Dal Cloud alla revisione del workflow, le nuove infrastrutture e le smart community: qualche idea per rimettere in marcia la macchina dell’economia digitale
Il governo ha istituito una “cabina di regia”, termine che peraltro già la politica ha bruciato in passate legislature (vi ricordate di Gianfranco Fini una decina di anni fa?). Confindustria Digitale, il rassembramento capitanato da Stefano Parisi in cui si muovono in molti, forse troppi – dai call center agli operatori Telco, dalle software house all’elettronica di consumo -, ha dedicato un convegno con i ministri coinvolti e, soprattutto, “lei”, la gran sacerdotessa di Bruxelles, Neelie Kroes, che nella partita più che una visione industriale ha sin qui messo le certezze del suo mandato precedente, quando era Commissaria alla Concorrenza. La palla dell’Agenda Digitale sta tornando a centrocampo, ma con quali prospettive non è dato sapere. La stessa Kroes lo scorso autunno ha dovuto ammettere che, con i chiari di luna attuali, il solo effetto benefico della concorrenza non garantisce che il pallone possa finire in rete e ha dovuto mettere in campo non sussidi, ma “mezzi finanziari” per 9,2 miliardi di euro: due terzi alle infrastrutture e un terzo alle applicazioni.
Già, perché intanto si continua a discutere se sia nata prima la gallina delle reti o l’uovo dei servizi e, in questo modo, l’Agenda Digitale resta in bilico tra il quaderno delle lamentele, il “cahier de doléances”, e il libro dei sogni. Varata due anni fa, questa “Digital Agenda” replicava in piccolo, a dieci anni di distanza, il nulla di fatto dell’Agenda di Lisbona: un’Europa che avrebbe dovuto primeggiare ora del 2010, grazie a nuovi livelli di investimenti in R&S e alla competitività conferita dalla società della conoscenza. Per ora, si sta ancora discutendo se ciò che manca «sono servizi online che rendano indispensabile l’accesso al Web, perché la rete comunque c’è e grazie alle nuove tecnologie, soprattutto quelle del mobile, ci sarà ancor più in futuro», come dice Parisi, oppure mancano «quelle autostrade che hanno spinto l’industria dell’automobile, perché in questo settore è l’offerta a generare la domanda», come dice nella stessa sede – il convegno romano di Confindustria – il ministro per lo Sviluppo Economico Corrado Passera.
Le misure “soft” del Governo
Il “pubblico”, lo si è già capito, non potrà fare molto sul versante del sostegno dell’offerta. Qualche anno fa, conversando con Data Manager, Lucio Stanca, il primo ministro con delega per l’Innovazione e la PA, scherzando, ma non troppo, diceva: «I miei colleghi non hanno gelosie: hanno capito subito che questo è a tutti gli effetti un ministero senza portafoglio, impegnato più a fare risparmi che spese». Oggi, l’altra “colonna”, rispetto al Mise, della cabina di regia, Francesco Profumo, ministro per l’Istruzione, la Ricerca Scientifica e l’Università, parla con saggezza di «mettere al centro delle azioni rivolte all’innovazione il riconoscimento dei bisogni del cittadino», iniziative più “soft” che “hard”, come la digitalizzazione della PA e i tanti versanti del concetto di “smart community”. Chapeau: purché funzioni davvero.
Il Governo può però declinare le regole per promuovere una domanda “buona”, cioè una domanda che serva a creare meccanismi virtuosi e non commesse inutili. Proviamo con qualche idea.
Commercio Elettronico – La necessità di una regolamentazione su scala europea, per evitare asimmetrie tra Paesi più o meno “furbi” è sacrosanta. L’idea sostenuta da Confindustria Digitale di dimezzare l’Iva non è invece giustificata. Se l’e-commerce non è in grado di generare da solo prezzi appetibili, perché sovvenzionarlo? Tanto vale sostenere attività tradizionali nei centri storici o nelle località più isolate.
Sviluppo delle Competenze nella PA – Le “grida manzoniane” non servono. Introdurre nei concorsi criteri e modalità che prevedano a ogni livello (magistrati e giudici compresi) la capacità d’uso dello strumento digitale deve divenire un “must”.
Best Practices – Si potrebbe realizzare una serie di “griglie” di servizi di pubblico interesse che per aree di applicazione omogenee (es: i comuni, la scuola, la sanità, le agenzie fiscali) permettano di rilevare lo stato di digitalizzazione dei servizi di ogni ufficio, rendendone gli esiti pubblici, con confronti.
Bastone e carota – Come principio, le pratiche svolte online dovrebbero risultare più vantaggiose di quelle svolte con metodi tradizionali, più o meno come in banca, dove un bonifico online è gratuito o costa comunque meno di quello allo sportello. Oggi, spesso, avviene il contrario.
Ammortamento – Le aziende hanno scarsa visibilità dell’andamento futuro. Anche quelle che possono fare investimenti oggi, temono di non poter sopportare le quote d’ammortamento tra tre, quattro anni. La soglia dell’ammortamento in un solo anno, oggi di 516 euro al netto di Iva e ferma dal 1973 (sic!) è palesemente insufficiente. Molti acquisti ICT, come un tablet o un netbook di fascia medio-alta, restano fuori. Occorre portare il limite ad almeno 1.000 euro. In generale, al di sopra di tale limite, gli ammortamenti dovrebbero essere maggiormente congrui con il reale ciclo di vita dei prodotti. Nota: queste misure in fase di introduzione possono portare a una riduzione del gettito nei primi 1-2 anni, recuperato in quelli successivi.
Studi di settore – Sospensione per i primi tre anni per le nuove iniziative. Congelamento, sempre per tre anni, degli effetti relativi all’aumento di spesa per l’introduzione di personale qualificato (in genere si trascura il fatto che prima di generare nuovi redditi, i nuovi assunti generano soprattutto costi).
Tracciabilità delle pratiche – Prevedere la possibilità di verificare online lo stato di avanzamento di pratiche, ricorsi, dichiarazioni.
Alfabetizzazione digitale di massa – Giustamente, Confindustria Digitale indica tra i suoi capisaldi l’alfabetizzazione dei “non nativi digitali” tra il personale dipendente. Le spese delle aziende a tale scopo dovrebbero essere “sterilizzate” ai fini degli studi di settore e dell’Irap. Interventi di questo genere dovrebbero essere compresi anche nelle misure relative alla Cassa Integrazione.
Sostegno start-up – Crediti d’imposta alle aziende che investono in start-up, almeno entro taluni limiti quantitativi.
Mix tecnologico – Ci sono arrivati anche Neelie Kroes (che pure un paio di mesi fa ha preso il primo “Award” alla Ftth Conference per la sua incrollabile fiducia nella fibra) e l’Agcom, in attesa di identificare i meccanismi: si sta aprendo un mix di tecnologie per l’Ngn, da affrontare senza ideologie che riflettono interessi di posizione. Confindustria Digitale e, soprattutto, il suo presidente insistono per la fibra e, in funzione anti digital divide, l’Lte. Una posizione che sembra escludere l’evoluzione del rame e che potrebbe sovraccaricare l’Lte che, in fondo, resta una risorsa condivisa. Per Parisi, una posizione forse più da amministratore di Fastweb, socia (attraverso Swisscom Italia) di Metroweb, che da rappresentante dell’intero settore.
Ripensare il workflow – Digitalizzare e dematerializzare sono un must per mettere in comune le informazioni. Obiettivi di questo tipo potrebbero anche essere assunti per la valutazione del management pubblico. Tuttavia occorre non confondere il dito con la luna. Il vero problema è riorganizzare il workflow e ripensare regole e procedure.
Collaborazione tra operatori – La fibra rischia di riproporre il “monopolio naturale” del rame con l’aggravante che con questo c’era l’obbligo del servizio universale e con la fibra no. Anche i limiti all’unbundling del rame ultra-veloce rischiano di perpetuare il dominio degli ex incumbent. Occorre un’azione che induca alla collaborazione degli operatori negli sviluppi della rete, o in forma proprietaria (scorporo) o in forma operativa.
Asset IT della PA – Tutti concordano sull’eccessiva proliferazione di strutture, con oltre mille data center separati nella sola PA centrale, per non parlare degli enti locali, e competenze IT nella Pubblica Amministrazione, ma poi si fa ben poco per abbattere quelli che sono anche dei potentati. Cloud privati per l’Amministrazione Pubblica, oltre il gioco di parole, permetterebbero di ridurre i costi, sostenere i picchi (“storico” quello del ministero dell’Ambiente per gli incentivi sulle biciclette), condividere applicazioni e interfacciare gli archivi. Ma è una scelta politica.