Talento e innovazione alla base del cambiamento
Giornali e televisioni le rappresentano come fenomeni: magnolie d’acciaio, lady di ferro e amazzoni in doppiopetto blu. Le donne che sfondano il soffitto di cristallo e si fanno strada nel mondo del business, invece, non dovrebbero fare notizia solo per il fatto di essere donne, ma per i risultati che sono riuscite a ottenere. Queste donne che avanzano nei feudi del potere maschile – per qualcuno – sono le “nuove streghe” – per altri – una specie da proteggere. Il marketing ha già scoperto che l’85% degli acquisti e delle decisioni di acquisto è fatta o influenzata dalle donne. Perfino la maggioranza dei prodotti con un posizionamento maschile, sono comprati dalle donne. Non solo. Le donne rappresentano il 51,5% della popolazione. E con un po’ di ritardo, anche la politica e le imprese italiane hanno capito che è meglio stare dalla parte delle donne – se non per convinzione – almeno per calcolo e interesse. Le donne non sono tutte uguali – eppure – c’è chi si ostina a parlare di loro come se fossero un blocco omogeneo, tutte votate a una sola causa, a una sola idea, a una sola volontà. Gli studi scientifici confermano che la centralità del ruolo delle donne è sempre correlata a tassi elevati di sviluppo e benessere. Secondo Maurizio Ferrera, professore ordinario di Teoria e Politiche dello Stato Sociale all’Università degli Studi di Milano, se si portasse il livello di occupazione femminile in Italia al 70%, il PIL nazionale crescerebbe di oltre venti punti: niente male come misura anticrisi. Ma può bastare la presenza delle donne nei consigli di amministrazione e ai vertici delle imprese per avere più trasparenza, più collaborazione, più responsabilità, processi decisionali più efficienti e bilanci migliori alla fine dell’anno? La strategia “Europa 2020” chiede all’Italia di passare dall’attuale tasso di occupazione femminile del 50% al 70% nei prossimi otto anni. Si tratta di una questione di politica economica, non solo sociale, che richiede di ripensare completamente il mondo del lavoro e il modello di welfare. Per Maria Alberta Viviani Corradi-Cervi – tra i mille curricula eccellenti, selezionati dalla Fondazione Bellisario, dirigente RAI, quando di quote rosa non si parlava, ideatrice del progetto della moneta ufficiale di Expo 2015 e nel CDA, quale vicepresidente, di GEG Management – la questione di fondo è un’altra. L’Italia non cresce perché non ha saputo puntare sull’innovazione e sul talento delle persone, non solo delle donne. «Le buone capacità sono equamente distribuite tra i generi. Non sono sicura – dice Maria Alberta Viviani – che una donna al comando di Lehman Brothers avrebbe potuto evitare il fallimento. E forse, neppure una ipotetica Lehman Sisters avrebbe fatto scelte diverse. Non credo in una superiorità morale delle donne. Anche questo è un pregiudizio di cui dobbiamo liberarci».
La sua carriera inizia alla RAI, vincendo un concorso nel quale si qualifica al primo posto. Diventa – prima – capo segreteria dei programmi culturali – e pochi anni dopo – funzionario alla programmazione, collaborando con Dino Buzzati, Indro Montanelli, Elio Vittorini, Davide Layolo e con gli artisti del calibro di Minguzzi, Dova, Messina, Cassinari, Cantatore, Sassu. Nel 1986 è insignita dell’onorificenza di Cavaliere della Repubblica dal Presidente Cossiga. È tra le fondatrici dell’Associazione professioniste europee (APE). Lavora per eventi italiani e internazionali ed è consulente di imprese pubbliche e private. Nel 2002, lascia la RAI e Pietro Lunardi, ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, la chiama quale direttore generale con mansioni di portavoce, capo ufficio stampa e comunicazione. A metà del 2005, Lucio Stanca, allora ministro delI’Innovazione, la vuole al suo fianco come consigliere comunicazione e rapporti istituzionali. Nel 2009, sempre Lucio Stanca – nella carica di AD di Expo 2015 (che poi sarà di Giuseppe Sala) – la chiama quale consigliere per le relazioni istituzionali e i progetti speciali di Expo 2015. Per raccontare tutte le cose che ha fatto nella sua vita ci vorrebbe un libro e chissà che non si decida a scriverlo. Nel suo campo è considerata una vera autorità. Niente giri di parole. Tenace, intuitiva e piena di creatività. La voce chiara come le idee. È così Maria Alberta. Sempre un passo avanti e sempre pronta a nuove sfide.
Data Manager: Senza donne non si cresce?
Maria Alberta Viviani Corradi-Cervi: È vero che il PIL dei Paesi nordici tra il 2000 e il 2010 è cresciuto a un tasso di tre o quattro volte superiore a quello italiano, ma questo perché esiste un sistema fatto di imprese che innovano, di università che investono in ricerca, di pubblica amministrazione efficiente, di trasparenza nei conti, di cultura della legalità, di velocità della giustizia. È questo sistema che ha contribuito a costruire una società più competitiva. La presenza delle donne a tutti i livelli come normale regola e non come eccezione rappresenta un effetto, non una causa. In Italia, non sarebbe sufficiente riempire il Parlamento di donne per cambiare rotta. Posso anzi dire, che chi ha interesse a mantenere posizioni di potere sta abilmente cavalcando la carta dei diritti delle donne. Senza un vero cambiamento di sistema, sarebbe come sostituire un paio di bulloni in un ingranaggio che non funziona.
Qual è il potere delle donne?
Non vorrei cadere nei soliti luoghi comuni. Tutto cambia, anche l’atteggiamento verso il potere. Le donne, oggi, sono più libere di essere quello che desiderano, soprattutto le giovani generazioni che si sono liberate anche dei sensi di colpa o dell’ansia di dovere dimostrare qualcosa. Ho conosciuto molti tipi di donne. Alcune straordinarie, sia sul lavoro sia nella vita. Altre nemiche del mondo, delle donne e perciò anche di se stesse. Vorrei una società in cui tutti abbiano la possibilità di esprimere il proprio talento e le proprie potenzialità.
Che cosa bisognerebbe migliorare nel mondo delle imprese?
Le imprese, a cominciare dai livelli più alti, devono recuperare credibilità e coerenza. Se si occupano di comunicazione devono mettere in pratica quello che predicano anche all’interno dell’organizzazione. Se si occupano di innovazione devono essere capaci di fare innovazione non solo di venderla. Oggi, tutto è talmente veloce, che non si ha più tempo di costruire relazioni, ma le imprese sono fatte di persone.
Quale dovrebbe essere il ruolo della politica?
Anche la politica deve essere credibile. La politica deve fare scelte coraggiose per il Paese e smettere di scegliere per se stessa. La politica sta attraversando una crisi più profonda di quella degli anni 90. C’è bisogno di fatti e azioni non simboliche. Se i politici guardassero meno i numeri dei sondaggi e più quelli del bilancio dello Stato, con la testa e con il cuore, si troverebbero soluzioni condivise.
Quali sono le priorità?
L’occupazione è la priorità del Paese. Bisogna ripartire dal lavoro e dal rispetto delle regole. Le donne possono dare un contributo decisivo. Il supporto pubblico e privato non aiuta le madri in carriera a fare scelte in totale libertà. La tecnologia è un alleato delle donne perché permette di conciliare lavoro e responsabilità familiari. C’è un errore di fondo – però – che riguarda in egual misura l’inserimento dei giovani e delle donne nel mondo del lavoro. Diciamo apertamente che la scelta dei percorsi formativi non è allineata alle richieste del mercato.
Per Expo 2015 ha curato il progetto della moneta. Che cosa resta di quell’esperienza?
Credo molto in Expo come grande progetto di rilancio per il Paese. Sarà una grande occasione per l’Italia. E il tema è meraviglioso. Milano sarà il centro del dibattito mondiale sui temi legati al diritto al cibo, alla sicurezza alimentare, all’acqua come bene comune e allo sviluppo sostenibile. E ho creduto molto anche nel progetto della moneta ufficiale di Expo, che mi fu presentato da Sandro Sassoli, presidente del Museo del Tempo. Ci sono voluti due anni di lavoro per farlo approvare: un progetto finalmente partito a costo zero per Expo 2015. Inoltre, ho realizzato i Protocolli d’Intesa, per la valorizzazione dei territori, con la Sicilia Occidentale e con i comuni della Valle del Belice.
Che cosa pensa delle quote di genere?
Spero siano la strada più breve per favorire i percorsi di carriera delle donne che hanno talento e non una nuova forma di lottizzazione. La RAI – dove ho lavorato tanti anni – ha dato un segnale importante, adeguandosi alle quote di genere ancora prima che entrasse in vigore la legge. Nel consiglio di amministrazione RAI ci sono tre donne che adesso devono dimostrare di agire in una logica nuova di discontinuità con il passato, pur conoscendo i meccanismi di un’azienda anomala come la RAI, fatta non solo di conti e bilanci.
Qual è la lezione da non dimenticare?
Sono convinta che bisogna essere sempre se stessi e prendere posizione senza nascondersi. Dire sempre il proprio pensiero e – qualche volta – mordersi la lingua e tacere. L’esperienza è una buona maestra.