L’interrogativo rimbalza dal Festival dell’Economia di Trento alla cronaca recente, mettendo in evidenza il divario, sempre più marcato, tra dirigenti d’azienda e dipendenti. Due, i fronti economici su cui si gioca la competizione: quello iperindustriale, dei Paesi emergenti, che fanno leva su flessibilità e costo del lavoro; e quello postindustriale, che non si basa su “reali” scambi di merci, ma su flussi di capitale e operazioni finanziarie a breve termine.
Per Enrico Sittoni, presidente della Confederazione italiana dei dirigenti e delle alte professionalità (nella foto), «dopo essere entrati nel tunnel della crisi economica alla fine del 2008, ora stiamo cominciando a vedere una luce di speranza». Alla domanda su quale ruolo spetterà al dirigente di un’azienda, precisa: «Tre devono essere le capacità dei nuovi manager. Al primo posto, c’è la voglia di conoscere e di fare esperienza. Poi c’è la capacità di trasmettere la conoscenza acquisita. Infine, il talento di sviluppare risorse innovative attraverso le numerose opportunità offerte dalla crisi». Di altro avviso, è invece l’altoatesino Helmut Gschnel, rappresentante regionale dei manager italiani del commercio, che – sulla totale e pronta uscita dalla crisi del nostro Paese – sembra non essere così fiducioso: «Il nuovo profilo dei manager sarà quello di operare a più livelli, ovvero, essere un politico quando serve, un amministratore, quando richiesto, e un artista, all’occorrenza. Abbiamo perso molte occasioni. È ora di cercare di far cambiare la mentalità alle nostre aziende». Per Mario Marchesini di Federmanager, «più che in un tunnel, i nostri dirigenti si trovano in mezzo a una giungla. La nostra forza sarà quella di tracciare un sentiero nuovo, dove gli altri non sono più in grado di trovare la strada».