Mettere la conoscenza al servizio dell’economia
«Ama, impara, fai e condividi i risultati»
C’è un video che gira in rete da un po’ di tempo e che è fonte di ispirazione per tutti coloro che stanno vivendo un momento di difficoltà nel lavoro o nella vita privata. Racconta la storia dell’amore incondizionato di un padre per il proprio figlio, costretto su una sedia a rotelle. Non si tratta di un film, ma di una storia vera. Rick, al momento della nascita, è colpito da paralisi cerebrale. Quando i medici comunicano ai genitori la diagnosi, il padre Dick e la madre Judy decidono – però – di non perdere la speranza e cominciano a trattare Rick come qualsiasi altro bambino, insegnandogli l’alfabeto. Nel 1972, Rick ha undici anni e i genitori gli regalano un computer interattivo sviluppato dagli ingegneri della Tufts University e costato più di cinquemila dollari. Questo dispositivo permette a Rick di interagire con l’ambiente, utilizzando i movimenti della testa. «Go Bruins»! – Forza Bruins, riferito alla squadra di hockey su ghiaccio NHL di Boston – è la prima frase che Rick riesce a comporre con questo dispositivo. Ed è la conferma di ciò che i genitori di Rick avevano sempre creduto: il loro figlio è in grado di capire fin dalla nascita. Da quel momento, Rick non solo frequenta la scuola pubblica, ma si laurea alla Boston University nel 1993 in Special education. La corsa della famiglia Hoyt di Holland (nel Massachusetts) – però – è solo all’inizio. Nel 1977, papà Dick, che non ha mai corso in vita sua, inizia ad allenarsi con sacchi di pietre sulle spalle e poco dopo fonda il Team Hoyt che ancora oggi gareggia in tutto il mondo. Padre e figlio insieme hanno completato più di mille competizioni sportive, fino a gareggiare nella più massacrante delle discipline sportive del triathlon, l’iron man (quattro km a nuoto, 180 km in bicicletta e 42 km di corsa). La storia del team Hoyt è la storia di un’ostinata voglia di vivere e di vincere. È la storia di una speranza resa forte giorno dopo giorno, a piccoli passi. È la storia di chi non si arrende. Credere in noi stessi è il primo passo che possiamo fare per cambiare. E chi dice che non riusciremo a portare a termine un’impresa cospira contro di noi. Credere è creare. Abbiamo bisogno di un atto di fede in noi stessi, nella forza delle nostre idee, del nostro lavoro e delle persone che lavorano con noi. È possibile crescere solo se guardiamo lontano. La visione che abbiamo del futuro determina il futuro che costruiremo. Ma ce l’abbiamo una visione? Oppure l’unica vision di cui siamo capaci è la “frasetta” che accompagna le presentazioni dei dati finanziari? Se vogliamo fare di più per la crescita, ciascuno di noi deve fare di più. Balzac diceva: «La rassegnazione è il suicidio quotidiano». La speranza deve essere invece un esercizio quotidiano. Chi non ha speranza si rassegna al fallimento. E nel suo ultimo libro (“La vida que merce”, disponibile solo in spagnolo), Álex Rovira (insieme a Pascual Olmos) propone un nuovo modello per uscire dalla crisi basato su tre principi: le motivazioni profonde delle persone, la creatività e la tecnologia socialmente ed ecologicamente responsabile.
«Viviamo in un ambiente profondamente disfunzionale – scrive Rovira – che ci sta portando a tassi sempre più elevati di corruzione, disoccupazione, disperazione con una crescente mancanza di fiducia nelle persone. Siamo di fronte alla sfida cruciale di ricostruire o reinventare un sistema sociale e politico capace di dare a tutti una vita di successo che non si basi – però – sullo sfruttamento, la speculazione o l’infelicità altrui».
Per Álex Rovira (www.alexrovira.com) che insegna gestione delle risorse umane e del talento all’Escuela Superior de Administración y Dirección de Empresas (ESADE) di Barcellona, «la crisi di per sé non è una catastrofe, ma può diventarlo se si aspetta troppo a decidere».
Data Manager: Qual è il senso profondo della crisi che stiamo vivendo?
Álex Rovira: Chi sale su un palco non deve celebrare se stesso, ma deve avere la consapevolezza di dare un contributo al dibattito. La responsabilità di quel messaggio è tutta personale. Non conta se si è un uomo di spettacolo, un uomo politico o un manager durante una presentazione. Chi sale sul palcoscenico della vita non può pretendere di scendere quando le cose vanno male e – soprattutto – non può accusare gli altri di non essere compreso. Quando si perdono i punti di riferimento, la cosa più saggia da fare è fermarsi per trovare nuovi punti di riferimento e continuare il cammino. Quello in cui crediamo diventa ciò che vogliamo che sia. L’anima crea la materia. I valori creano le leggi. La psicologia crea l’economia. La crisi economica che viviamo è miseria morale che genera miseria economica e che ci obbliga a comprare, con il denaro che non abbiamo, cose di cui non abbiamo bisogno per impressionare persone che non conosciamo. È questo il senso della crisi.
Ma come ci si orienta senza punti di riferimento?
D avanti alle scelte siamo sempre in crisi. Attraverso le scelte decidiamo chi siamo e cosa vogliamo diventare. La scelta determina un passaggio di crescita, anche quando le scelte fatte si rivelano sbagliate. La crisi quindi non è una tragedia, una disgrazia o un castigo divino. Può essere drammatica come ogni processo decisionale, può porre dilemmi alla società, all’individuo e alla politica. Ma la crisi di per sé non è una catastrofe, ma può diventarlo se si aspetta troppo a decidere. Se si indugia, le scelte diventano obbligate e dolorose.
Nessuno cambia però se non è costretto o se non è convinto…
Volere cambiare è il primo passo. Le false credenze, i falsi punti di riferimento possono essere l’ostacolo più forte al cambiamento. La scelta giusta spesso è quella più scomoda, la strada che ci conduce a esso è la meno frequentata. La nostra mente è una macchina eccezionale che seleziona i dati salienti in base alle nostre mappe mentali. Spesso i comportamenti non sono casuali, ma determinati da scelte precedenti. Dobbiamo essere capaci di uscire dagli schemi, quando diventano delle gabbie. Credere in noi stessi è il primo passo che possiamo fare per cambiare.
Qual è il segreto del cambiamento?
Quando ti comunicano una diagnosi infausta è una catastrofe perché non è reversibile. La speranza è un imperativo morale. Se si crede che si possa cambiare, si possono fare grandi cose. Con il coraggio, l’amore, l’ostinazione, la forza spirituale si possono superare i limiti. La generosità, il sacrificio, l’amore di un padre per un figlio, la voglia di fare bene, di riconoscerci uguali, tirando fuori il meglio che abbiamo dentro, sono queste le risorse che abbiamo a disposizione per superare tutte le crisi. Per cambiare bisogna amare, imparare, fare e condividere i risultati con gli altri. Anche per creare buoni prodotti e servizi bisogna creare qualità nei rapporti umani.
Abbiamo imparato la lezione della crisi?
La disarticolazione del potere economico da quello finanziario, del capitale dal lavoro, della produzione dai luoghi del lavoro hanno determinato una frattura. In questa frattura, si moltiplica la corruzione, la sopraffazione, lo sfruttamento. Da questa frattura ha origine la precarietà del lavoro e la perdita di identità sociale. Questa mancanza di rifermenti genera angoscia e paura. La politica è diventata autoreferenziale e non è in grado di rispondere alla domanda che arriva dal basso. Ma una domanda lasciata senza risposta, genera altre domande. Il sistema attuale che produce disequilibrio non é più sostenibile. Ogni crisi ha la sua fine. La crisi obbliga tutti a cambiare. Nel Nord dell’Europa, i valori sono un antidoto alla crisi che invece colpisce di più – e non a caso – paesi come la Spagna, l’Italia, la Grecia. Se non si impara la lezione, la situazione è destinata a peggiorare.
Come si riconosce un leader?
Il leader sa vedere il talento nelle persone e tirarlo fuori. Si dice che Thomas Edison abbia effettuato oltre cinquemila esperimenti prima di mettere a punto l’invenzione della lampadina. Non considerò mai quei tentativi un fallimento, ma le tappe per raggiungere la meta. Dobbiamo essere buoni amministratori delegati, buoni padri di famiglia, buoni maestri. Il futuro ha bisogno di leaders che abbiano cuore, non solo fiuto per i soldi. Si può perdere tutto, ma nessuno può toglierci la libertà di decidere. Ciò che scegliamo decide chi siamo e il futuro che costruiamo. Nell’era dell’informazione digitale, dei super computer, abbiamo la straordinaria occasione di mettere l’intelligenza al servizio dell’amore universale. Ma non lo abbiamo ancora fatto.