Nativi digitali digital addicted?

 Chief Inspiration Officer / Idee per un mondo complicato

Nativi digitali digital addicted?

«Con regole troppo strette, si allevano burocrati privi di immaginazione»

TI PIACE QUESTO ARTICOLO?

Iscriviti alla nostra newsletter per essere sempre aggiornato.

 

 

Roberto Vacca - Chief inspiration OfficerPare che molti ragazzi e giovani stiano attaccati per giornate intere a pc, tablet, smartphone, playstation. Chattano e si scambiano in tempo reale messaggini e link a video, fumetti, vignette. Molto materiale è in inglese, ed è abbastanza istruttivo. In parte è spiritoso – in buona parte modesto o sciocco. In qualche caso, i ragazzi diventano così dipendenti da questi device che non combinano più niente e vanno male a scuola. Alcuni genitori se ne preoccupano e lamentano gli “effetti deleteri della tecnologia”. Ripetono che al tempo loro, non succedeva e impongono limiti stretti di tempo entro cui sia permesso usare quelle connessioni – oppure – fanno sparire del tutto i gadget.

È vero che quei dispositivi sono assuefacenti. Ci fanno evadere da situazioni poco gradevoli e ci immergono in ruoli fittizi, piacevoli, stimolanti, in cui abbiamo facili successi assicurati. Non è una novità: molti dei nostri nonni sprecavano tempo giocando, a carte, a biliardo o assistendo a spettacoli modesti. Vincere partite a carte o a scacchi dà un certo piacere, anche se non siamo tanto bravi e abbiamo avversari poco abili. La letteratura di evasione è fatta di romanzi rosa o di avventure: ci immedesimiamo in personaggi drammatici e dimentichiamo le nostre noie. Alcuni di noi guardano film e per due ore assumono la personalità dei protagonisti. Da quelle gratificazioni antiche, si è fatta molta strada. Invece dei rettangolini delle carte da gioco, abbiamo video interattivi molto realistici. Le immagini sono migliori di quelle del cinema. Dentro di esse siamo forti, agili e abili nell’uso di armi con cui sterminiamo nemici anonimi. Vediamo schizzi di sangue e – se veniamo uccisi – resuscitiamo subito. Nei videogame pilotiamo eroi ed eserciti. In giochi meno estremi usciamo da labirinti, colpiamo bersagli, distruggiamo muraglie, superiamo abissi, evitiamo trappole. I ragazzi hanno risorse, abilità, potere limitati. È comprensibile che si attacchino a questi oggetti (che danno loro superficiali sensazioni di successi) anche in misura smodata. Se lo fanno fino a trascurare la loro evoluzione personale e l’apprendimento, se si distaccano dalla realtà, fanno male a sé stessi. Come evitarlo? Le proibizioni e i limiti imposti possono essere efficaci. In casi estremi sono inevitabili. Però sono misure analoghe ai regolamenti burocratici: ben radicati in contesti lavorativi non entusiasmanti e arduamente atti a stimolare creatività ed evitare abitudini malsane, come i coinvolgimenti eccessivi con i gadget. Con regole troppo strette, si allevano burocrati privi di immaginazione. Piuttosto che mettere un ragazzo in un collegio in cui siano vietati tutti i dispositivi, è meglio motivarlo con argomenti veri. È vero che saper svolgere compiti difficili consente di avere impieghi interessanti e ben pagati. È vero che se capiamo il mondo naturale e quello artificiale, evitiamo errori e abbiamo a disposizione più scelte. È vero che studiare i meccanismi della biologia, della finanza, dell’organizzazione, della fisica è più divertente che studiare le regole dei giochi. Però non basta dirlo ai giovani, perché è anche vero che il mondo reale è più complicato dei giochetti e si fatica a capirlo bene. Le motivazioni giuste non vanno imposte, ma vissute. Faremmo bene a cambiare il mondo – non con riforme amministrative – ma creando ambienti in cui si parla (in modo abile, comprensibile, avvincente) di cose vere e interessanti. Se gli adulti parlano di argomenti evanescenti, di piaceri miseri, di pettegolezzi irrilevanti, non c’è da stupirsi che i giovani si consolino con giochi e chiacchiere da poco.

Leggi anche:  Sicurezza, ricercatori individuano una falla hardware negli Apple Silicon

 

ROBERTO VACCA

Classe 1927, laureato in ingegneria. A 24 anni costruiva grandi linee elettriche. Lavorò al primo computer scientifico in Italia dal 1955. Ha insegnato Calcolatori Elettronici, Ingegneria dei Sistemi, Gestione Globale della Qualità. Life Member Institute of Electrical and Electronics Engineers. Membro del Club di Roma (dimissionario nel 1982). Direttore generale e tecnico di un’azienda che costruiva sistemi elettronici di controllo (1962-1975). Dal 1975, consulente in: previsione tecnologica e ingegneria dei sistemi (trasporti, comunicazioni, energia). Divulga scienza e tecnica in radio, tv, giornali e riviste. Fra i suoi libri: Consigli a un giovane manager – Einaudi 1999, Patatrac, Crisi perché? Fino a quando –  Garzanti 2009, Salvare il prossimo decennio – Garzanti 2011, La pillola del giorno prima – Transeuropa 2012.