendolo insieme con l’arte del mosaico e restituendo il senso di una riflessione nuova e originale per incidere sul futuro dell’economia. Attraverso un’indagine dell’evoluzione dei sistemi di produzione (dal modello tradizionale del taylorismo-fordismo a quello rivoluzionario della lean production nipponica), Dioguardi descrive la natura, le connotazioni, il funzionamento e le strategie di gestione della “impresa rete”: una realtà complessa ma innovativa che prevede la riscoperta dello spirito d’impresa in una più solida e ricca dimensione etica e culturale, e consente la costituzione delle reti d’imprese come nuove realtà dinamiche in grado di modificare e migliorare la vita delle piccole e medie unità produttive.
Difficile definire in poche righe un ritratto “autentico” di Gianfranco Dioguardi che tenga conto non solo dei molteplici aspetti della sua attività, ma anche del suo rapporto speciale con gli studenti, la passione per i libri, l’architettura, i gatti, i suoi fogli ordinati e i suoi “pensieri spettinati”. In questo mite signore d’altri tempi, capace di insegnare e dare lezioni di stile anche nei piccoli gesti, non c’è traccia di arroganza, ma solo amore per la conoscenza, inseparabile compagna di vita insieme alla moglie, Carla.
Città-laboratorio, città-rete, città-impresa: intorno a questi concetti si muove l’esperienza intellettuale e imprenditoriale di Gianfranco Dioguardi, legato alla città di Bari (dov’è nato nel 1938) la cui visione della modernità si rispecchia negli edifici progettati dal padre, l’architetto Saverio Dioguardi. Dalla sua dimora barese (Palazzo De Gemmis) sulla muraglia, appena dietro la Basilica di San Nicola, lo sguardo si apre sul mare. La consapevolezza della responsabilità intellettuale si riconosce nell’attività d’impresa che Dioguardi ha sperimentato man mano che elaborava la teoria della rete. Un segno di questa cultura politecnica è stato senz’altro il «laboratorio di quartiere» con il quale Dioguardi ha portato a Bari Renzo Piano.
Milanese d’adozione (la passione per la città è un amore ricambiato), il professor Dioguardi ha alle spalle una grande esperienza nel settore delle costruzioni (la Dioguardi Spa ha realizzato l’aeroporto di Milano Linate, firmato da Aldo Rossi) e da sempre partecipa attivamente al dibattito culturale del capoluogo lombardo.
Gianfranco Dioguardi ha chiuso la carriera universitaria il 27 gennaio 2010 con una lezione dal titolo «Dalla tradizione della storia un ordine nuovo per il futuro», ma non smette di dare lezioni al mondo dell’impresa e a quel Mezzogiorno d’Italia, che – senza il pietismo della questione meridionale – vorrebbe vedere crescere attraverso l’innovazione e lo studio del passato come motore per il futuro.
La lezione continua.
Data Manager: Come si governa la complessità dello scenario competitivo attuale?
Gianfranco Dioguardi: La complessità di scenario comporta turbolenza tale da rendere difficile la programmazione del futuro, in particolare sul medio e lungo termine. È necessario, perciò, ricercare forme sempre nuove di flessibilità in ogni contesto organizzativo in grado di consentire adattamenti in tempo reale alle mutevoli condizioni ambientali. Ciò significa cercare anche di far evolvere i modelli organizzativi verso una concezione allargata della qualità che possa costituire un costante valore aggiunto adatto a definire un concreto vantaggio competitivo sui difficili mercati globali.
Come si compete sulla qualità?
Con la ricerca costante dell’eccellenza, con investimenti costanti in ricerca e sviluppo, interpretando i prodotti come servizi, considerando i clienti al pari di veri e propri committenti cui assicurare prestazioni sempre più complesse e articolate. La qualità si costruisce facendo leva sui knowledge worker – che l’era delle alte tecnologie ha introdotto in tutti i contesti aziendali – anche i prodotti realizzati devono diventare una sorte di knowledge products nei quali alla composizione materiale si deve sempre accompagnare una componente immateriale di conoscenza in grado di trasformare il prodotto in sé e per sé in un vero e proprio processo assimilabile a un servizio reso al cliente.
Per il rilancio delle imprese da dove si comincia?
Le imprese devono necessariamente tornare a interpretare la definizione shumpeteriana per la quale sappiano diventare protagoniste di innovazione continua. L’esigenza microeconomica si trasferisce immediatamente in ambiti macroeconomici sul sistema imprenditoriale nazionale. Questo, per mantenere competitività sui mercati globali, deve essere capace di esprimere innovazione in grado di conquistare sempre nuove aree di interesse. L’innovazione va interpretata a largo raggio, non legandola perciò esclusivamente ai prodotti, ma estendendola anche ai processi che su di essi si possono impostare per renderli sempre più “servizi” e poi alle stesse organizzazioni attraverso cui si realizza la gestione delle imprese. E tutto ciò può essere assicurato soltanto se si è in presenza di un adeguato approccio di ricerca e sviluppo che le istituzioni scientifiche della Nazione devono essere in grado di assicurare.
Si può affermare che le tecnologie della comunicazione siano alla base di una nuova rivoluzione della responsabilità d’impresa?
L’uso delle moderne tecnologie informatiche crea anche una nuova cultura individuale che si aggrega in una cultura imprenditoriale capace di assumere connotazioni ogni giorno più strategiche. L’impresa diviene responsabile e sempre più socialmente impegnata, si radica sul territorio dove, attraverso i suoi collaboratori, diffonde una cultura svolgendo quindi un’azione etica con i manager che esercitano, di fatto, la mano visibile teorizzata da Alfred Chandler. Si registra perciò una riscoperta e una forte valorizzazione del fattore umano sia nell’ambito imprenditoriale, sia con il cliente verso il quale emerge una cultura della qualità al suo servizio.