Se si dovesse misurare sulla base della frequenza di articoli, inchieste e convegni, il cloud dovrebbe essere la prospettiva dominante dell’industria IT. Ma è davvero così? Se prendiamo per buone le stime dei maggiori osservatori – tra cui NetConsulting, Idc, Politecnico di Milano – il vero mercato, quello del cloud “pubblico” oscilla tra i 200 e i 250 milioni di euro, poco meno dell’1,5% della spesa IT complessiva. All’incirca analoga – o poco superiore – è la spesa relativa al private cloud, che in definitiva è una modalità di organizzazione IT interna delle aziende. Insomma, un business che nel suo complesso è pari al fatturato di una media azienda. Certo, un mercato in crescita, ma sostanzialmente in sostituzione di altre forme di investimento il più delle volte all’insegna del risparmio. Nello stesso tempo, proprio al cloud si guarda per dare una risposta ai nuovi trend della società digitale: mobilità, big data, social networks… Si tratta di aspettative motivate? La vera domanda è proprio qui. A conclusione della tavola rotonda, che a inizio estate ha accompagnato la presentazione dell’annuale Osservatorio Cloud al campus del Politecnico di Milano, la domanda di Karl Manfredi, amministratore delegato di Bennercom, (uno dei più recenti player nel settore), che chiedeva se «big data» volesse dire anche «big money» – è suonata tutto fuor che di circostanza.
Una crescita a doppia cifra – «La notizia positiva è che, pur a fronte di un rallentamento rispetto all’anno precedente, il cloud computing cresce ancora a doppia cifra e a ritmi che sono di circa 14 punti superiori a quelli del mercato IT complessivo» – ha detto Stefano Mainetti, responsabile scientifico dell’Osservatorio Cloud e ICT as a Service del Politecnico di Milano. Per il think tank milanese, che proietta le sue stime a metà anno, il 2012 ha visto il cloud “pubblico” pesare per 203 milioni, un po’ meno dei 240 del “privato”, mentre quest’anno si prevede una crescita del 13%, a 229 milioni (264 milioni, +10% il privato), ritmo dimezzato rispetto all’anno prima. Secondo queste stime, il cloud infrastrutturale (IaaS) ha pesato per 123 milioni, contro i 10 del PaaS (Piattaforme) e i 70 di quello applicativo (SaaS). La notizia meno confortante è il basso peso delle PMI, intese come aziende al di sotto dei 250 dipendenti: solo una decina di milioni. La percentuale di quante hanno adottato soluzioni cloud – o pensano di farlo – non va oltre il 20 (le piccole) o il 28 (le medie) per cento: dalle due alle tre volte meno delle aziende più grandi. Da una parte, gli esperti dell’Osservatorio rilevano che è proprio questo il “ventre molle” dell’IT, ma a questo si somma anche la difficoltà manageriale del condurre una valutazione appropriata di investimenti, vantaggi, opportunità e definire un piano di migrazione per il “cloud journey”. Non a caso, la difficoltà di pianificare l’integrazione con l’infrastruttura in azienda e quella di quantificare costi e benefici sono indicati nella survey come i due ostacoli maggiori all’intrapresa di questo “viaggio”, citati dal 40 e dal 38 per cento delle aziende intervistate. Un po’ più ottimistiche sono le stime di NetConsulting, che misura il public cloud in 260 milioni di euro nel 2012, con un deciso aumento del 48,6%. «Non sono ancora grandi numeri, ma è un mercato in crescita, anzi uno dei segmenti più dinamici del digital market» – ha spiegato Riccardo Zanchi, partner della società di analisi e consulenza che fornisce i dati anche ad Assinform. «Il 2013 vedrà una crescita rallentata, ma pur sempre dell’ordine del 20-30%, con ritmi che risentono di una serie di fattori: da una parte c’è naturalmente l’effetto del rallentamento dell’economia, dall’altra c’è l’armonizzazione con i cicli di investimenti e di ammortamento. Per valutare effettivamente l’orientamento al cloud delle aziende, soprattutto le minori, bisognerà avvicinarci al fine ciclo delle tecnologie oggi in uso – o dei contratti di outsourcing – perché poi gli impatti saranno anche organizzativi, oltre che finanziari e tecnici». Un passaggio non così automatico, insomma, e Simona Lissemore, product manager della società milanese, ha sottolineato che spesso i confini tra SaaS e outsourcing sono labili: «C’è una “coda lunga” – ha detto Lissemore – con un mercato nascosto, in cui il passaggio al cloud implica anche un’ottimizzazione del parco applicativo. E non si tratta semplicemente di adottare delle soluzioni più o meno pacchettizzate, come – per esempio – un Office 365». Stime vicine a quelle di NetConsulting vengono anche da IDC che nelle sue analisi più recenti valuta in 265 milioni il mercato “public” 2012. «è una crescita del 24% cui stimiamo ne seguirà una quasi analoga, attorno al 23%, quest’anno. Per il “private” siamo a 230 milioni, in crescita rispettivamente del 36 e del 20% nei due anni» – ha rilevato Sergio Patano, analista specializzato in business cloud, che vede il cloud comunque come «un bambino che cresce con ritmi più che interessanti» e che ricorda come IDC identifichi nella nuvola «un’offerta “classica”», quindi di infrastrutture, piattaforme, applicazioni IaaS, PaaS e SaaS, con esclusione di contenuti e pubblicità (contemplate invece nei numeri di Gartner, ndr) e caratterizzata da due elementi di base: «La possibilità di disporre di un chiaro sistema di addebiti (chargeback) e di realizzare un completo self-provisioning, con un “cruscotto”, che permetta all’utente di individuare e personalizzare il livello di servizio richiesto». Lo stesso Patano ha osservato inoltre che «la dimensione del cloud italiano è simile a quella di altri paesi con cui siamo soliti confrontarci e in particolare con quelli dell’Europa mediterranea che, soprattutto quando si parla di servizi IT, sono notoriamente più prudenti di quelli del Centronord dell’Europa». Del resto, non c’è da stupirci di valori ancora apparentemente contenuti: «Questo è un mercato che punta sull’ottimizzazione e a parità di costo, la soluzione cloud è intrinsecamente più efficiente. Le aziende con cui parliamo ci confermano l’interesse per le due maggiori leve: il saving da una parte, la grande flessibilità operativa e di provisoning dall’altra. In ogni caso, si tratta di un mercato che cresce a ritmi tra i più veloci dell’intero settore IT». Più ottimistiche sono per IDC anche le stime che riguardano le PMI: «Dalle nostre valutazioni si tratta del 20% della spesa complessiva. Le aziende fino a 250 addetti muovono un business cloud attorno ai 50/60 milioni di euro. L’intero mercato del cloud rappresenta un po’ più del 2% del fatturato italiano dell’IT e il cloud pubblico da solo circa l’1,4%. Sono ancora quote contenute, ma in chiara crescita e ormai la progressione è chiara».
La rete fondamentale per le PMI – Che cosa potrà accelerare questo trend? Il quadro è dinamico. Se l’Osservatorio del Politecnico, fino all’anno scorso, poneva la sicurezza ai primi posti tra i punti critici, oggi emergono altre considerazioni, come l’integrazione con le applicazioni legacy. Per gli analisti di Idc, il tema della sicurezza dei dati resta – però – rilevante soprattutto in alcuni settori, come quello della sanità (l’interesse maggiore è per ora individuato sul versante della sanità privata alla ricerca di efficienza). C’è tuttavia ancora un nodo decisivo da sciogliere ed è quello della rete. «Le PMI in particolare devono fare i conti con le prestazioni ancora insufficienti della loro rete d’accesso» – osserva Riccardo Zanchi. «E’ un problema grave che – proprio perché stiamo parlando di cloud e quindi di accesso agli archivi e di scambio di informazioni – riguarda anche la simmetria dei collegamenti e quindi l’uplink. In prospettiva, fornire soluzioni cloud con all’interno un’offerta di connettività potrà divenire la carta vincente, soprattutto per quelle aziende che richiedono semplificazione nelle soluzioni, quindi un fornitore globale».