Alcune ricerche indipendenti, svolte per conto di Ricoh Europe interpellando numerose aziende grandi, piccole e medie a livello europeo, fotografano le tendenze in atto nella gestione dei processi documentali
Da tempo è in atto una progressiva trasformazione digitale delle aziende. Non è certo una novità. Ma chi prefigurava uno scenario completamente digitale in tempi brevi deve forse ricredersi, visto che le informazioni conservate sotto forma cartacea hanno ancora adesso un ruolo ben definito accanto alle informazioni digitali. Le ragioni sono molteplici, ma è interessante notare come non siano pochi i responsabili delle aziende europee che ammettono di non essere ancora pronti per entrare nell’era digitale, come è emerso da una ricerca condotta tra maggio e giugno 2013 da Coleman Parkes Research e commissionata da Ricoh (www.ricoh.it), il colosso della gestione documentale, con oltre 75 anni di storia e presenza a livello globale. In Italia, la società fattura circa 330 milioni di euro e gestisce 155mila dispositivi, con oltre 33mila clienti, dalle piccole e medie imprese fino ai grossi gruppi.
Digital transformation
Più in dettaglio, la ricerca ha rivelato che il 63% dei manager ritiene che la propria azienda sia ben lontana dall’essere pronta per la trasformazione digitale. Ma non solo: l’83% dei responsabili aziendali sono convinti che i CIO siano pronti per guidare questa trasformazione, ma non godono della piena legittimazione per farlo e per cambiare le attività da cui dipende la crescita del business. E, certamente non a caso, solo il 9% dei CIO interpellati ritiene di avere influenza ai fini del cambiamento in questa area. La ricerca ha anche messo in evidenza che i CIO possono avere l’opportunità di assumere un ruolo importante delineando la strategia digitale da seguire e favorendo la crescita dell’azienda, ma solo a patto che abbiano a disposizione gli strumenti necessari e siano coinvolti nei processi decisionali. I manager interpellati non hanno mancato di enucleare: in primo luogo, una significativa esperienza di marketing, poi conoscenze tecnologiche adeguate e infine competenze in merito ai processi di business. Però, solo una minoranza degli intervistati ha dichiarato che attualmente il CIO dispone di tutti gli strumenti necessari per implementare una strategia digitale di successo, che punti per esempio a un maggiore coinvolgimento dei clienti (13%) oppure a una gestione più efficace della supply chain (14%).
Superare le resistenze al cambiamento
Probabilmente, è anche per questo che i progetti di “digital transformation” vengono in prevalenza gestiti dal CTO e dal CIO (43%) e solo in seconda battuta dal CEO, cosa che avviene nel 30% dei casi. Tuttavia, se si considerano solo i responsabili dei sistemi informativi, questi hanno la leadership solo nel 21% dei casi. Tra l’altro, il CIO fa parte del consiglio di amministrazione in meno della metà delle aziende del campione (46%).
«I risultati della ricerca mettono in risalto che la maggior parte delle aziende sta attraversando un “periodo buio” nella trasformazione verso il digitale e non sempre è pronta per questo passaggio» – commenta Davide Oriani, CEO di Ricoh Italia. «In un periodo come questo, in cui ci si aspettano molti cambiamenti guidati dalla tecnologia, per le organizzazioni è importante essere flessibili allo scopo di adattarsi con rapidità alle nuove esigenze dei clienti e al contesto di mercato, in modo da mantenere o guadagnare vantaggi competitivi. Vincere le sfide connesse a questo cambiamento impone che il reparto IT non venga visto come una funzione di staff e di supporto. Invece, ai responsabili dei sistemi informativi andrebbe data la possibilità di innovare i modelli di business e le modalità di interazione con i clienti, introducendo cambiamenti nei workflow che incrementino la produttività. Grazie alle loro competenze tecnologiche e di business, i CIO hanno la possibilità di analizzare le modalità di lavoro tradizionali per innovarle, ottimizzando così i processi. I possibili benefici vanno oltre la riduzione dei costi, perché le aziende possono trarre vantaggio da modelli di business più produttivi e flessibili che facilitano la condivisione della conoscenza tra i dipendenti e aumentano la reattività di fronte alle esigenze espresse dai clienti. Partendo da questo approccio, il CIO sarà in grado di focalizzare l’attenzione sulla crescita del core business per guidare con successo l’organizzazione verso un futuro digitale».
L’ora degli iWorker
Ma il percorso verso la trasformazione digitale presuppone anche la presenza di risorse che abbiano accesso su base continuativa a tutte le informazioni utili a soddisfare le necessità dell’azienda e dei suoi clienti, configurandosi così in quelli che da più parti si chiamano “intelligent workers”, spesso abbreviati in iWorker. Continua Davide Oriani: «Per le organizzazioni di tutta Europa, è arrivato il momento di prepararsi al futuro, ottimizzando i processi documentali. In un contesto in cui aumentano le innovazioni e i cambiamenti guidati dalla tecnologia, gli iWorker sono fondamentali per la crescita aziendale e per aumentare l’efficienza, la produttività e la capacità di rispondere alle esigenze dei clienti». La fotografia di questa ulteriore tendenza in atto è stata effettuata in un’altra ricerca commissionata da Ricoh Europe e sempre condotta tra maggio e giugno 2013 da Coleman Parkes Research. Il dato principale emerso è che nei prossimi cinque anni il numero di iWorker delle aziende europee aumenterà in maniera esponenziale. Attualmente, solo il 4% dei manager europei definisce la maggioranza dei dipendenti della propria azienda con il termine iWorker, vale a dire knowledge worker che hanno accesso di tipo 24/7 a tutte le informazioni necessarie per gestire al meglio le esigenze dell’azienda e dei suoi clienti. Ma gli stessi interpellati prevedono comunque un cambiamento significativo entro i prossimi cinque anni: il 37% del campione è infatti convinto che entro il 2018, cioè di qui a cinque anni, la maggior parte della popolazione aziendale sarà costituita da iWorker. La crescita degli iWorker, rivela l’indagine, può essere vista come una risposta delle aziende alle conseguenze negative derivanti dall’inefficace condivisione delle informazioni. Dovendo stilare una graduatoria degli impatti più rilevanti causati da queste inefficienze, i manager interpellati hanno citato al primo posto la perdita dei ricavi (49%), seguita al secondo posto dalla perdita dei clienti (43%), mentre in terza posizione è stata indicata la conoscenza superficiale della realtà dei clienti (27%).
Investire in nuove tecnologie
Lo studio commissionato da Ricoh ha posto l’accento anche sul fatto che, prima di incrementare la presenza degli iWorker nelle aziende europee, si rivela necessario risolvere alcune importanti questioni. Infatti, se circa tre quarti delle imprese sta investendo in nuove tecnologie con l’obiettivo di migliorare la produttività dei dipendenti, sia quando sono in ufficio sia quando sono in mobilità, un numero altrettanto significativo mette in luce l’esigenza di rivedere i processi per consentire ai dipendenti di accedere con più facilità alle informazioni. Oltre il 70% dei manager è infatti persuaso che l’impossibilità di accedere ai documenti tramite dispositivi mobili costituisca un limite alla piena operatività dell’azienda, mentre due terzi evidenzia come le funzioni di ricerca inadatte impediscano di trovare le informazioni necessarie per contribuire alla crescita dell’azienda. Inoltre, il 62% dichiara che i tanto vituperati (a ragione) silos informativi non interconnessi stanno ostacolando la condivisione dei dati.
«Le conclusioni della ricerca sono piuttosto nette nell’indicare che il numero degli iWorker è destinato a crescere in modo significativo, ma la vera domanda che ci si deve porre è se le aziende sono pronte» – afferma Davide Oriani. «I top manager sono consapevoli più che mai della necessità di un’ulteriore ottimizzazione delle modalità con cui nelle aziende si utilizza la tecnologia e si gestiscono i silos informativi. Proprio per questo, diventa ancora più d’attualità l’esigenza di riesaminare e modificare le modalità di lavoro tradizionali, soprattutto per tenere il passo con i cambiamenti guidati dalla tecnologia, che inevitabilmente porteranno ancora nuove sfide».
I passi necessari
Ma quali sono le misure da intraprendere per consentire la crescita degli iWorker in azienda? La ricerca ha evidenziato alcune attività irrinunciabili. In prima posizione, per arricchire le competenze dei dipendenti è necessario mettere a disposizione strumenti per la collaborazione che favoriscono la condivisione della conoscenza e l’interscambio di informazioni tra persone che lavorano in differenti luoghi. Al secondo posto sono invece state menzionate l’ottimizzazione dei processi aziendali, per esempio tramite l’analisi delle modalità di lavoro dei dipendenti e l’utilizzo corretto delle tecnologie, e il passaggio al cloud. In quarta posizione, gli intervistati hanno citato la digitalizzazione dei documenti cartacei, con l’obiettivo di migliorare l’accesso alle informazioni, sia quelle attuali sia quelle presenti in azienda da tempo, che sono importanti e che agevolano i processi decisionali.
Meno carta più risparmi
Dalle ricerche citate fin qui emerge il peso che in azienda hanno tuttora le informazioni conservate sotto forma cartacea. È proprio a questo che ci si riferisce quando si parla di bigger data, che includono non solo le informazioni digitali ma anche i documenti cartacei alla base dei processi decisionali. A fotografare i contorni del fenomeno, ci ha pensato un’altra ricerca condotta a livello europeo nella primavera 2013 per conto di Ricoh. «Il crescente problema nella trattazione dei dati aziendali è dato anche dallo storico, che è in gran parte sotto forma cartacea, una modalità che è tuttora utilizzata in molte imprese» – mette in evidenza il CEO di Ricoh. Non a caso, una stima attendibile rivela che più del 50% delle aziende ha ancora dai cinque ai dieci anni di storico sotto forma cartacea: una mole di dati tuttora importanti per il business, che però talvolta non si rivela di agevole reperimento e consultazione. «La nostra ricerca ha – però – evidenziato che vi è molta consapevolezza sull’importanza dei documenti cartacei per le strategie di business e l’87% delle aziende intervistate concorda sul fatto che la digitalizzazione migliorerebbe i processi aziendali» – prosegue Davide Oriani. Inoltre, il 56% delle aziende italiane è convinta che digitalizzando le informazioni si otterrebbe una percentuale di risparmio quantificabile tra il 5 e il 20% del fatturato. Più in dettaglio, il 35% stima un risparmio tra il 5 e il 10%, mentre per il 21% la percentuale si colloca tra l’11 e il 20 per cento».
Capire i bigger data
Lo scenario attuale vede ancora un buon terzo delle aziende intervistate disporre di informazioni esclusivamente su carta. Segno che c’è ancora un lungo cammino da fare. La soluzione è a portata di mano: «La digitalizzazione delle informazioni può davvero rendere i processi decisionali più efficaci, perché solo la capacità di accedere facilmente alle informazioni, digitali o fisiche, può essere davvero utile per le organizzazioni che intendano effettuare il passaggio al digitale e favorire la crescita aziendale» – avverte Oriani. E infatti, la dematerializzazione sta diventando sempre più una priorità per molte organizzazioni: quattro intervistati su dieci (per l’esattezza il 39% del totale) sono convinti che i loro dati verranno completamente digitalizzati entro i prossimi tre anni. Dopotutto, conclude Davide Oriani, «le informazioni aziendali importanti esistevano già molto prima che si parlasse di big data: per questo è importante guardare al di là delle informazioni digitali: informazioni rilevanti, oltre ai dati storici, contenuti in documenti stampati, possono aiutare ad avere un quadro più completo e saranno sempre di fondamentale importanza nel futuro».