NO SIGN – 2014 – Di che cosa le imprese ICT non vorrebbero più sentire parlare?

Telecoms + IT + Media + Entertainment = TIME. “Time for change”. È questa la formula che i CEO, i presidenti, gli amministratori delegati, i country manager, i direttori generali delle più importanti imprese ICT vorrebbero vedere mettere in pratica per costruire insieme alla politica e alla società civile un nuovo futuro di crescita per il Paese

Nella parte finale delle Città invisibili di Italo Calvino si legge: “L’inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n’è uno, è quello che è già qui, l’inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l’inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e approfondimento continuo: cercare e sapere riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio”. Dal dopoguerra a oggi, abbiamo imparato a costruire e a distruggere. Abbiamo conosciuto il miracolo economico, fatto la rivoluzione dei costumi, quella della comunicazione, siamo diventati elettori in trincea, agitando vessilli e poi consumatori in poltrona, agitando il telecomando. Possiamo costruire una civiltà ragionevole delle riforme, con parole diverse. Istruzione, lavoro, laboratorio, ricerca, coraggio, cambiamento lento, ma profondo. Ecco: un ottimismo ragionevole. Non ci sono ricette veloci. Se non affrontiamo il problema della produttività e della domanda, nessuna normativa del lavoro potrà funzionare. La flessibilità da sola non produce occupazione. Sul banco degli imputati, c’è spazio per molti colpevoli: gli imprenditori quando sono più uomini d’affari che uomini di impresa, capaci di portare innovazione e sviluppo; i sindacati spesso fermi al secolo scorso; il fisco che trasforma i cittadini in sudditi con tasse e balzelli esosi e pasticciati; la burocrazia sempre più intricata e costosa; l’Unione europea che con regole poco realistiche imposta come criterio di fondo la stabilità, ma non la crescita.

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L’Italia che può farcela

Basta parlare di crisi come di un destino ineluttabile al quale non è possibile opporsi. Basta arrendersi senza aver provato a cambiare prima noi stessi. Basta parlare di Agenda Digitale e di start-up come uno slogan. Basta parlare di sicurezza fine a se stessa. Basta con i progetti buoni sulla carta, ma che riservano sorprese al momento dell’implementazione e del roll-out. Basta con lo spreco di tempo e di risorse. Basta credere che l’innovazione sia solo un modo per tagliare i costi, senza capire che l’innovazione è il motore della crescita e della competività. Basta parlare di spending review per giustificare il perdurare dell’inefficienza della pubblica amministrazione. Basta credere che la tecnologia da sola possa risolvere i problemi delle imprese. Basta scuse per rimandare ancora il processo di digitalizzazione del Paese. Basta con la contrapposizione ideologica tra imprese e sindacati in nome della difesa del lavoro. Basta parlare di innovazione, se non pensiamo al potenziale delle future generazioni. Basta con i tavoli, rapporti e commissioni. Basta con le promesse che non si trasformano in fatti. Basta con la rassegnazione al declino e alla sofferenza. Basta guardare il mezzo bicchiere vuoto. Bisogna invece rimboccarsi le maniche e mettere al centro del dibattito politico la riforma del lavoro, gli investimenti nelle infrastrutture tecnologiche, il talento delle persone, la creatività che sta alla base dell’imprenditorialità e la cultura che fa crescere l’occupazione, per tornare a parlare di giovani e futuro: un connubio imprescindibile affinché l’Italia torni a essere un Paese capace di offrire prospettive e opportunità. È con questo spirito che le imprese ICT guardano avanti, andando oltre le cifre e le previsioni degli analisti per il settore.

L’anno delle scelte

Il 2014 si apre come l’anno delle scelte che cambieranno il futuro, a cominciare dalle elezioni per eleggere il Parlamento europeo, che decideranno se vogliamo un’Europa più aperta, solidale, capace di guardare alle radici della cultura sociale d’impresa oppure chiusa, egoista, capace di accogliere i capitali, ma non le persone. Gli Stati Uniti d’Europa sono la grande opportunità di portare a termine il grande progetto di trasformare l’Europa della moneta nell’Europa dei popoli. Intanto, secondo i dati Istat, l’industria italiana rialza la testa e dopo quasi due anni torna a crescere. Ma il rischio è una ripresa senza lavoro. Ed è questa l’altra faccia dell’innovazione tecnologica con cui il Paese – che negli ultimi venti anni ha sistematicamente tagliato in modo lineare i fondi per l’istruzione, la ricerca e lo sviluppo – deve fare i conti. La recessione dalla quale l’Italia sta uscendo molto a fatica è stata pesantissima e non ha risparmiato nessuno. Nessun settore produttivo è rimasto indenne, dal Nord al Sud. Un quarto della produzione industriale è andata in fumo. Le vendite al dettaglio sono ai livelli del 2005. I prestiti alle imprese hanno subito un calo record.

Fragile Italia

Secondo le stime contenute nel rapporto “Global Employment Trends 2014» dell’International Labour Organization, il tasso di disoccupazione in Italia stimato al 12,2% nel 2013 è destinato a salire ancora nei prossimi anni, attestandosi al 12,6% nel 2014 per poi arrivare al 12,7% nel 2015. La crisi dell’economia italiana ha radici lontane. Non è solo il risultato delle sofferenze degli ultimi cinque anni, ma anche l’effetto dell’azzeramento graduale della capacità complessiva dell’economia italiana di crescere in modo duraturo. Uscire da questa situazione e ritrovare la strada della crescita è ormai la priorità assoluta per l’Italia. E mentre il Paese è distratto da cose di poco conto, il debito pubblico ha toccato il nuovo record, sfondando quota 2.104 miliardi. Rispetto al resto dell’Europa, il PIL italiano resta più lento e basso secondo il Centro studi Confidustria. Il PIL italiano – si legge nel rapporto di viale dell’Astronomia – è diminuito del 9,1% rispetto al picco pre-crisi toccato nel 2007. A preoccupare sono la rincorsa senza fiato della ripresa, la revisione della spesa da revisionare e le riforme da riformare. Secondo il Centro studi degli industriali, «metà di questa riduzione non verrà recuperata prima del 2019. Per l’altra metà, la perdita sarà ancora più duratura. La profonda e lunga recessione ha intaccato nettamente il potenziale di crescita, abbassandolo dall’1,1% a meno di mezzo punto percentuale nel medio termine». Dopo la batosta – secondo Confidustria – l’Italia ha minore capacità di recuperare ciò che ha perso negli anni. Ma non è solo la ricchezza perduta a preoccupare. Ci sono anche la mancanza di coesione sociale e l’illegalità diffusa che pesano al pari del gap infrastrutturale. La legalità è come una catena che tiene insieme economia e sviluppo. Tutti facciamo parte di questa catena. Basta che un solo anello sia debole per mettere a rischio il sistema. L’illegalità ruba il lavoro ai giovani, altera la libera competizione tre le imprese. I comportamenti e le singole pratiche fanno la differenza. Questa è l’unica rivoluzione possibile, per un Paese che si gioca il futuro.

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Troppi processi

In Italia, la durata media dei processi civili ammonta a circa tre anni. In ragione di questo record negativo, l’Italia è collocata al 157esimo posto su 183 nazioni nella graduatoria annuale della Banca Mondiale e rappresenta il fanalino di coda dei paesi dell’OCSE. L’Italia possiede il primato per i tempi più lunghi delle cause civili e i costi più elevati. La Commissione Europea e il Consiglio hanno evidenziato la necessità che l’Italia adotti misure volte a ridurre la durata delle procedure di applicazione del diritto contrattuale, la cui eccessiva lunghezza rappresenta uno dei profili di debolezza del nostro contesto imprenditoriale. La concorrenza è un valore chiave di una buona cultura d’impresa. A patto che sia aperta, rispettosa delle regole, giocata secondo i principi costitutivi del buon mercato: la qualità, il miglior prezzo, il prodotto più innovativo, il servizio più efficiente. La questione della legalità diventa una questione di politica economica. La legalità è un asset fondamentale della competitività di un territorio, una leva essenziale dello sviluppo, non solo economico, ma anche sociale. L’inefficienza della giustizia civile, quale pilastro tra le istituzioni di un’economia di mercato – secondo Banca d’Italia – mette seriamente in discussione i diritti di proprietà, i contratti, la promozione della concorrenza.

Troppe tasse in Italia

Il Total tax rate (l’ammontare complessivo dei carichi fiscali e previdenziali sui redditi d’impresa) è al 65,8%, il maggiore d’Europa (in Germania è il 49,4%). E con un’economia sommersa pari al 21,6% del PIL, la pressone fiscale sui contribuenti onesti è del 56,2%. Non a torto, Confindustria sottolinea: evasione fiscale, pressione tributaria e normativa onerosa ipotecano la competitività delle imprese italiane. Un circolo vizioso contro lo sviluppo economico.

Il cambiamento

Le cifre ci dicono che la recessione è alle spalle, ma la crisi che ha bruciato posti di lavoro, competenze e ricchezza, bloccato il mercato interno per eccesso di austerità invece no. L’economia mondiale torna a crescere tra nuove contraddizioni. Il surplus manifatturiero ha superato i 110 miliardi (dati Eurostat), ma l’industria non può vivere solo di export. C’è bisogno di un salto di qualità e anche di un salto di civiltà. Tutti parlano di competitività, ma spesso ignorano il senso profondo di questa parola, che non indica un punto in più nel bilancio, ma rappresenta una sorta di imperativo morale, significa puntare all’eccellenza, essere migliori, come manager, come padri di famiglia e come uomini. Oggi, esistono solo due mercati: quello del prezzo più basso e quello della differenziazione. E quando si possono trovare le stesse risorse, la stessa tecnologia, gli stessi prodotti e servizi a Berlino e a Singapore, a New York e a New Delhi – allora – è il momento di chiedersi che cosa ci rende davvero speciali e diversi dagli altri. Su cosa si basa il vantaggio competitivo delle nostre imprese e organizzazioni?
“R-innovare” significa essere il cambiamento, reinventando regole e ricette. Nulla costa caro più della rigidità. Per essere competitivi non basta lavorare di più e più velocemente se si fanno gli stessi errori al doppio della velocità. Bisogna lavorare in modo più intelligente. La parola competizione significa alla lettera “cercare insieme”. Il verbo decidere porta con sé il significato di “tagliare”. Decidere senza tagliare e competere restando da soli è il modo migliore per perdere la sfida. L’ICT non può essere soltanto una cassetta degli attrezzi, ma deve diventare un modo per fare le scelte giuste.
Conosciamo la strada. Abbiamo gli strumenti. Che cosa ci impedisce di cambiare veramente?

ADP Italia – Antonia Figini, general manager

«Ci ho pensato a lungo e la prima cosa che mi è venuta in mente è stata: “Non voglio più sentir parlare di crisi”. Poi, ripensandoci, mi sono detta che non è vero, quello che non vorrei più sentire è: “Non riusciamo a farlo per colpa della crisi”. Non sempre la crisi economica è di per sé un elemento negativo; spesso può rappresentare un’opportunità, per l’azienda stessa, può essere utilizzata per accelerare l’adozione di nuove strategie, spingendo così al cambiamento la propria organizzazione. Al verificarsi di una situazione di necessità, si avverte spesso il bisogno di cambiare, di adeguarsi a nuove modalità operative e gestionali ripensando alla propria strategia di business e velocizzando i processi di adozione che erano stati definiti a priori. L’avvento di una crisi economica come l’attuale è una situazione indipendente dalla volontà delle persone, difficile da controllare, ma che può avere un impatto profondamente negativo sul business. Come azienda, quindi, devo provare a sfruttare il momento per trasformarlo in un vantaggio competitivo, sostenendo il cambiamento e la dinamicità, esigenze costanti di qualsiasi organizzazione. Se guardo la situazione anche da un punto di vista esterno, in qualità di fornitore di servizi, l’obiettivo attuale è supportare al meglio i nostri clienti per consentire loro di perseguire le strategie aziendali e aiutarli a portare all’interno della loro organizzazione quella dinamicità e quell’innovazione necessarie per rimanere competitivi in un contesto economico incerto. Ecco perché, sia in qualità di responsabile di un’azienda sia di fornitore di servizi, oggi non posso più accettare che ci si arrenda alla crisi e che si attribuiscano ad essa molte cause che invece possono essere contrastate».

BT Italia – Gianluca Cimini, AD

«Non vorrei più sentir parlare in modo scomposto di Agenda Digitale, dove l’agenda è più dettata da esigenze contingenti, slogan e mode del momento, piuttosto che da una chiara visione architetturale dell’Italia che vogliamo e che vorremo. Solo se partiremo da un disegno chiaro del Sistema Paese, riusciremo da un lato a semplificare l’eccessiva burocrazia e ridurre le enormi sacche di inefficienza attuali, dall’altro a valorizzare risorse e progetti strategici, come l’Agenda Digitale, per cui sarebbe opportuno un patto tra PA e aziende ICT per mettere a fattor comune e sfruttare competenze e soluzioni innovative già peraltro esistenti, senza ulteriori aggravi alle risorse pubbliche e insostenibili ritardi».

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CA Technologies Italia – Fabio Fregi, AD

«Vorrei non sentire più parlare di efficienza e riduzione dei costi di produzione come unico beneficio derivante dall’innovazione. Sradicare questo concetto aiuterebbe a creare una nuova percezione del valore che le aziende italiane possono e devono coltivare, un valore che giustifichi i costi di una produzione locale. Finalmente si parlerebbe di innovazione quale unica via per raggiungere gli obiettivi di crescita e competitività nel nostro Paese, sostituendo il modello Innovazione = riduzione di costi con la formula Innovazione = competitività + crescita».

CBT – Paolo Angelucci, presidente e CEO

«Basta parlare della spending review per giustificare il perdurare dell’inefficienza della pubblica amministrazione nella gestione delle pratiche. I nuovi paradigmi di WebRainbow, l’offerta EIM anche in cloud di CBT, consentono a un ente pubblico, come avvenuto con quelli che già lo usano, di ottenere in tempi brevi e senza investimenti iniziali un moderno sistema di Enterprise Information Management – modulare, interoperabile e aperto. Non investimenti, ma la volontà degli amministratori di operare nell’interesse dei cittadini, perseguendo l’innovazione di processo».

Check Point – Rodolfo Falcone, country manager

«Anche in tema di sicurezza, i responsabili aziendali non vogliono più sentir parlare di sola tecnologia. Come in ogni altro ambito delle loro attività, sono i processi e l’organizzazione a fare la differenza. E ogni aspetto tecnologico deve essere inserito in un quadro più ampio, che preveda organizzazione e consulenza, oltre alla definizione e all’implementazione di policy. La tecnologia da sola non basta, ormai le aziende clienti l’hanno ben chiaro. Ogni giorno, ci chiedono più strategia e meno tecnologia, e questa è la sfida che noi dobbiamo accettare e vincere».

Cisco Italia – Agostino Santoni, AD

«Nel 2014, non vorrei più sentire nessuna azienda affermare che il digitale non è una priorità assoluta per il suo business. Ci stiamo muovendo verso un mondo sempre più interconnesso, nel quale la relazione fra oggetti, persone, processi, informazioni attraverso le piattaforme digitali è il perno dell’innovazione produttiva, dell’efficienza operativa, e una grande opportunità di guadagno in termini di riduzione dei costi, di incremento di produttività, di sfruttamento più efficace dei propri asset. L’investimento nel comprendere cosa può fare la tecnologia per il proprio business, e nell’adottarla, è essenziale per affrontare con gli strumenti adatti il futuro e lo scenario competitivo globale».

EMC Italia – Marco Fanizzi, AD e direttore generale

«Il 2014 sarà un anno di importanza vitale per il mondo dell’ICT italiano. Sarà l’anno in cui non ci saranno più scuse per avviare concretamente il processo di digitalizzazione del Paese. Il 2014 dovrà essere per forza di cose un momento storico di cambiamento, perché il tempo sta scadendo e bisogna riportare l’Italia sul sentiero della crescita economica, incrementando la competitività del sistema pubblico e produttivo. Quindi, nel 2014 personalmente non vorrei più sentire parlare di “scuse” o “impedimenti” al cambiamento. Le scuse generano incertezza e rallentano lo sviluppo di un disegno strategico chiaro, che permetta di oltrepassare – una volta per tutte – i timori sul tema dell’ICT. Timori che in passato hanno negativamente influenzato il processo d’innovazione dell’Italia, facendoci accumulare un ritardo del tutto inopportuno per una delle potenze economiche più rilevanti dell’Europa».

Exprivia – Domenico Favuzzi, presidente e AD

«Nel 2014, non vorrei più sentire parlare di aumento della spesa pubblica per servizi che il mercato offre in maniera più efficace e competitiva; non vorrei più sentire parlare di “no” – senza appello –  agli investimenti in infrastrutture per presunti danni ambientali, quando intere aree del Mezzogiorno sono ancora con reti ferroviarie a un solo binario; non vorrei più sentir parlare di crescita e sviluppo delle imprese e del manifatturiero senza un piano di digitalizzazione delle imprese e della manifattura; non vorrei più sentire parlare di contrapposizione tra imprese e sindacati in nome della difesa del lavoro, ma di difesa e rafforzamento del ruolo di sindacati e imprese nella difesa del lavoro».

Fujitsu Italia – Federico Francini, presidente e AD

«Nel 2014, non vorrei più sentire promesse legate all’Agenda Digitale. In questi due anni, si è parlato troppo – e spesso in modo sterile – delle iniziative e dei benefici derivanti dal processo innovativo che dovrebbe traghettare l’Italia verso l’era digitale tanto auspicata. Basta con le promesse, è giunto il momento di passare ai fatti. Sarebbe opportuno che nel 2014 ci si riferisse all’Agenda Digitale con dei risultati apprezzabili e misurabili. Solo in questo modo, si potrà dare un segnale forte di cambiamento, creando i presupposti per la ripresa tramite crescita sostenibile e innovazione».

HP Italia – Stefano Venturi, AD

«Parlando di Agenda Digitale mi piacerebbe che nel 2014 non si pensasse più di poter trasformare digitalmente il Sistema Paese senza partire da infrastrutture aperte, mobili e open standard. In quest’ottica, è fondamentale uno sforzo congiunto per favorire una concreta partnership tra pubblico e privato intorno ad alcuni progetti strategici con l’obiettivo comune di realizzare un’Agenda Digitale di qualità.
Inoltre, credo che sia altrettanto importante smettere di considerare l’Agenda Digitale come un tema per addetti ai lavori. Bisogna invece agire per ridurre il digital divide del nostro Paese e favorire la diffusione di una cultura digitale tra cittadini, imprenditori e dirigenti pubblici. Ne è un esempio concreto “Go On Italia” di cui HP è partner, un’iniziativa partita dal Friuli Venezia Giulia per diffondere Internet e la formazione digitale nelle scuole, PMI, pubbliche amministrazioni e sugli utenti over 50».

IBM – Nicola Ciniero, presidente e AD

«Vorrei non sentire più parlare di un Paese condannato al declino e alla sofferenza. Mi piacerebbe invece che si discutesse di opportunità da cogliere e di eccellenze da valorizzare, e che parole come innovazione ed economia digitale diventassero il leit motiv degli anni a venire».

Inaz – Linda Gilli, presidente e AD

«Credo che nel 2014 non si possa più parlare di “crisi”, parola ormai inadatta a descrivere uno scenario completamente trasformato, in cui le aziende affrontano un cambio di paradigma che investe tutto il modo di produrre, stare sul mercato, organizzarsi e lavorare. Invece, vorrei sentir parlare di vera riforma del lavoro, di crescita dell’economia reale, di cultura che fa crescere l’occupazione giovanile e la flessibilità».

Kaspersky Lab Italia – Aldo del Bò, managing director

«Non vorremmo più sentir parlare di crisi. La tecnologia – ne sono e ne siamo convinti – così come Internet e tutto il mondo che ruota intorno, possono davvero rappresentare una grande opportunità per generare nuova occupazione e spinte inaspettate a tutto il Sistema Paese. Per questo dico basta demagogia e invece sì alle nuove iniziative e alle start-up, come lo siamo stati noi, cinque anni fa in Italia».

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Microsoft Italia – Carlo Purassanta, AD

«Vorrei che smettessimo di parlare del “mezzo bicchiere vuoto” e ci concentrassimo sulle opportunità da cogliere, in primis sul digitale, che crediamo debba giocare un ruolo fondamentale nel progetto di crescita del nostro Paese. Abbiamo bisogno di positività, di un’inversione di rotta, di concentrarci innanzitutto sul fare, di valorizzare i talenti e le idee migliori, ma anche di far circolare maggiormente quelle storie di aziende e persone che in Italia lavorano ogni giorno con passione e competenza e che dovrebbero ispirare tante altre aziende e persone a fare di più».

NetApp Italia – Bruna Bottesi, country manager

«NetApp si augura che il 2014 sia un anno di crescita e si auspica di non sentire più parlare di analisi che vedono l’Italia ultima per investimenti e imprenditorialità. Ci piacerebbe sentire parlare meno di crisi, di credit crunch, di recessione e di instabilità politica: ci piacerebbe invece sentire parlare sempre più di innovazione, proposte e azioni concrete per la realizzazione dell’Agenda Digitale sia nella pubblica amministrazione sia nelle imprese, per rilanciare la nostra economia e creare occupazione anche attraverso le opportunità che l’era digitale mette a disposizione e al contributo che le aziende tecnologiche possono offrire per affrontare concretamente questi temi».

Olivetti – Cinzia Sternini, AD

«Nel 2014, non vorrei più sentire parlare di decrescita. Le imprese in Italia hanno tutte le potenzialità per essere motori di innovazione, specie nel campo dell’ICT, infatti possono attingere a professionalità di livello e aggiungere il valore dell’Italian touch. Coniugando innovazione, tecnologia e competenze, possiamo e dobbiamo essere più forti sia in Italia sia all’estero. E allargando il pensiero al nostro Paese, mi augurerei che tutti parlassimo un po’ meno di baratro, di sfiducia nei confronti dell’Italia a saper trovare soluzioni, di irrimediabile assenza di valori. Il cambiamento parte da noi stessi».

Oracle Italia – Pierfrancesco Di Giuseppe, country leader

«Da troppo tempo, si parla di piani e iniziative per accelerare l’adozione di nuove tecnologie IT nelle aziende italiane e nella PA in particolare e di spostare gli investimenti pubblici su queste aree. Ecco, questo è un argomento di cui non vorrei più leggere – o meglio non vorrei più leggerne in termini prospettici. Il dibattito sull’Agenda Digitale pare finalmente entrato nella fase attuativa e nel 2014 mi piacerebbe cominciare a leggere i primi risultati. Così come mi piacerebbe leggere dei risultati ottenuti in seguito all’estensione della Legge Sabatini che prevede agevolazioni fiscali anche per gli investimenti sulle tecnologie digitali. In Oracle, siamo molto pragmatici e a ogni annuncio devono seguire delle realizzazioni, in tempi rapidi».

SAP Italia – Luisa Arienti, AD

«Basta parlare di innovazione, se non pensiamo al potenziale delle future generazioni. La Millennial Generation, nata intorno agli anni 90 con un dispositivo digitale in mano, rappresenta un motore chiave per l’innovazione. Entro il 2030, questa generazione abituata alla mobilità, a comunicare tramite i social, a gestire volumi elevati di informazioni con estrema facilità, rappresenterà il 75% della forza lavoro. Le aziende leader di domani saranno quelle in grado di attrarre e accogliere questi talenti, e che sapranno gestire persone dinamiche, flessibili e consapevoli che la tecnologia è in grado di sfumare i confini e rendere possibile ciò che oggi non è nemmeno immaginabile. Solo chi sarà in grado di offrire ai Millennials i migliori strumenti e ambienti tecnologici, dando loro il permesso di osare, riuscirà ad anticipare i trend di mercato e a raggiungere nuovi traguardi».

SAS Italia – Marco Icardi, AD

«Nel 2014, non desidererei più sentir parlare di crisi economica, sovrapposta a una progressiva perdita di competitività e produttività delle nostre imprese. Vorrei che si vivesse questa crisi come un’occasione di trasformazione e di rinascimento economico e culturale. Vorrei sentir parlare della capacità di competere con gli altri Paesi e contribuire attivamente alla crescita del Sistema Paese. E di innovazione, per essere sempre al passo con il profondo mutamento che sta affrontando lo scenario globale e che sta modificando il rapporto tra aziende e consumatori/clienti. Vorrei sentir parlare di giovani e futuro: connubio imprescindibile affinché l’Italia torni a essere un Paese capace di offrire prospettive e opportunità. E infine, ma non ultimo, di creatività, che sta alla base dell’imprenditorialità».

Trend Micro Italia – Gastone Nencini, country manager

«Non vorrei più sentir parlare di sicurezza fine a se stessa. Molte volte ci viene chiesto di intervenire per risolvere singole criticità, senza una progettualità che prenda in considerazione le caratteristiche generali dei sistemi. In questo modo, le aziende risolvono sì problemi estemporanei, ma senza ottenere alcun beneficio. Realizzando un progetto di sicurezza ad hoc che tenga conto di tutti gli aspetti e delle esigenze non solo del comparto IT, ma anche dell’azienda in termini di obiettivi di business, si crea al contrario un meccanismo virtuoso che permette di ottimizzare la sicurezza in tutti gli ambiti, siano essi più nascosti come quelli cloud o virtuali, o più alla portata di tutte le persone in azienda, come la consumerizzazione».

Veeam Software – Daniel Fried, EMEA managing director

«Da varie risposte e commenti che riceviamo dai dirigenti dei nostri clienti e potenziali clienti, possiamo riassumere tre messaggi principali: Non voglio essere disturbato da problemi tecnici, mi costano un sacco di tempo e manodopera; Quando acquisto nuove attrezzature informatiche, software, servizi, non voglio essere più sorpreso da tutti quei costi aggiuntivi che erano imprevisti o non chiari; Non voglio più avere fornitori che mi raccontano belle storie sul futuro, ho semplicemente bisogno di fatti e di innovazione. Il motivo è che ho bisogno del software che funziona. Voglio gestire le mie attività IT con nuove soluzioni per migliorare la qualità e il livello dei servizi ai miei clienti».

Zucchetti – Alessandro Zucchetti, presidente

«Personalmente, non vorrei più sentire parlare di un’Italia tecnologicamente arretrata, pertanto è necessario ridurre il gap informatico delle nostre aziende per recuperare competitività. Anche le imprese devono fare la loro parte: sono indispensabili investimenti in innovazione tecnologica per modernizzare i processi e per fornire soluzioni di qualità destinate non solo al mercato interno, ma anche a quello internazionale».