La chiave inglese

Roberto Vacca - Chief inspiration OfficerAllarme sicurezza: il rischio più grave per l’umanità è che una guerra nucleare si scateni per un incidente a caso

 

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Condanniamo chi uccide o maltratta un solo essere umano. Peggio se le vittime sono milioni. Invece, nessuno menziona le colpe di omissione di chi mette a rischio la vita di miliardi di persone. Già nel 1959, nel suo libro La questione della difesa nazionale, Oskar Morgenstern, economista matematico, inventore con John von Neumann della teoria matematica dei giochi competitivi, scriveva: «Un giorno, un’arma nucleare esploderà in modo puramente accidentale, senza alcuna connessione con piani militari. La mente umana non può costruire qualcosa che sia infallibile». Il rischio, secondo lo studioso, non era tanto quello di una guerra nucleare scatenata da guerrafondai perversi o folli, ma da malfunzionamenti tecnici casuali o da errori umani. Possibilità reale o eccessivo allarmismo? Certo è che nel 1971, Usa e Urss avevano ben presente il problema e firmarono un accordo per “ridurre il rischio dello scoppio di una guerra nucleare” che conteneva questa considerazione: «Malgrado le precauzioni più elaborate, è concepibile che un guasto tecnico o un errore umano o un incidente frainteso o un’azione non autorizzata possa scatenare un disastro». Così, nel 1978, la Marina statunitense coniò il termine “freccia spezzata” (broken arrow) proprio per definire lo scoppio di un’arma nucleare che non implichi il pericolo di scatenare una guerra.

 

Frecce spezzate

 Ma che probabilità ci sono che una guerra nucleare “casuale” si verifichi davvero? Calcolarlo è arduo anche se, da mezzo secolo, i governi di molti paesi ci provano. Fatti e dati, però, rimangono segreti. Il 18 settembre 1980 a Damascus, Arkansas, un tecnico lasciò cadere una grossa chiave inglese dall’altezza di 20 metri mentre faceva manutenzione nel silo del missile Titan II, con testata nucleare da 9 megaton. L’urto contro il missile provocò una fuga di carburante. Poche ore dopo, l’ossigeno liquido e il carburante del missile esplosero provocando un incendio enorme. La porta di cemento e acciaio del silo, che pesava 740 tonnellate, si sfondò. La testata nucleare del missile fu proiettata a 200 metri di distanza e poi ritrovata intatta. Fra il personale, un morto e 21 feriti. Il libro di Eric Schlosser, Command and Control (Penguin, 2013), descrive in dettaglio questo incidente, in sé non tanto significativo ma elencato come l’ultima “freccia spezzata” in una lista di 32 pubblicata nel 1981 dal dipartimento della Difesa americana. Da mie ricerche in rete, ho trovato 121 “frecce spezzate” dal 1950 al 2003. Da allora, non sono menzionati altri incidenti: due ogni anno in media per 53 anni e poi nessuno per 10 anni! È plausibile che la censura blocchi le informazioni perché, se fossero rese note, proverebbero che il rischio è maggiore di quanto finora stimato. Oltre ai difetti dei sistemi d’arma, anche i sistemi radar di difesa hanno fallito varie volte in modo clamoroso. Il 9 novembre 1979 il sistema radar americano Bmews (Ballistic Missile Early Warning System), mirato a individuare prontamente missili balistici sovietici, diede l’allarme di un attacco missilistico contro gli Stati Uniti. Iniziarono i preparativi di rappresaglia con missili intercontinentali e bombardieri. I satelliti, però, non confermarono l’allarme e poco dopo si capì che per errore era stato inserito nel sistema un nastro di prova con segnali che simulavano un attacco, usato per l’addestramento del personale. Il 26 settembre 1983 un radar sovietico segnalò in arrivo cinque missili nucleari americani. Il colonnello Stanislav Petrov avrebbe dovuto dare l’allarme e scatenare la risposta nucleare russa. Pensò che un attacco americano con soli cinque missili non fosse credibile. Segnalò che si trattava di un falso allarme. Fu processato da una corte marziale per non aver seguito le regole e fu assolto. Aveva salvato il mondo.

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