Le scommesse del nuovo decennio: un cloud.com?


Le infrastrutture aziendali vanno verso una trasformazione, ma la leva, più che ottimizzazione e consolidamento, potrebbe essere la necessità di fronteggiare un nuovo modello di accesso ad applicazioni e informazioni da parte degli utenti finali, mentre tra Cloud pubblici e outsourcing applicativo il ruolo dei Cio viene messo in discussione

Potremmo titolarlo “accadde ieri”. Gli anni 2000 si aprivano con una serie di promesse e con il “doping” di alcuni effetti extra. Le promesse erano quelle, spesso largamente disattese per materializzarsi dieci anni dopo, delle superstrade ottiche che portarono al 98% di capacità inutilizzata e ai fallimenti su scala mondiale, alle straordinarie attese per le reti mobili 3G sostenute da 130 miliardi di euro di licenze pagate in Europa (50 solo in Germania), alla corsa alla bonanza della liberalizzazione (200 licenze per reti fisse solo in Italia), alla corsa al “non avrai altro dio fuori che il Web” che portava la più modesta e tradizionale delle aziende a definirsi una “Internet company” pena l’oblio eterno.

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Passata l’Internet-bubble (2001), scomparsi o assorbiti in altre realtà molti dei protagonisti di allora (WorldCom, Compaq, StorageTek, Sun, Nortel, Lucent, mezza Siemens, EDS, Business Object, solo per citare i giganti), come si apre il decennio del “dopo bolla”? Quali nuove scommesse dovranno affrontare le aziende?

Il 2010 non è stato un anno cattivo per il settore IT. Per una serie di fattori, in parte ciclici, il mercato IT si è rimesso in movimento. Dopo la frenata del 2009 si è tornati a vendere Pc, server, storage e software per la gestione di quest’ultimo, con ritmi di crescita a due cifre. La “molla” a lungo compressa è tornata a estendersi, l’ingresso di Windows 7 ha incominciato a fare la sua parte. Le aziende, insomma, sono tornate a investire, soprattutto nella prima metà dell’anno. Il mercato consumer è stato più selettivo. La moda netbook si è sgonfiata, anche perché i clienti hanno incominciato, se non a comprare, almeno a guardare i tablet. Al Ces di Las Vegas, a inizio anno, erano in circolazione una cinquantina di nuovi modelli intenzionati a rosicchiare qualcosa all’iPad e gli analisti che scrutano la sfera di cristallo parlano di previsioni di 28 milioni di tablet per quest’anno.

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 Gli eredi del Pc

Dopo il flop del 2002-2003, la tavoletta non è più un “tablet-Pc”. È tablet e basta, tanto è vero che in pochi mesi sono rientrati diversi dei modelli a base Windows, e il tablet non è più un Pc senza tastiera. Di “slate” almeno per il momento non parla più nessuno. Che cosa ci si possa fare non è ancora ben chiaro, anche se il tablet ha ricevuto una particolare enfasi mediatica perché attira l’attenzione degli editori di giornali che sperano di smettere di regalare news online in cambio di nulla. Il quesito è: il tablet entrerà a far parte degli scenari dell’IT e delle comunicazioni aziendali? Sostituirà il Pc per accedere alla posta, al Web e ad altre applicazioni e sostituirà magari anche il telefono nelle architetture di IP telephony che ancora cercano una ragion d’essere? Secondo Gartner, ora del 2013, l’80% delle aziende supporteranno applicazioni che i loro dipendenti faranno girare su tablet e smartphone. Già oggi, del resto, aggiungiamo, la rilevazione presenze non può avvenire con un cellulare associato a un Gps?

La “provocazione” del tablet e più in generale di quel mondo che si estende dagli smart- e feature-phone per salire alle nuove e future generazioni di prodotti “two-hands” è quella di un nuovo mondo di “Apps”, un mondo basato più sulla consultazione che sull’inserimento delle informazioni. Il Pc nasceva negli anni 80 per tre applicazioni principali: word processing, spreadsheet e database (Wordstar, Visical, DB-II, chi li ricorda?). Gli eredi di oggi nascono per le reti, il video, le applicazioni che stanno nel Cloud, aziendale o pubblico (o entrambi). La scommessa per le aziende, in fondo, non è tanto quella dell’ottimizzazione delle infrastrutture quanto quella della capacità di servire e di servirsi di apparecchi e modelli di business diversi. Il che, guardando non le dichiarazioni del marketing, ma la realtà di tutti i giorni, non è poi scontato. Quante delle applicazioni di uso più comune oggi funzionano con un browser e non con un altro, magari dei più diffusi?

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 Quale Cloud si afferma

Dieci anni fa era il “dot.com”. Oggi è il “cloud.com”, ma dopo un anno senza una settimana che non proponesse convegni, conferenze e “report” sulla “nuvola”, il 2011 potrebbe portare un po’ più di chiarezza su alcuni punti.

1.     Del Cloud si parla con riferimento soprattutto ai vantaggi del Software-as-a-Service e dei Cloud pubblici, ma ci si dovrebbe chiedere se i fornitori sono masochisti nel propagandare modelli che sulla carta offrirebbero possibilità di risparmio del 70-80%. In realtà, quando le varie IBM, HP, EMC, Cisco, Oracle-Sun parlano di Cloud, pensano ai “private Cloud”, e quindi necessariamente allo stretto controllo di un sistema che ha come obiettivo la riorganizzazione del data center. Per questo, tra l’altro, ciascuno punta a mettere in campo offerte sempre più onnicomprensive.

 

2.     L’Infrastructure-as-a-Service (IaaS) è un modello interessante soprattutto per le Pmi. Dove maggiormente si sente la mancanza di specialisti. I candidati ideali sono i grandi service provider: quelli sul versante Internet e gli operatori di rete, ma per fare dello IaaS davvero il modello portante dell’IT aziendale c’è una premessa non trascurabile: che l’infrastruttura retrostante, a partire dalla rete, offra quelle caratteristiche di velocità, latenza, sicurezza/resilienza, flessibilità e gestione policy che l’utente si aspetta nelle reti corporate.

3.     Così come dietro il concetto di “Cloud” finiranno con l’essere ribattezzati a uso del marketing tanti progetti di virtualizzazione/consolidamento dei sistemi IT aziendali, è altrettanto probabile che il SaaS finirà con l’essere la nuova traduzione di concetti come l’outsourcing o l’Asp (a proposito: chi ne parla più?).

 

La confusione, spesso interessata, dei termini è un rischio concreto se, ancora, Gartner stima il SaaS nell’ambito delle applicazioni enterprise come un business da 9,2 miliardi di dollari nel 2010 e da 10,7 nel 2011: una crescita solida (16%), ma non travolgente. Ma, attenzione, dicono gli analisti, a non confondere il SaaS con altre attività in parte sovrapposte, come hosting, application management e outsourcing, perché “molti fornitori stanno re-impacchettando funzionalità di questo genere come SaaS e Cloud”. Morale. Le aziende potrebbero finire con il comprare qualcosa di diverso da quel che ritengono: un innaffiatoio invece che una nuvola. Più ottimista IDC, non limitando l’osservazione al solo mercato enterprise, stima per il 2011 una crescita dei servizi Cloud del 30%, grazie anche al boom delle “apps”, prevedendo 25 miliardi di download, contro i 10 del 2010. La svolta dei Cloud pubblici potrebbe essere proprio qui: nei nuovi modelli non più o non solo Pc-based.

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In un mondo reale in cui, alla fine, aziende e pubbliche amministrazioni, almeno alle nostre latitudini, preferiscono prendere le auto in leasing che a noleggio, la vera veste del Cloud deve forse ancora essere disegnata, anche se qualche passo avanti è stato fatto e, almeno su alcune aree, si incomincia a vedere qualche contratto rivolto a una vasta popolazione aziendale. C’è tuttavia un aspetto che non andrà sottolineato ed è quello della governance e del “potere IT” in azienda. Mettere insieme fornitori, applicazioni, risorse interne ed esterne è un’impresa complessa, e potrebbe essere anzi la vera sfida del Cloud (dove stanno i miei dati? chi li controlla? che succede quando stacco la spina da un provider?). Ma c’è un altro problema ancora più sottile. Con l’outsourcing applicativo, il potere decisionale si sposta sempre più verso l’utente finale: responsabili HR, finance, marketing e così via. Quale sarà il ruolo futuro degli IT manager in azienda?