Non è più tabù. O quasi…

L’Open Source si fa strada nei processi della pubblica amministrazione e inizia ad avere importanti fondamenta normative

di Paolo Storti, amministratore di Studio Storti

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Paolo Storti, amministratore di Studio StortiDal 2005, anno in cui entra in vigore il Codice dell’Amministrazione Digitale (CAD), fino alla pubblicazione della circolare n. 63/2013 che detta le linee guida per la valutazione comparativa prevista dall’art. 68, i prodotti Open Source hanno raggiunto una maturità tecnica e una diffusione tali da renderli spesso leader del loro settore. Anche l’attuale situazione economica ha giocato un ruolo importante: la crescente necessità di ridurre i costi strutturali e la necessità di lavorare con standard aperti, hanno portato finalmente i legislatori a dettare regole per standardizzare il processo di selezione del software da parte della PA.

In base all’ultima versione del CAD, esiste l’obbligo di effettuare una valutazione comparativa tecnico-economica tra soluzioni proprietarie e software libero o a codice sorgente aperto e – solo nell’impossibilità, debitamente motivata – ad accedere a soluzioni Open Source o riusabili, è giustificata l’acquisizione di software proprietari.

L’art. 68 del CAD infatti sancisce che “le pubbliche amministrazioni acquisiscono programmi informatici o parti di essi nel rispetto dei principi di economicità e di efficienza, tutela degli investimenti, riuso e neutralità tecnologica, a seguito di una valutazione comparativa di tipo tecnico ed economico tra le seguenti soluzioni disponibili sul mercato: software sviluppato per conto della pubblica amministrazione; riutilizzo di software o parti di esso sviluppati per conto della pubblica amministrazione; software libero o a codice sorgente aperto; software fruibile in modalità cloud computing; software di tipo proprietario mediante ricorso a licenza d’uso; software combinazione delle precedenti soluzioni”.

Utilizzare un prodotto Open Source vuol dire svincolarsi dal costo di licenza per l’utilizzo di un software e, nel rispetto delle normative sulle licenze d’uso del prodotto, ne permette la ridistribuzione, la personalizzazione o l’integrazione con software di terze parti.

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Taglio dei costi

Per la PA, l’Open Source permette un taglio delle spese correnti imputate a bilancio: elimina il costo di licenza per il regolare utilizzo dei prodotti informatici e ne riduce i costi di supporto che naturalmente anche il software Open Source richiede per sfruttarlo al meglio.

A differenza dei prodotti proprietari, l’aggiornamento di un software Open Source non richiede ulteriori costi aggiuntivi offrendo il vantaggio di utilizzare un prodotto sempre al passo con i tempi.

E’ chiaro che per la PA, utilizzare un software libero significa adempiere alla normativa vigente, fornire al cittadino dei formati aperti e consultabili, risparmiare denaro pubblico, creare e mantenere posti di lavoro e sviluppare l’indotto, ciò consente di rimettere in circolo le risorse investite avvalendosi di professionalità locali di eccellenza, e creando così anche un ritorno in tassazione e PIL.

Questo però va fatto con l’attenzione e la consapevolezza di quanto offre il mercato e nel rispetto della normativa, per fare scelte mature e consapevoli senza incorrere in “errori” come nel caso citato dalla circolare 6 dicembre 2013 n.63 che al punto 4.1.1 specifica che “possono appartenere alla famiglia dei software proprietari anche alcuni applicativi nominalmente dichiarati liberi, quali ad esempio MySQL, Zimbra, Alfresco. Infatti i titolari del copyright di questa tipologia di software, anche se rilasciato sotto condizioni copyleft, quindi di software libero, possono distribuirli con una doppia licenza, di cui una proprietaria e una di software libero. La licenza proprietaria è legata tipicamente ai livelli garantiti di assistenza, oppure alla possibilità di includere il prodotto in opere derivate altrettanto proprietarie (opzione che sarebbe esclusa se si facesse affidamento sulla licenza copyleft)”.

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Da questa importante dichiarazione si evince chiaramente che la versione proprietaria di un software come Zimbra va trattata come un normale software proprietario e vi si deve quindi preferire per norma la versione Open Source, eventualmente corredata da prodotti e servizi che ne completino le funzionalità ove richieste e/o mancanti.