Ripresa lenta e contesto europeo incerto. La crisi che non passa, il ruolo delle banche e della politica davanti alle necessità delle imprese e dell’occupazione
Se l’Italia supererà l’esame di fine maggio della Commissione europea sulla procedura di infrazione (deficit/PIL sotto il 3%), potrebbe avere uno sconto sulla pena e un bonus di due anni (come la Spagna) per fare gli investimenti per sostenere crescita e occupazione, che secondo l’Istat nel 2014 raggiungerà il 12,3% (+1,6% dal 2012). Intanto – però – gli stessi economisti della Commissione ammettono che «non vi sono segnali di ripresa nel breve termine». Un altro duro colpo sullo stato dell’economia italiana arriva dall’OCSE. Il rapporto debito/Pil salirà al 131,5% nel 2013 e ancora al 134,2% nel 2014. Nel rapporto, si legge che “con un rapporto debito/Pil vicino al 130% e un piano di ammortamento del debito particolarmente pesante, l’Italia rimane esposta ai cambiamenti improvvisi dei mercati finanziari. La priorità è quindi la riduzione ampia e prolungata del debito pubblico”. Tradotto significa che secondo il nuovo quadro di previsione contenuto nell’Economic Survey, l’indebitamento netto sfonderà di nuovo la soglia del 3% del Pil quest’anno e il prossimo, toccando prima il 3,3% e poi il 3,8%.
Anche le previsioni dell’economista Nouriel Roubini non sono positive nel breve periodo. Anzi, il 2013 potrebbe rivelarsi peggio del 2008. E se a dirlo è uno dei pochi economisti che ha anticipato il collasso del mercato immobiliare e la recessione mondiale del 2008, forse meglio prepararsi al peggio. Sarebbe bello se collegando in parallelo tutti i computer e processando tutte le informazioni del mondo con analytics in-memory fosse possibile prevenire le crisi economiche o – quantomeno – avere uno scenario evolutivo sul futuro dell’Europa.
Nel corso degli ultimi trent’anni, abbiamo disarticolato il potere dalla responsabilità, il lavoro dal capitale, la finanza dall’economia. Subito dopo la crisi del 2008 tutti parlavano di regole, oggi nessuno ne parla più. L’Europa potrebbe varare subito un pacchetto di misure per staccare la spina alla spirale che ha innescato la crisi del debito sovrano, cominciando dalla netta separazione tra attività bancaria di sostegno all’economia dall’attività bancaria di investimento.
ll Glass-Steagall Act del 1933 fu la risposta del Congresso degli Stati Uniti alla crisi finanziaria iniziata nel 1929 che all’inizio del 1933 mise in ginocchio numerose banche americane La legge fu abrogata nel 1999, sotto l’amministrazione democratica di Bill Clinton.
Di fronte agli effetti della crisi che non passa, che dalle banche è passata all’economia reale, arrivando a intaccare la sovranità degli Stati, forse anche Adam Smith avrebbe dovuto ammettere che la mano invisibile del mercato alla fine, non è in grado di regolare il sistema, soprattutto se per altre “mani invisibili” la crisi è fonte di guadagno.
Puntare il dito contro gli economisti che non hanno saputo comprendere i segnali e le banche che non sanno fare più il loro mestiere, non serve a nulla. Le banche, anche quando erano Monti di Pietà, non sono mai state né “sante” né “venerabili”. La crisi fa emergere i nodi strutturali, gli errori commessi, la polvere accumulata sotto il tappeto dalle generazioni precedenti. Quando arriva il momento di pagare il conto, il problema è di chi lo riceve.
Per Nouriel Roubini, che abbiamo incontrato a Milano in occasione del World Business Forum, ospite di Marco Icardi, amministratore delegato di SAS Italia, «nulla cambierà senza nuove regole e contromisure forti. Il rischio di un crollo sistemico, dall’Europa agli Stati Uniti, dalla Cina al Medio Oriente non è ancora passato».
Professore alla Stern School of Business e all’Università di New York, è passato dal FMI alla Federal Reserve americana per approdare infine alla Banca mondiale. Nato a Istanbul, cresciuto in Italia con residenza nord americana, Roubini, dal 1962 al 1983, ha frequentato a Milano la scuola ebraica e l’Università Bocconi. Le sue previsioni pessimistiche gli hanno valso l’appellativo di Dottor Destino. Ma il futuro che abbiamo davanti dipende da forze che non possiamo controllare oppure la crisi nasce dalla contrapposizione di interessi egoistici e dall’avidità?
Il peggio forse deve ancora arrivare.
Data Manager: La crisi che non passa. Qual è la questione di fondo?
Nouriel Roubini: Nulla è cambiato dalla crisi finanziaria del 2008. La finanza è sotto interrogativo etico, ma il problema spread continuerà a intensificarsi. Si stanno concentrando molte condizioni che potrebbero scatenare una crisi economica e finanziaria simile a quella del 2008, con la differenza che questa volta saremo a corto di contromisure. I tassi di interesse sono già ai minimi storici. Al problema della liquidità per mancanza di fiducia all’interno del sistema bancario, si è aggiunto il problema della solvibilità. I disavanzi di bilancio continuano a crescere. Nel 2008, i governi hanno salvato le banche, adesso i governi devono salvare se stessi.
L’Eurozona ha molti problemi economici, finanziari e fiscali. Il debole recupero statunitense può portare a una nuova recessione. L’instabilità politica del Medio Oriente, il prezzo del petrolio e la situazione tra USA, Israele, Iran e Siria potrebbero innescare una tempesta mondiale.
Quali sono le questioni che i Paesi del Sud Europa come l’Italia devono affrontare?
Ogni Paese ha i suo problemi, come le famiglie. Il problema dell’Italia è il debito pubblico e la mancanza di crescita correlata a una scarsa produttività. Per l’Italia le cause sono sostanzialmente tre. L’austerità fiscale necessaria per riequilibrare i conti, che produce – però – effetti recessivi. L’euro troppo apprezzato, in particolare sul dollaro, che penalizza un’economia fortemente orientata all’export. Il minor reddito disponibile e la scarsa fiducia di aziende e famiglie deprimono i consumi.
Che cosa pensa della legge sul pareggio di bilancio?
I conti in ordine sono alla base. Se paragoniamo il bilancio di uno Stato a quello di una famiglia, è normale fare un debito per comprare la casa o fare studiare i figli. I debiti però devono servire a qualcosa, non devono finire per strozzare i figli più piccoli.
L’economia dell’Occidente può tornare a essere la locomotiva del mondo?
La ripresa sarà molto lenta e dipenderà ora più che mai dal contesto europeo e dalle misure che si prenderanno. La ripresa è possibile, ma le cause di fragilità sono molte. Il recupero delle economie avanzate è fragile e tutto sta a indicare che sarà così per molto tempo, mentre la crescita di mercati emergenti come la Russia, India, Brasile, Argentina, Turchia e Messico è in rallentamento.
L’Europa deve tornare a essere una casa comune. La mano pubblica deve creare un ecosistema più favorevole al business e all’occupazione, agendo sul piano finanziario, la leva fiscale, portando avanti le riforme strutturali.
Da dove si comincia?
Dalla lotta agli sprechi. Dall’esempio. Dal buon governo fuori e dentro le imprese. Bisogna ripristinare le condizioni per la crescita economica. L’austerità deve essere finalizzata al raggiungimento di uno scopo, come i sacrifici che fa una famiglia. Se l’austerità non è finalizzata, la gente scenderà in piazza e i governi saranno sempre più instabili.
Si possono adottare iniziative a sostegno dei redditi delle famiglie e delle imprese, abbassando le tasse sul lavoro ma il ritmo è ancora troppo lento. Se si vuole almeno provare a recuperare terreno bisogna correre. Bisogna seguire il processo di globalizzazione, non subirlo. Le imprese di successo sono quelle che avranno saputo sviluppare l’innovazione e la conoscenza. Penso alle utility energetiche, all’economia digitale, alla biotecnologia.
Per ristrutturare l’Italia si può puntare sull’innovazione tecnologica?
L’Italia è un Paese con enormi potenzialità ancora da esprimere. In Italia c’è un eccellente capitale umano diffuso, le aziende sono flessibili e reattive, e sono sempre state capaci di grande innovazione, anche in contesti difficili. È tutto il sistema Paese che ha bisogno di una profonda ristrutturazione. Bisogna ridurre la burocrazia, facilitare la creazione di start-up, puntare sull’educazione e sull’innovazione tecnologica e la digital economy. Oggi, le tecnologie digitali avanzate forniscono strumenti incredibili per abilitare strategie vincenti e nuovi modelli di business. Le aziende italiane dovrebbero puntare di più su questo driver per acquisire le nuove competenze e le caratteristiche necessarie alle aziende per competere nel mercato globale.