Il consolidamento del settore, con l’offerta di soluzioni sempre più “one stop shop”, va di pari passo con l’estendersi dell’offerta di servizi cloud e la pacchettizzazione delle soluzioni. Per il canale è tempo di puntare sulla specializzazione
All’ultima edizione di Smau Milano 2012, uno dei convegni era decisamente affollato. Quello organizzato da IBM sul futuro dei service provider metteva in risalto il ruolo dei rivenditori a valore e la parte più in ombra della “nuvola”. Se Marx scriveva nel Manifesto del 1848, “uno spettro s’aggira per l’Europa” – oggi – si potrebbe dire che una rivoluzione attraversa il panorama dell’IT. Qualcosa che assomiglia al passaggio dalla vecchia sartoria all’industria della confezione. Con problemi per i sarti, ma anche per i clienti. La catena del valore tra vendor e utenti si accorcia in nome della semplificazione. Fornitori più globali all’insegna del consolidamento hardware e software portano soluzioni pronte all’uso e servizi. Il cloud non è l’unico “distributore self service” di questo carburante, perché la tendenza è creare moduli pre-configurati ready to go. Se l’infrastruttura – o la piattaforma – diventa un servizio, il servizio è “embedded” nel prodotto.
LA CATENA SI RICOMPONE – Dopo le acquisizioni “tra simili” (tipo Digital-Compaq, HP) è arrivato il tempo dell’unione “tra complementari”: system vendor che compravano aziende di software e, più recentemente (Oracle), anche il contrario. Il settore ha cambiato faccia sotto la spinta di acquisizioni come quelle di HP nei servizi (EDS), nello storage (3PAR), nelle reti (3Com), nel software (Autonomy e altro). Oppure, di Oracle nei server e nello storage (Sun / StorageTek), di Dell nello storage (EqualLogic) e nei servizi (Perot). Dove non arrivano le acquisizioni ci pensano le alleanze. Cisco ed EMC con VMware hanno dato vita alla VCE, che punta a unire server, storage, networking e servizi per fornire sistemi completi e private cloud operativi nel giro di poche settimane, utili a PMI e anche a grandi utenti per far decollare rapidamente progetti e servizi. La parola magica è “plug and play”. La piattaforma HANA adottata da SAP, fruibile in cloud o come un’appliance, promette un salto di qualità e di velocità nell’analisi di grandi quantitativi di dati con l’in-memory computing per analizzare grandi quantitativi di dati direttamente dalla memoria del computer, anche collegandosi con i database relazionali e gli ERP esistenti. L’appliance prevede un sistema hardware preconfigurato e completo di software e tuning. HP ha annunciato una nuova versione della serie di server Proliant SL 4500, completa di storage Smart Array e di soluzioni smart analytics con un obiettivo: configurare una “soluzione a pacchetto” per applicazioni nell’ambito big data, a prezzi d’ingresso accattivanti.
LA DISINTERMEDIAZIONE – Gli esempi possono continuare, ma la lezione è comune. Soluzioni pacchettizzate e servizi cloud cambiano la catena del valore. Per i fornitori tradizionali di servizi, per il mondo dei VAR, questo è anche un campanello d’allarme all’insegna della disintermediazione. Ma chi porta le nuove tecnologie? E le aziende hanno le competenze necessarie? Un’indagine condotta la scorsa estate da Gartner, in nove Paesi rivela la lama a doppio taglio del public cloud: da una parte riduce la domanda tradizionale di servizi IT in outsourcing, dall’altra può stimolarne di nuova. Un quinto delle 500 imprese intervistate sta usando il cloud computing per gran parte delle attività di produzione e lo Storage as a Service per buona parte delle attività di archiviazione dati e le soluzioni IaaS stanno passando dalla “periferia” delle attività marginali o a basso rischio a quelle più critiche e “core”. L’indagine rileva le opportunità per i service provider di portare nuovi servizi PaaS (Platform as a Service), mentre il SaaS (Software as a Service) può tagliare l’erba sotto i piedi dei tradizionali fornitori in outsourcing ma aprire anche nuovi spazi: consulenza, implementazione di nuovi servizi sin qui tenuti all’interno delle aziende. Proprio la modalità cloud potrebbe favorire anche l’emergere di una costellazione di partner, ciascuno con una specializzazione, ma entro un ecosistema complessivo. All’opposto, problemi potrebbero emergere verso i fornitori troppo legati ai modelli tradizionali.
MISSIONE SPECIALISTA – Che cosa cambia allora? «Siamo nel classico momento di cambio di paradigma» – spiega a Data Manager, Sauro Romani, country leader per le alleanze e il canale di Oracle Italia – che in pochi anni è riuscita a far perno sulla vasta presenza software nel mondo enterprise per divenire un global vendor. «E’ un cambiamento non solo tecnologico, perché il cloud avvicina i non addetti ai lavori alla tecnologia. Accade nel consumer, ma il trend si sta velocemente estendendo al B2B. La differenza la faranno sempre più i servizi che un’azienda e i suoi partner saranno capaci di costruire e di erogare attorno al prodotto». Non solo. «Il quadro tradizionale è cambiato – dice Francesco Angeleri, responsabile del Canale di IBM – e il modello dell’azienda, che si rivolgeva al suo fornitore di fiducia per mettere insieme un po’ di hardware e di relativi strumenti software, ormai è lontano». Se le piattaforme sono sempre più “industrializzate” e i servizi public cloud stanno standardizzando l’offerta, la risposta va verso il binomio specializzazione/cloud service. «Da tempo ormai, Oracle spinge sulla specializzazione dei propri partner» – spiega Romani. «Il nostro obiettivo non è quello di avere tanti partner, ma di avere al fianco aziende che hanno fatto percorsi di formazione, che hanno acquisito competenze e che quindi possono fregiarsi della qualifica di “partner specializzato” su determinate tecnologie: quelle tradizionali dell’offerta Oracle (server, storage, DB, middleware, application) e quelle innovative quali gli engineered systems (exadata, exalogic, exalytics). Allo stesso modo, nel cloud, public o private, abbiamo creato programmi ad hoc e percorsi di specializzazione che si rivolgono a varie tipologie di partner: chi in ambito tecnologico vuole creare cloud privati, utilizzando i nostri prodotti; chi è focalizzato sulla system integration e quindi deve acquisire le competenze per realizzare progetti cloud; chi, ancora, è focalizzato sulla commercializzazione e allora in questo caso abbiamo dei programmi di incentivazione che stimolano i nostri partner a rivendere le soluzioni su cloud.oracle.com». Specializzazione del canale ed evoluzione verso un ruolo attivo anche nel cloud è la ricetta di IBM, l’azienda che storicamente proprio in Italia aveva costruito attorno al mondo delle PMI un mercato che ha saputo generare una tradizione applicativa e una forte presenza sistemistica fin dai tempi dei sistemi S/3X e AS/400. «La parola chiave – dice Angeleri (IBM) – è quella della “co-delivery”, con cui i partner divengono dei veri e propri managed service provider, caratterizzati da competenze specifiche, anche e soprattutto di carattere verticale, per veicolare ai clienti quelle soluzioni complesse che in particolare la PMI non ha convenienza a sviluppare al proprio interno o per le quali non ha competenze». Un punto di aggregazione è per IBM, l’ambiente PureSystems, in cui far “collassare” non solo tecnologie ampiamente configurabili e ottimizzabili, e integrare anche competenze e soluzioni verticali. Obiettivo: prestazioni più certe e tempi di start-up più contenuti. «Per i partner è un cambiamento di paradigma, ma è anche ciò che i più qualificati di loro si aspettano e il feedback a questa proposta è positivo: dalle applicazioni verticali alla business analytics ci sono molte nuove opportunità». Oggi, i partner IBM possono accedere anche a una quarantina di centri di competenza nel mondo, compreso naturalmente quello italiano, ma una nuova prospettiva si sta ulteriormente aprendo: quella della fornitura di servizi correnti, insomma di applicazioni “as a service” erogate in public cloud gestite direttamente dai partner. «I primi – dice Angeleri – si stanno già organizzando». Il mondo sta cambiando. L’iniziativa va al potere, anche sulla nuvola.