In collaborazione con altri organismi europei e con l’imprenditoria high-tech italiana, la creatività del team del Dipartimento di Fisica del Politecnico di Milano, ricercatori specializzati in laser impulsivi e magnetismo, permette di ottenere buoni risultati a dispetto degli scarsi finanziamenti pubblici
Tra mille difficoltà burocratiche e una cronica mancanza di sostegno da parte della finanza pubblica, la ricerca accademica italiana continua, nonostante tutto, a produrre risultati di rilievo. Una delle realtà di punta di un settore colpevolmente marginalizzato da una politica distratta da altri problemi, si trova al Politecnico di Milano, fucina – oltre che di buona ricerca – di una dose di imprenditorialità tecnico-scientifica decisamente superiore alle medie nazionali.
Vision ha già avuto modo di parlare di diverse startup incubate nei laboratori dei vecchi edifici di piazzale Leonardo Da Vinci. Questa volta, il focus dell’attenzione è l’intero team di ricercatori del Dipartimento di Fisica, uno staff di un centinaio di persone tra ordinari, associati, ricercatori affiancati da figure part time come dottorandi e tesisti sotto la guida di Rinaldo Cubeddu.
Cinque linee di ricerca
Parlando con Data Manager, Cubeddu spiega le cinque linee di orientamento lungo le quali si articolano le attività del Dipartimento, cinque aree dove domina la cultura scientifica dei laser e della fotonica e in cui tuttavia non manca l’expertise in discipline come il magnetismo dei materiali e la fisica dello stato solido. «La prima linea di ricerche è quella dei laser a impulsi ultracorti», spiega Cubeddu, riferendosi a laser in grado di emettere impulsi su intervalli di tempo estremamente brevi, dell’ordine di pochi femtosecondi (milionesimi di miliardesimi) o addirittura attosecondi (miliardesimi di miliardesimi di secondo). «Il laboratorio realizza sorgenti laser di questo tipo, per utilizzarle in studi di carattere fondamentale». Su intervalli di tempo tanto breve, aggiunge il professor Cubeddu, gli elettroni si “fermano”, è come disporre di un tempo di otturatore sufficiente per fotografarli.
Un altro ordine di studi riguarda le sorgenti di luce coerente, come il laser, ma su lunghezza d’onda diverse dal visibile, come l’ultravioletto o la radiazione X. Lo scopo è realizzare apparecchiature di sincrotrone di dimensioni molto ridotte, da banco, da utilizzare a loro volta per diversi campi applicativi. «La luce ottenuta è molto potente e può interagire con i materiali. Una delle possibilità è costruire nei materiali dei canali molto sottili, per applicazioni come la microfluidica, importante per la biologia».
La seconda delle cinque linee riguarda ancora una volta il laser e le apparecchiature di generazione laser a stato solido per applicazioni nel campo delle telecomunicazioni, dell’aerospaziale e del monitoraggio ambientale, come il rilevamento dei gas nell’atmosfera. Anche in questo caso i ricercatori del Dipartimento svolgono una doppia funzione applicativa e fondamentale, indagando e validando per esempio i meccanismi della meccanica e dell’ottica quantistica, che possono avere risvolti pratici in campi molto avanzati e utili come la crittografia.
Il terzo filone è più applicativo e coinvolge i laser a impulsi ultra-corti utilizzati, con gli opportuni trattamenti, per effettuare diversi tipi di indagine in ambiti come la biomedicina, la tutela dei beni culturali e nell’agroalimentare. «Si va dalle mammografie alle scienze neurologiche e riabilitative in campo biomedico, alla possibilità di guardare sotto tessuti biologici particolari come la buccia della frutta, per verificarne la qualità e il grado di maturazione». Nell’industria agroalimentare e nella grande distribuzione organizzata, spiega infatti Cubeddu, vengono utilizzate tecniche che consentono di rendere sempre più automatico e controllato il problema dello smistamento e classificazione di frutta e ortaggi, dal monitoraggio del raccolto allo stoccaggio e alla vendita.
Conservatori dei musei e restauratori di opere d’arte si servono delle stesse fonti di luce per effettuare diagnosi e interventi sugli strati di vernice in quadri e affreschi, identificando la presenza di sostanze contaminanti e misurando il grado di uniformità dei pigmenti. Il responsabile del Dipartimento di Fisica del Politecnico sottolinea a questo proposito l’importanza della mutlidisciplinarietà in ricerche estremamente complesse, che richiedono la stretta collaborazione tra scienziati di discipline diverse, ma anche di storici dell’arte, delle tecniche e dei materiali pittorici.
Le ultime due linee di ricerca coinvolgono gli scienziati del Politecnico di Milano in altre sedi geografiche, presso il distaccamento dell’Università tecnologica milanese a Como per la quarta linea riguardante le proprietà magnetiche dei materiali e per la quinta, riguardante invece le attività sperimentali che si svolgono presso il centro Esrf di Grenoble dove è in funzione un sincrotrone utilizzato – a differenza degli anelli in cui le particelle accelerate vengono fatte scontrare per indagare i misteri della fisica subnucleare – per generare particolari tipi di luce e radiazione elettromagnetica. Gli esperti di magnetismo studiano nuovi materiali da utilizzare per i dispositivi di memoria dell’informatica, dedicandosi però anche ad aspetti applicativi in campo biomedico. «Tra queste ricerche c’è per esempio quella che rende possibile associare magneti estremamente piccoli alle molecole, realizzando marcatori magnetici che consentono ai medici di effettuare diagnosi molto particolari», afferma Cubeddu.
Il progetto Polycom
Ricordando i lavori nel campo della spettroscopia con radiazione di sincrotrone svolti dai ricercatori a Grenoble, Cubeddu segnala infine il ruolo che il Politecnico riveste in Europa come membro della rete di 26 laboratori laser avanzati finanziati dall’Ue, European Large Scale Infrastructures. In Italia sono presenti, al Politecnico di Milano e al Lens di Firenze, i due centri di un network che abbraccia 14 nazioni.
Uno dei frutti più recenti di tutto questo variegato ventaglio di attività, è il progetto Polycom, anch’esso finanziato a livello europeo e finalizzato alla creazione di nuovi tipi di fibre ottiche in plastica “attive”. A parlarne con Data Manager è Guglielmo Lanzani il coordinatore di questo progetto, che ha coinvolto gruppi di ricercatori in Gran Bretagna, Germania e Portogallo e piccole imprese high tech come la bresciana Luceat. «Le fibre ottiche in materiale plastico sono più dispersive di quelle in vetro, non funzionano bene sulle grandi distanze, ma hanno un diametro che consente di piegare le fibre con raggi di curvatura maggiore, più adatta a cablare ambienti di piccole dimensioni come gli abitacoli delle automobili e dei velivoli». A questo determinante vantaggio pratico, i team di scienziati di Polycom hanno aggiunto l’ingrediente del “drogaggio” delle fibre in plastica con cosiddette “molecole organiche coniugate” che rendono possibili, direttamente sulla fibra e senza ricorrere alle normali tecniche di conversione optoelettronica, applicazioni di commutazione e modulazione della luce trasportata. «In pratica utilizzo un laser impulsivo per modulare la luce trasmessa da un altro laser», spiega Lanzani. Grazie a questi materiali, conclude il ricercatore, diventa possibile implementare tecniche di multiplazione dei segnali a divisione di tempo oltre che di lunghezza d’onda, realizzando per esempio sistemi di commutazione puramente ottica.