Anche in Italia, il fornitore di software infrastrutturale opensource è al centro di importanti esempi di business transformation. Al punto di confluenza di tutti i trend tecnologici più innovativi, il modello open permette a imprese e PA di liberar erisorse e accelerare lo sviluppo di soluzioni
L’open source secondo RedHat (it.redhat.com) è uno strumento tremendamente serio, orientato alle applicazioni mission critical in settori chiave per l’economia non solo digitale: banche, telecomunicazioni, media, pubblica amministrazione, industria, grande distribuzione. In Italia, tanto per fare un esempio, l’operatore satellitare Sky ha adottato Red Hat per la sua infrastruttura IT. L’ultimo progetto di migrazione riguarda la piattaforma CRM, una trasformazione che a fronte di un incremento del 30% delle prestazioni dei servizi business è convertita in un risparmio del 70% sul total cost of ownership.
A leggere gli ultimi risultati finanziari del 2014 (che Red Hat ha chiuso fiscalmente a febbraio di quest’anno), il software aperto ha generato per Red Hat poco più di un miliardo e mezzo di dollari di fatturato, con una crescita di quindici punti percentuali.
Un ponte per l’innovazione
Un risvolto significativo è che la quasi totalità di questo fatturato (1,34 miliardi in crescita, ma del 16%) deriva da sottoscrizioni. Il modello open source di classe enterprise funziona, genera profitti. Commentando le scelte strategiche di Sky Italia, il countrymanagerdiRedHat, GianniAnguilletti osserva giustamente che se Sky insiste in questo modo sulle tecnologie open è perché queste «sono in grado di rispondere anche ai più stringenti requisiti di business, in particolare quando vengono abbinate a servizi di livello enterprise, come nella nostra offerta». Al responsabile di Red Hat in Italia preme sottolineare come «l’open source in generale e il software Red Hat in particolare, grazie ai suoi avanzati servizi di supporto ingegneristico orientati in modo specifico alle applicazioni critiche, rappresenta l’anello di congiunzione ideale tra i desiderata delle grandi organizzazioni – private o pubbliche – e i promettenti trend tecnologici che si stanno affacciando sul mercato».
Per Anguilletti, le aziende sono tenute a essere sempre più smart, pronte a cogliere – dalle enormi quantità di dati generati dalla relazione con il mercato – le opportunità di crescita e innovazione più interessanti. «Se a queste opportunità non si risponde in modo innovativo,
è inutile andare a cercarsele» – osserva Anguilletti. «Inoltre, in un contesto dove diventa imperativo fare di più investendo meno, la risposta più efficace può essere proprio l’open source». Secondo Anguilletti, i responsabili tecnologici delle imprese assistono alla convergenza di almeno tre diverse spinte. Da un lato c’è l’affermarsi dei big data e delle applicazioni analitiche, due eccezionali motori di crescita per le organizzazioni intelligenti che possono sfruttare le informazioni per rafforzare linee di business esistenti e aprire nuovi fronti. Poi c’è la grande maturazione raggiunta all’interno dei data center, nella specifica area delle architetture orientate ai servizi e all’integrazione applicativa, unita alla disponibilità di strumenti “agili” di sviluppo e prototipizzazione del software. «Su tutto questo dominano il cloud e la mobilità, due fenomeni che permettono ai sistemi informativi di essere particolarmente versatili anche nell’erogazione». Un collante efficace per riuscire a tradurre questi ingredienti in successo di impresa è il software open source. Specialmente quando, come nel caso di Red Hat, la tecnologia viene supportata in modo adeguato. Il messaggio che un fornitore infrastrutturale a tutto tondo come Red Hat vuole lanciare è che le risorse che l’azienda può liberare, spezzando i legami con i modelli tradizionali del software commerciale, unite al maggior controllo che le organizzazioni possono esercitare su tutti gli aspetti tecnici di una piattaforma o di un applicativo, possono tradursi in una maggiore efficacia e velocità sul mercato.
L’offerta a 360 gradi
«Red Hat all’inizio degli anni Novanta – racconta Anguilletti – era una realtà relativamente piccola dedicata, con il Fedora Project, all’ingegnerizzazione di un sistema operativo nel neonato comparto Unix per processori x86. Da allora, ha subito un’evoluzione profonda, trasformandosi – anche attraverso la lungimirante politica di acquisizioni – nell’azienda di riferimento sul mercato di soluzioni infrastrutturali legate a Enterprise Linux. Nel 2006, Red Hat completa l’acquisizione di JBoss. «Fu il seme da cui germogliò un’intera famiglia di tecnologie middleware e SOA, la prima tappa di un cammino che ha portato Red Hat a organizzarsi in cinque aree diverse, un’offerta che in ambito open – oggi – non ha praticamente rivali per completezza, qualità e livello di supporto. Con seimila e 300 dipendenti in settanta uffici del mondo (in Italia sono una sessantina, la metà dei quali con incarichi tecnici) e mille e 500 addetti allo sviluppo, Red Hat può assicurare, anche grazie a un esteso ecosistema di partner, un elevato grado di prossimità al cliente e ai suoi progetti. È anche un’azienda finanziariamente solida, capace di sostenere le sue strategie di crescita.
Alle due business unit centrate su Enterprise Linux e sul middleware, seguono – dopo l’acquisizione di Qumranet nel 2008 – la copertura degli aspetti della virtualizzazione che ora fanno riferimento a Openstack, un progetto open source per servizi IaaS pubblici e privati che vede la partecipazione di circa 200 aziende di software, ma di cui Red Hat è il “contributor” numero uno al mondo. Dopo aver rilevato Gluster nel 2011, Red Hat entra anche nel settore emergente del software defined storage, dove la campagna acquisti è in pieno svolgimento. Proprio mentre questa cover story è in chiusura, l’azienda di Raleigh, North Carolina, ha annunciato un investimento di 175 milioni di dollari in Inktank, pioniere californiano dei sistemi di storage virtuali basati su hardware commodity. Grazie a queste soluzioni, secondo Anguilletti, il mercato dello storage sarà attraversato da una rivoluzione analoga a quella che Linux aveva reso possibile tanti anni fa, trasformando in sistemi server ad alta affidabilità le economiche architetture x86. «Lo scenario è molto simile a quello che abbiamo oggi per lo storage, dove dominano sistemi estremamente efficienti ma costosi e refrattari ai contesti eterogenei dei data center. Tutto questo è destinato a cambiare con l’archiviazione softwaredefined». Infine, c’è il promettente ambito della “orchestrazione” del cloud, con soluzioni in ambito Open Hybrid Cloud e PaaS – anche in questo caso sia pubblico sia privato – abilitato da Openshift.
Prove di affidabilità
I primi interlocutori del notevole successo di Red Hat sono i grandi protagonisti del finance, delle telecomunicazioni, della PA, dell’energia, del retail, del manifatturiero, ovunque ci siano da implementare soluzioni di frontiera, che coinvolgano competenze interne molto avanzate e «quasi sempre integrate» – come ci spiega EdoardoSchepis, che nella sede italiana indossa il cappello (rosso ovviamente) di responsabilerisorsetecnicheeimplementazionedellesoluzioni. Tuttavia, non mancano l’interesse e il coinvolgimento delle imprese di dimensioni medio-piccole, per le quali è stata costituita – precisa ilresponsabileitalianodellealleanze, AntonioLeo – una «task force» che agisce soprattutto attraverso la leva delle partnership. «A chi ancora chiede quali garanzie possono offrire le soluzioni open source, possiamo rispondere con un mare di referenze» – risponde Anguilletti. Non solo. «Proprio quando c’è un’opportunità da cogliere e l’IT è particolarmente funzionale al business, l’open source offre qualità e tempi di risposta molto più elevati».
Anche in Italia, il momento sembra essere molto propizio. Da sette anni, il volume d’affari di Red Hat a livello nazionale cresce al tasso annuo aggregato del 24%. Aree come il middleware di JBoss crescono a ritmi ancora più elevati (+35% nell’anno appena concluso), il parco clienti, oltre a Sky, vanta referenze di rilievo assoluto. Come la piattaforma mission critical messa recentemente a punto da Borsa Italiana con Mts e Sia. Un progetto che ha fatto dichiarare a FabrizioCazzulini, chieftechnologyofficerdiMTS, l’azienda privata nata dal Mercato Generale di Titoli di Stato, la prima borsa elettronica italiana: «Il ruolo dell’infrastruttura di messaggistica è estremamente critico per noi, perché per i nostri sistemi passano in media ordini e contratti per oltre cento miliardi di euro al giorno». Il successo dell’azienda è anche testimoniato dall’Open Source Day, un importante evento organizzato da Red Hat (mille e 300 i partecipanti all’ultima edizione nel novembre scorso). Nell’occasione, era stata presentata la ricerca commissionata da Red Hat a SDA Bocconi, secondo cui l’83% delle aziende italiane ha già adottato soluzioni open source (percentuale che sale all’89% considerando anche le intenzioni future). A livello globale, una conferma arriva dalla ricerca sulla business transformation svolta da HarvardBusinessReview AnalyticServices su un campione di 420 CTO, nel 23% dei casi di aziende europee. L’indagine identifica un terzo delle aziende tra gli “Innovation accelerator”. Si tratta di società trainate dalla tecnologia e che investono molto più di altre (più o meno il doppio) nella creazione di nuove applicazioni grazie anche a responsabili IT che sanno anticipare e influenzare le decisioni del management. Le tipologie più gettonate di questi nuovi servizi sono la business intelligence e le tecnologie mobili e app, non a caso le due aree di maggiore focalizzazione per Red Hat. «Anche l’Internet delle cose è un trend che seguiamo con attenzione con le nostre soluzioni di integrazione Fuse e A-MQ, che consentono di far dialogare tra loro oggetti e protocolli più disparati» – precisa Anguilletti.
La forza della competenza
Come evidenzia anche lo studio SDA Bocconi, tra i fattori critici che definiscono il successo di un progetto open source, la disponibilità di competenze tecniche di alto profilo gioca un ruolo importante, siano esse interne all’azienda cliente o disponibili sul mercato. In Red Hat, EdoardoSchepis presidia questa area nella sua duplice funzione di coordinatore delle risorse tecniche e responsabile dell’implementazione delle soluzioni basate sulle tecnologie infrastrutturali fornite. «Alla mia funzione fanno riferimento tutte le figure tecniche che Red Hat schiera in affiancamento al cliente sia nella fase di studio della fattibilità delle soluzioni sia nella fase post-vendita, quando il mio team interviene a livello di personalizzazione e implementazione». Si tratta di circa venti risorse equamente ripartite tra attività di pre e postvendita, oltre naturalmente al servizio di supporto remoto che segue gli interventi di primo e secondo livello nell’arco delle ventiquattro ore e in tutto il mondo.
Schepis individua almeno due motivi alla base della scelta di molte aziende, specie nel comparto finanziario, dove la familiarità con Linux è tradizionalmente più forte, della migrazione verso l’open source. «Certamente, anche per svincolarsi dai costi elevati delle tecnologie proprietarie, ma soprattutto per i grandi progressi che nel settore ICT sono stati fatti con il middleware e il cloud». In queste aree, i clienti vogliono avere più visibilità sugli aspetti evolutivi dei prodotti e dei loro “internals”: a volte il software proprietario è carente da questo punto di vista. «Un altro aspetto fondamentale è la customizzazione. I nostri clienti possono chiedere modifiche anche importanti e partecipare direttamente alla loro implementazione». Nel caso dell’italiana SIA, per esempio, un’evoluzione di JBoss in direzione della nuova architettura di “Data Grid” implementata per la nuova piattaforma di trading dell’operatore interbancario è stata proposta e sviluppata dal cliente con l’assistenza dei tecnici di Schepis ed è entrata ufficialmente a far parte dell’ambiente middleware di Red Hat proposto su scala mondiale. «Chi entra nel mondo dell’open source può lavorare come semplice utente, ma può anche collaborare al testing e all’implementazione delle soluzioni in uno specifico ambito e contribuire allo sviluppo complessivo di un progetto».
Mai più sola
Nel settore delle telecomunicazioni, gli operatori manifestano un crescente interesse nei confronti dei prodotti di virtualizzazione e cloud. «Il vantaggio dell’offerta Red Hat con Openstack – spiega Edoardo Schepis – consiste nella possibilità di coprire ogni aspetto tecnologico in ambito cloud, che oggi caratterizza le strategie di molte telco nei confronti dei loro clienti, con il supporto che possiamo garantire, anche appoggiandoci alla solida rete dei nostri partner». Dal punto di vista commerciale, il modello open source comporta la trasformazione del costo capex rappresentato dalla licenza, in un costo operativo sotto forma di canone che comprende aggiornamenti, supporto, accesso alle basi di conoscenza, certificazione e la responsabilità legale sul codice sviluppato. Gli utenti di soluzioni open source sono in genere motivati e coinvolti, e possono trovare in Red Hat un interlocutore solido, preparato e affidabile.
«Un interlocutore che – come ricorda AntonioLeo, che riveste il duplice ruolo di Alliancemanagere territory leader, ha saputo costruire un ecosistema di alleanze che rappresenta un ingrediente fondamentale nella ricetta del successo di Red Hat. «Per noi è stato un grande cambiamento di pelle. In passato, Red Hat lavorava con un modello diretto di “go to market”. Oggi, i partner si identificano in tutto e per tutto con noi. In Italia, almeno il 75% del business viene generato indirettamente. Ogni volta che individuiamo una possibile nuova collaborazione, fin dalle prime discussioni deve essere chiaro che la relazione con Red Hat è di tipo win-win. Nel caso dei global system integrator, il ruolo di Red Hat consiste nel fornire una tecnologia robusta, innovativa e ben supportata dal partner che diventa il fornitore della “soluzione integrata” presso il cliente. Ma questa sinergia si ripete in ogni altra situazione, anche con partner di dimensioni più piccole e locali». A Red Hat spetta il compito di sviluppare soluzioni infrastrutturali, cloud (PaaS, IaaS) e middleware di grande valore – ai partner, system integrator, solution provider, OEM, ISV compete il task di integrare la tecnologia Red Hat con le proprie soluzioni e implementarle presso i clienti.
Vincere con i partner
«Il compito più importante per il partner Red Hat è saper intercettare le opportunità congiunte» – sottolinea ancora Leo. «Da parte nostra, c’è un forte impegno sul piano della evangelizzazione, una grande componente “educational” e comunicativa nel fare in modo che il partner conosca a fondo il valore delle soluzioni Red Hat e possa trasmetterlo al cliente, che proprio grazie al modello open source può disporre di risorse aggiuntive, che premiano anche i partner». Il canale diventa in questo modo un’interfaccia strategica verso il mercato, che consente a Red Hat di focalizzarsi meglio sulle tecnologie e raggiungere una tipologia di clientela più vasta, anche per dimensioni. Una scalabilità su cui Red Hat non potrebbe contare così facilmente agendo da sola. Secondo Leo, in Italia i partner più produttivi e coinvolti sono circa cinquanta, numero che cresce notevolmente se si includono anche i partner meno attivi. Oltre a system integrator globali – come Accenture o HP Enterprise Services, le cui relazioni vengono regolate anche a livello centrale, con i partner locali – la squadra coordinata da Leo si occupa anche dei grandi integrator e degli ISV verticali insieme ai partner manager e ai due distributori nazionali, Itway e Avnet.
«L’interesse nei confronti di nuovi partner è sempre elevatissimo» – conferma Leo. «Anche per questo collaboriamo con le università e cerchiamo di dare opportunità ai giovani sviluppatori. Il primo requisito è la qualità del software e delle soluzioni. Grazie alle nostre tecnologie possiamo rispondere a tutte le esigenze sul fronte del cloud, della trasformazione infrastrutturale e applicativa con le soluzioni Jboss, e sono convinto che nel nostro mercato – per noi e i nostri partner – si aprano intere praterie da esplorare. Pensiamo solo alla pubblica amministrazione: il software Red Hat può realmente fare la differenza rispetto al mondo proprietario portando innovazione, riduzione dei costi, nuovi servizi».
Un nuovo modello
Nella sua mansione di marketingmanager, DaniloMaggi interviene a proposito del grande potenziale di crescita di Red Hat in Italia, ponendo l’accento sullo sforzo di riposizionamento dell’azienda come leader di riferimento nelle aree più innovative. «La notorietà acquisita con Enterprise Linux non deve farci dimenticare lo spazio che Red Hat può acquisire nell’ambito del cloud computing, della virtualizzazione o in direzioni molto innovative come il software defined storage o il DevOps. Tutto questo implica una varietà di attività comunicative tradizionali verso la stampa specializzata, ma anche iniziative più direttamente rivolte al mercato, inclusi i seminari, la partecipazione alle grandi conferenze e gli eventi organizzati da noi in collaborazione con i partner». E infatti, il circuito europeo del Red Hat Forum prevede una tappa milanese per il prossimo 24 giugno, con la partecipazione, tra gli altri, di clienti come Sky e Trenitalia in qualità di testimonial e partner come Zimbra e Alfresco, con le loro proposte applicative nel campo della messaggistica e del content management. A Roma, nuovamente in calendario per novembre ritorna l’Open Source Day, che sotto la regia di Red Hat raccoglie una rappresentanza ancora più folta di partner e clienti italiani.
«Una componente essenziale della nostra strategia – aggiunge Maggi – è anche la collaborazione con il settore accademico, che oltre a rappresentare un mercato interessante, ci offre la possibilità di sviluppare nuova tecnologia e promuovere la conoscenza delle nostre soluzioni nei corsi universitari». Non solo. «Il messaggio che vogliamo portare va oltre l’aspetto dello sviluppo del software» – dice il responsabile del marketing di Red Hat. «La nostra esperienza può insegnare moltissimo su concetti come la community leadership e sul legame profondo che si deve instaurare tra tecnologia e il business».
I progetti open source stanno cambiando il volto dell’informatica aziendale, basti pensare che senza open source non esisterebbero fenomeni come il cloud pubblico di Amazon.
E il coinvolgimento di molti big dell’informatica “convenzionale” in progetti open source confermano questa tendenza, basta citare nuovamente il progetto OpenStack che vede Red Hat in prima linea.
Dopo vent’anni di crescita, consolidamenti e successi, la carica innovativa di Red Hat e l’affidabilità del suo software promettono di essere ancora un formidabile motore di trasformazione.