Lo storage nell’era del cloud

Dopo i vantaggi apportati da virtualizzazione e consolidamento, anche per lo storage, la rivoluzione della “nuvola” è ormai un dato di fatto, con l’emergere prepotente del nuovo paradigma del cloud storage, che contribuisce all’affermarsi dell’intero ecosistema del cloud computing. Entro il 2015, consumerizzazione e crescita esponenziale dei dati triplicheranno la spesa mondiale di cloud storage on cloud superando quella on premise (IDC). Uno sguardo ravvicinato alle tendenze in atto e alle proposte dei principali vendor

di Luca de Piano

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Lo storage nell’era del cloudA ben guardare, l’affermarsi delle strategie di cloud storage – che prevedono la conservazione dei dati su sistemi virtuali nella “nuvola” – non è altro che una naturale conseguenza della rapida evoluzione dei servizi cloud. Il cloud storage mantiene tutte le promesse, soprattutto in termini di riduzione dei costi e di maggiore flessibilità, anche se dal lato dei fornitori di servizi pone nuove sfide in termini di sicurezza e di networking. La tendenza – però – è inarrestabile, come concordano i principali analisti. Già nell’ottobre 2011, IDC stimava che la spesa in cloud storage sarebbe triplicata entro il 2015, soprattutto a causa degli elevatissimi tassi di crescita dei dati. Se nel 2010 la spesa mondiale in cloud storage pubblico è stata attorno ai 3,3 miliardi di dollari, secondo IDC nel 2015 questo totale arriverà a 11,7 miliardi, con un tasso composto di crescita del 28,9%. Nelle previsioni degli analisti, quello che più colpisce è che la crescita nella spesa in cloud storage arriverà a superare notevolmente quella per lo storage in azienda: sempre secondo IDC, si passerà da una spesa 2010 di 30,8 miliardi di dollari per lo storage “on premise” a un totale di 37,3 nel 2015, con un tasso annuale composto di crescita pari al 3,9%. Tutto questo farà la felicità dei fornitori di servizi di cloud storage.

Per Brad Nisbet di IDC (“Worldwide Storage in the Cloud 2011-2015 Forecast”, del dicembre 2011) – proprio in vista di questa crescita nella domanda da parte delle aziende – i fornitori di servizi di cloud storage «svilupperanno un’offerta di servizi ancora più sofisticata, oltre la semplice fornitura di capacità di storage nel cloud». Non solo. «Il backup è la base dalla quale saranno costruiti numerosi servizi aggiuntivi, come per esempio la condivisione di file e la gestione di dati a lungo termine».

 

Servizi per tutti

Alla luce della crescente consumerizzazione dell’IT, non sono solo le aziende a riconoscere i vantaggi di utilizzare il cloud storage, soprattutto alla luce della pervasività di smartphone e tablet, che spingono a utilizzare i numerosi servizi online come Dropbox o iCloud per accedere ai dati da qualsiasi luogo in qualsiasi momento. Non a caso, la società di ricerca IHS iSuppli (www.isuppli.com) ha stimato che alla fine del 2012 nel mondo sono 500 milioni gli utenti di servizi di cloud storage (nel 2011 erano meno di 300 milioni) e ha previsto che entro il 2017 questa cifra salirà a circa 1,3 miliardi.

A quest’ultimo proposito, una recentissima analisi effettuata da Strategy Analytics (www.strategyanalytics.com) tenta una prima classifica dei servizi cloud storage più gettonati, mettendo in pole position Apple iCloud, seguito da Dropbox e Cloud Drive di Amazon. L’indagine di Strategy Analytics si riferisce al mercato USA, in cui oltre un quarto degli utenti (il 27%) utilizza iCloud, mentre Dropbox si attesta al 17%, Amazon Cloud Drive al 15% e Google al 10%. Sempre alcune analisi di mercato condotte negli Stati Uniti – dove il cloud storage è in netto sviluppo – rilevano l’emergere costante di nuovi fornitori di servizi, con nomi che hanno assunto rilevanza anche fuori dal perimetro USA.

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I servizi di taglio più consumer non sono oggetto di questo dossier, ma dobbiamo registrare il fatto che sempre più spesso sono utilizzati in ambito aziendale, come conseguenza del più ampio fenomeno del Byod (bring your own device). Per questa ragione i CIO e CTO dovrebbero predisporre policy specifiche e strumenti di controllo ad hoc. Lo scopo non è di rallentare l’adozione di tecnologie in grado di favorire incrementi nella produttività personale e nella competitività aziendale, ma quello di evitarne l’utilizzo fuori da ogni controllo, con il rischio di mettere a repentaglio dati e informazioni che costituiscono – oggi più che mai – il vero patrimonio delle aziende.

 

Dati in crescita inarrestabile

L’archiviazione online rappresenta un’opportunità che le aziende devono cogliere appieno, in quanto l’esplosione dei dati è ormai una realtà, anche alla luce di fenomeni dirompenti come i big data e il mobile computing, che impongono di ripensare le infrastrutture di gestione delle informazioni. Anche se i costi hardware sono in diminuzione, la necessità di contenere la spesa o di ridurre i budget alla luce del perdurare della crisi economica impone a molte aziende di trovare soluzioni alternative all’acquisto di nuovi dispositivi storage per far fronte alla crescita delle necessità di archiviazione. L’incremento esponenziale del volume di dati è la caratteristica dominante che sta guidando lo sviluppo delle tecnologie storage degli ultimi anni: non a caso, sta divenendo sempre più familiare l’unità di misura degli zettabyte, dove uno zettabyte corrisponde a un miliardo di terabyte, e qualcuno azzarda pure il curioso yottabyte. Non è solo – però – una questione di quantità, visto che un elemento che caratterizza i dati in questo nuovo millennio è costituito anche dalla loro tipologia, con la crescente preponderanza dei dati di tipo non strutturato. Ormai, anche i dati di business e non solo quelli di uso personale sono diventati destrutturati, con una componente di tipo multimediale in costante crescita. Ecco perché si parla sempre più di big data, sottintendendo una nuova sfida per la gestione delle informazioni che mette in discussione le tecnologie IT oggi note e che – per quanto riguarda più da vicino lo storage – concentra la propria attenzione su modalità di archiviazione e di accesso improntate a velocità elevatissime. Queste nuove soluzioni per lo storage sono in grado di superare notevolmente le prestazioni dei database tradizionali e sono ritenute indispensabili per supportare le nuove applicazioni o per eseguire analisi in tempo reale ai fini dell’estrazione del valore di business dai dati non strutturati.

 

Nuovi approcci

Le nuove frontiere dei business analytics concentrano l’attenzione sulla questione di come dare un valore di business alla mole crescente di dati. È sicuramente un tema spinoso: non a caso, una ricerca condotta a fine 2012 dalla società di analisi Vanson Bourne in collaborazione con NetApp, ha evidenziato come il 79% dei manager europei tragga motivi di insoddisfazione dal supporto fornito al business da parte dell’infrastruttura IT aziendale. Ma quali sono, sempre secondo la ricerca resa nota da NetApp a inizio 2013, le conseguenze di questa scarsa adeguatezza delle infrastrutture IT a rispondere alle necessità di supporto di business? Il 34% dei mille e 400 top manager intervistati per l’indagine ha indicato la perdita di fatturato, il 36% quella di potenziali nuovi clienti, il 24% l’abbandono da parte dei clienti acquisiti e il 31% la diminuzione della competitività. Per quanto riguarda le ragioni della lamentata difficoltà di avere a disposizione i dati giusti a supporto delle decisioni, il 54% degli intervistati ritiene che la causa principale risieda nella complessità dei dati archiviati. E qui il dito è puntato in particolare sulle infrastrutture storage concepite secondo una logica a silos che ormai ha fatto il suo tempo. Scegliere la virtualizzazione storage rappresenta a questo proposito un primo passo, mentre lo step successivo può essere quello di applicare strumenti di gestione dello storage che consentano la compressione e la deduplica dei dati, per ridurne il volume. La compressione e la deduplica dei dati – infatti – sono viste dal 44% dei partecipanti alla ricerca commissionata da NetApp come un fattore di rallentamento dell’efficacia.

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Storage nel cloud per un’azienda su tre

La virtualizzazione rivela la sua efficacia anche come base per la realizzazione di infrastrutture cloud private o ibride, volte a trasformare in chiave dinamica i classici data center con architetture a silos decisamente inefficienti. La flessibilità dei nuovi data center permette di sfruttare al massimo le capacità storage e di semplificare i compiti connessi alla gestione operativa, non solo in termini di file e storage management in senso stretto, ma anche in termini di infrastruttura, traendo vantaggio dalle nuove possibilità offerte dall’unificazione del fabric e dalla convergenza delle reti. Per far fronte sempre meglio all’esplosione dei dati, la vera rivoluzione è costituita dal poter disporre di storage nel cloud, che permettono di sfruttare risorse on demand, eliminando tout court la necessità di acquisti di ulteriore capacità storage on premise, oppure consentendo di effettuarli basandosi su previsioni di utilizzo maggiormente realistiche e di conseguenza più rispondenti alle esigenze di lungo periodo.

Il livello di flessibilità offerto dal cloud computing permette, infatti, di usufruire di servizi e risorse attraverso nuove modalità. Ricorrere al cloud storage diventa una scelta per così dire “automatica”, soprattutto se si sta già usufruendo di capacità server in modalità cloud computing, in modo da ottimizzare ulteriormente le infrastrutture e rendere l’ambiente IT sempre più elastico e maggiormente reattivo alle esigenze di business. Tra l’altro, lo storage costituisce un servizio molto adatto a essere gestito in modalità cloud, in versione sia privata “in house”, cioè all’interno dell’azienda soprattutto di grande dimensione, sia pubblica. Va da sé che nella modalità public cloud si presenteranno maggiori questioni relative alla banda e alla sicurezza: questi sono in effetti gli ostacoli che si frappongono a un utilizzo generalizzato del cloud storage di tipo pubblico, legati alla questione connessa al collocare i dati di business su archivi esterni all’azienda e senza avere garanzie precise in ordine all’ubicazione fisica dei dispositivi storage e alle misure di protezione adottate nello specifico. Nonostante queste preoccupazioni, il cloud storage rappresenta ugualmente una fetta rilevante dell’intero universo cloud. La ricerca a livello globale dell’Information Security Media Group (www.ismgcorp.com) dal titolo “2012 Cloud Computing Security Survey” ha recentemente evidenziato che lo storage dati è al terzo posto (con il 29% del totale) tra i servizi cloud che le aziende interpellate hanno adottato o prevedono di adottare a breve. In prima posizione, a pari merito con il 34%, sono stati indicati i servizi di hosting di applicazioni e posta elettronica, ma è significativo notare che la percentuale riscontrata per i servizi di cloud storage sia sostanzialmente analoga a quella dei primi due servizi, e soprattutto che un’azienda su tre abbia in mente l’archiviazione online.

 

Il nodo della sicurezza e della compliance

L’indagine “2012 Cloud Computing Security Survey” dell’Information Security Media Group fotografa in maniera puntuale anche il problema della sicurezza, che per il 72% degli interpellati costituisce un freno all’adozione di servizi cloud, indicando al primo posto (con il 22%) i timori per la protezione dei dati, seguiti da preoccupazioni in ordine alla difficoltà di adottare policy efficaci di sicurezza (14%), al rischio di perdere informazioni (9%), alla mancanza di audit (8%) e infine all’eventualità di non essere conformi a disposizioni normative (7%). Le maggiori perplessità si concentrano sulle normative che impongono regole stringenti riguardo all’ubicazione dei server: più della metà (il 54%, per l’esattezza) delle aziende interpellate dall’Information Security Media Group giudica “importante” questo aspetto, mentre sono solo il 12% coloro i quali non lo ritengono tale. Ma l’indagine ha anche rivelato che ormai circa due terzi delle imprese interpellate utilizza servizi sulla “nuvola”, con la maggioranza (il 54%) che si appoggia a infrastrutture cloud di tipo privato e il 24% che fa uso di cloud di tipo ibrido oppure pubblico.

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I requisiti dei provider

Proprio per le preoccupazioni appena viste in ordine alla conformità alle normative riguardanti la localizzazione geografica dello storage di dati oppure l’utilizzo di protocolli di trasmissione sicuri, è auspicabile adottare servizi forniti da provider che permettono di scegliere l’ubicazione, anche se questo aspetto potrebbe complicarsi nel caso in cui il service provider selezionato utilizzi a propria volta infrastrutture di terze parti. In quest’ultima ipotesi, diventa necessario che tutti gli attori della filiera garantiscano l’adozione di metodologie e strumenti di monitoring volte a stabilire il livello di fiducia che costituisce il presupposto per godere appieno dei vantaggi del cloud computing senza rischi. Inoltre, potrebbe essere al riguardo utile anche predisporre contratti che indichino con chiarezza i requisiti attesi. Su questi aspetti, la già menzionata indagine “2012 Cloud Computing Security Survey” ha evidenziato che presso i security manager dell’IT vi sono molteplici opinioni sul modo di valutare l’affidabilità di un provider: un intervistato su tre (il 35%) si affida su un’attestazione rilasciata da terze parti, mentre il 28% esamina in prima persona i requisiti dei provider candidati. Un ulteriore 16% degli interpellati rivela di testare le vulnerabilità in collaborazione con il provider scelto – e per quanto riguarda le percentuali restanti – il 7% si fida delle assicurazioni fornite dal provider, un altro 7% confessa di non effettuare alcuna verifica e il 5% si comporta in maniera analoga a quanto già fatto da aziende similari.

 

La necessità degli standard

I provider di servizi cloud storage hanno più che mai l’imbarazzo della scelta, visto che tutti i principali vendor propongono soluzioni sempre più in grado di gestire i crescenti volumi di dati con maggiore efficienza. Il settore è in una fase molto effervescente, anche per l’emergere di un consenso crescente verso la piattaforma aperta OpenStack, su cui si vanno coagulando le offerte più innovative. Si tratta di un ottimo segnale, che permette di intravedere un netto superamento di quella mancanza di standard che da più parti veniva indicata come potenziale fonte di insuccesso delle iniziative di cloud storage. Infatti, poco meno di due anni fa, in uno Special Report di InfoWorld (“Cloud Storage Deep Dive”, InfoWorld giugno 2011), si poteva leggere: “Quello che manca al cloud storage di oggi sono gli standard ampiamente accettati, comprese le API (le interfacce di programmazione applicativa) standardizzate per lo storage, la cui assenza rende molto difficile per i clienti la possibilità di cambiare fornitore. In questo momento, una volta che si lega un’applicazione a un servizio di cloud storage, ci si trova praticamente bloccati con quel servizio a meno che non si sia disposti a intraprendere notevoli sforzi”. Lo stesso rapporto dava conto dei primi sforzi compiuti in seno alla Storage networking industry association (SNIA) per arrivare a definire alcuni standard, con un modello di cloud storage di riferimento che descrive una vista logica delle funzioni e delle capacità necessarie.