La forza delle idee è la chiave del successo.
«L’innovazione è il motore dell’impresa e la spinta per il Paese»
Audace, come Ezzelino III da Romano, meno spietato nella sua volontà di dominio, ma altrettanto determinato a trasformare un’idea in un’impresa di successo. Creatività, brevetti e organizzazione: sono i tre ingredienti con cui Mario Moretti Polegato ha costruito la sua Geox, la multinazionale della “scarpa che respira”, con un modello di business del tutto originale e un cuore italiano radicato a Biadene di Montebelluna, provincia di Treviso. Un «successo nato da un rifiuto» e la cui storia ricorda certe atmosfere in bianco e nero di inizio Novecento. Classe 1952, enologo con una laurea in legge in tasca, si dedica per lungo tempo alle attività imprenditoriali di famiglia, impegnata nel settore agricolo e vitivinicolo da tre generazioni. Si racconta che “la scarpa che respira” nasca dal fastidioso mal di piedi di Mario Moretti Polegato, mentre si trova nel Nevada per partecipare ai lavori di una conferenza dell’industria del vino: pur di risolvere il disagio legato alla temperatura, non esita a praticare un foro nella suola delle scarpe. Tornato in Italia decide di ingegnerizzare l’idea con un attento studio di prodotto. «No, grazie» – però – è la risposta che riceve dai big del settore che non ne colgono le potenzialità. «I rifiuti non sono mai una bocciatura, ma una sfida» e a metà degli anni Novanta nasce la nuova azienda, che avrebbe innovato il settore, creando un nuovo segmento di mercato. Oggi, Geox è la più grande azienda calzaturiera d’Italia e la seconda al mondo nel settore lifestyle-casual, e fonda le proprie strategie di crescita futura sulla continua innovazione tecnologica. Con una presenza in 103 Paesi, quotata alla Borsa di Milano (GEO.MI), l’innovazione di Geox è protetta da oltre 50 brevetti. Il 2010 si è chiuso con un fatturato consolidato pari a 850 milioni di euro, stabile rispetto all’esercizio precedente. Il gruppo Geox investe costantemente in innovazione. Il quartier generale di Montebelluna ospita un laboratorio di ricerca e sviluppo, unico nel suo genere, dove lavorano 17 ingegneri, chimici e fisici. I principali oggetti di studio sono il movimento del calore umano e la traspirazione. Un modello di imprenditorialità costruito attorno alla risorsa umana, al suo bagaglio di conoscenze e competenze, continuamente sviluppate. Questa novità culturale, su cui Mario Moretti Polegato ha sviluppato il gruppo Geox, rappresenta uno stimolo a seminare le imprese del Paese di una cultura sempre più orientata alla formazione e alla crescita continua delle persone, come chiave del successo nel business. Un anno fa, l’apertura dei nuovi stabilimenti del Gruppo Geox a Signoressa (TV), che comprendono anche una delle piattaforme logistiche tra le più moderne d’Europa. Gli stabilimenti si trovano a pochi chilometri dal quartier generale di Montebelluna, su una superficie di oltre 25 ettari completamente riqualificata. Si tratta di un’opera imponente, realizzata in tempi record e dotata delle più sofisticate tecnologie logistiche.
Premiato da Cnbc e Financial Times come “Innovatore dell’anno” nell’ambito degli European Business 2010, Mario Moretti Polegato dedica personalmente molto tempo all’insegnamento della “Proprietà Intellettuale” nelle scuole e nelle Università in Italia e all’estero.
«Il legame con il territorio e con il sistema industriale fondato sulle piccole e medie imprese rappresenta un patrimonio da difendere e valorizzare». Non dimostra di avere velleità politiche, ma avrebbe tutte le carte per farlo. Per sicurezza gli abbiamo girato la domanda a Milano in occasione del World Business Forum 2010. La risposta? «Ci sono molti modi per fare politica. Io faccio solo il mestiere di imprenditore».
Data Manager: Quanta ICT c’è in Geox?
Mario Moretti Polegato: Abbiamo creato un brand globale e dobbiamo essere all’altezza di governare la complessità di un’organizzazione che ha la necessità di monitorare tutti i flussi in tempo reale, dall’Asia all’Europa, dall’Australia all’America: l’ICT ci permette di ottimizzare la supply chain, con innovazioni a livello di costo, dalla produzione alla distribuzione. Tutti i negozi sono in rete, il sistema di approvvigionamento è informatizzato, la produzione e il marketing sono costantemente allineati. In questo modo possiamo tracciare l’esperienza di acquisto del consumatore e fare scelte analitiche a livello di strategia aziendale.
Quale immagine dell’Italia trova nel mondo?
Vorrei portare nel mondo un’immagine nuova dell’Italia, non solo legata alla moda, al lifestyle, all’arte o al cibo. Vorrei che gli imprenditori italiani fossero riconosciuti anche per la loro capacità di innovare i modelli di organizzazione, utilizzando la tecnologia. Come Geox ci impegniamo al nostro interno, investendo il 2% del fatturato in ricerca e sviluppo. A volte ci chiedono se siamo italiani. Credo che l’innovazione sia il motore dell’impresa e anche una spinta per il Paese.
Made in Italy non deve essere solo prodotto, ma anche progetto. Ci sono tanti italiani eccellenti che fanno crescere il Pil del mondo. L’ultima volta a New York, alla Columbia University, si sono alzati in piedi quaranta studenti italiani. Mi sono emozionato. Abbiamo un grande capitale nelle giovani generazioni, che – però – stiamo sprecando. Abbiamo un Paese che ha bisogno di essere ricostruito dalle fondamenta.
L’Italia attuale ricorda, per certi versi, l’Inghilterra degli anni Settanta: ci vorrebbe una Margaret Thatcher o un Tony Blair?
In Italia non andrebbe bene né l’una, né l’altro. Tutti quelli che hanno una responsabilità istituzionale, imprese comprese, dovrebbero imparare a dialogare in modo costruttivo per produrre un piano di sviluppo chiaro per il Paese.
Per rispondere ai manager, che le chiedono come si fa a creare un business innovativo, ha mai pensato di portarli a lavorare in campagna?
L’agricoltura insegna a ragionare in modo pragmatico. Il lavoro in campagna educa al cambiamento con il ciclo delle stagioni, al rispetto delle persone e della terra. Non a caso il brand “Geox” nasce dalla fusione tra la parola “geo” che, in greco, significa “terra” e sulla quale tutti camminiamo e la lettera “x”, che simboleggia il fattore legato all’innovazione, al cambiamento. L’ambasciatore americano, David Thorne, subito dopo il suo insediamento a Roma, mi chiese di organizzare un incontro, nelle mie campagne, tra i più autorevoli rappresentanti del Nord-Est per discutere delle opportunità di collaborazione con gli Stati Uniti. Sarebbe utile pensare anche a cosa gli imprenditori italiani possono fare in Italia.
E cosa potrebbero fare?
Molti parlano di innovazione, ma pochi la fanno sul serio. Spesso si invoca “la mano pubblica” per investire in innovazione. Le imprese non possono permettersi di lasciare ad altri la decisione da cui dipende il loro stesso futuro. Dobbiamo passare da un capitalismo industriale a un capitalismo culturale. Il mercato non aspetta.
E se non lo fanno?
Forse meritano di essere spazzati via. Le idee però da sole non bastano: ci vuole creatività, ricerca, sviluppo di prodotto, comunicazione e strumenti per proteggere la proprietà intellettuale. Altrimenti è come la storia del caffè espresso: tutti ne riconoscono il primato italiano, ma poi Starbucks apre 12mila coffee shop nel mondo.
Le classifiche lo dicono chiaro. Lei è un uomo di potere. Che cosa è il potere per lei?
Il potere economico da solo non basta. Uno non è imprenditore perché è padrone, ma perché è in grado di far lavorare insieme le risorse migliori. Un proverbio cinese dice: “Una generazione mette i semi, la seconda raccoglie i frutti”. Io sento la responsabilità di piantare semi buoni.
La crisi è alla spalle?
Ci sono segnali di ripresa, ma è cambiato qualcosa. Niente sarà più come prima. Ci sono imprenditori e manager che non vedono, altri che vedono solo il presente. Alcuni riescono a vedere più lontano. Il futuro appartiene a loro.