Gli incontri di Inaz si caratterizzano per la qualità delle riflessioni sulla cultura d’impresa. Questa volta, al centro dell’attenzione in un eccezionale video-ritratto d’autore (curato da Marco Manzoni, fondatore di Oikos Studio) c’è l’ideatore degli incontri della Piccola Biblioteca d’impresa: Marco Vitale.
Economista, docente, consulente, Marco Vitale è tra le voci più indipendenti dell’economia d’impresa e tra i pochi ad aver previsto i pericoli di un capitalismo orientato solo al profitto alla vigilia della crisi del 2008. Non è possibile racchiudere l’esperienza umana e professionale (profondamente intrecciate tra loro) di Marco Vitale e che – per altro – continua a essere attivissima su tutti i fronti. Il videoreportage si intitola “Marco Vitale: Sherpa d’idee e costruttore di ponti” e ricorda una frase attribuita a Vitale da Fosco Maraini durante una lezione universitaria. Nel documentario, la figura del protagonista – rigorosa e impregnata di umanità – giganteggia sul suo interlocutore ed è fatale che anche la più brillante delle conversazioni diventi un monologo. Accade sempre, quando ci si trova a contatto con grandi personalità, che sono soprattutto grandi persone. Il racconto – però – non cede il passo all’autocelebrazione o al compiacimento agiografico, ma rappresenta una vivace occasione di ragionamento per fare e farsi domande scomode.
Sebbene Marco Vitale abbia sempre dimostrato una certa resistenza a parlare di se stesso, in questo video-racconto scopriamo le radici della sua formazione culturale, le sue letture preferite, le persone che hanno lasciato un’impronta profonda nel suo pensiero, influenzandolo e indirizzandolo. Non solo. Scopriamo anche una versione inedita del professore (dall’aspetto un po’ severo, ma dai modi gentili) più intima e familiare, come la sua passione per lo sport che lo ha educato al rispetto delle regole e a certe altezze anche di pensiero. Aspirante cristiano, seguace della cultura sociale di mercato, critico duro e feroce del mercatismo di matrice americana, di un’economia senza volto e di una finanza fuori controllo.
Con le testimonianze di Annalori Ambrosoli, il patron di Smeg, Roberto Bertazzoni, l’economista Vittorio Coda e il regista Ermanno Olmi, quello che emerge è un ritratto neorealista di un uomo che continua a dedicare ogni sforzo del suo pensiero alla ricerca di una verità che unifica e che non divide.
Cambiamento e trasformazione
Chi ha affrontato le cime del Karakorum e delle Ande Argentine e ha percorso gran parte dell’Italia in bicicletta non ha paura di mostrare la schiena dritta anche davanti alle scelte dell’amministrazione americana, ostaggio delle grandi concentrazioni di potere o davanti alle involuzioni della politica italiana, prigioniera dell’immobilismo e degli interessi personali. A tutto questo, Marco Vitale dice basta, perché la crisi è cambiamento e porta con sé anche un messaggio: «Non si può andare avanti così, ma bisogna recuperare la dimensione dei valori, del lavoro, del rispetto. Il problema delle banche “too big to fail” è ancora irrisolto. Il volume dei derivati è superiore a quello del 2007. Alan Greenspan ha fatto un po’ di autocritica. Larry Summers invece no, eppure, fino a pochi giorni prima della nomina di Janet Yellen, era il candidato più accreditato alla presidenza della Federal Reserve, come dimostravano le pressioni forti della Casa Bianca che valsero al presidente Obama le critiche durissime del New York Times».
Non lasciare nessuno indietro
Chi non ce la fa è destinato a soccombere. La filosofia economica di tipo darwiniano non può essere la base della contemporaneità. I timidi segnali di ripresa continuamente rivisti al ribasso non possono essere considerati segnali positivi, perché secondo Marco Vitale l’Italia non ha fatto ancora niente di serio sui temi che ci hanno portato a vivere la crisi in modo più grave di altri paesi. «Dobbiamo ricreare un rapporto di fiducia e ritrovare una sintonia con il mondo che lavora, che produce e che innova. Dobbiamo imparare dagli errori e correggere la rotta» – avverte Marco Vitale. «L’Europa ha radici profonde nella cultura sociale di mercato e subisce meno il condizionamento delle lobby di potere. Forse, i processi di integrazione politica e monetaria sono lenti, ma rappresentano l’unico tentativo possibile di mettere insieme le tante anime dell’Europa. La rigidità del patto di stabilità è inaudita. Dobbiamo tornare a pensare alla crescita. Il semestre europeo a guida italiana – che inizierà il primo luglio – è il banco di prova per il nostro futuro».