L’IT frena o cambia la strada?

L’IT frena o cambia la strada?

Il mercato segna valori negativi, ma ci sono motivi strutturali: un Paese meno centrale nell’economia internazionale e nuovi paradigmi. Virtualizzazione, cloud e outsourcing si sommano alle incertezze sulla direzione da prendere

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Un’altra botta del -3,8% nel primo semestre, con una previsione del -4,4% per l’intero anno. E’ la stima di Assinform per il mercato IT, con una voragine del -7,7% per l’hardware, dopo il -4,1% del primo semestre 2011. Unico a salvarsi, si fa per dire, il software, a crescita zero. Per Assintel, stime simili: -3,2% sull’anno, con un -9,4% per l’hardware (le ricerche sono curate rispettivamente da NetConsulting e da NextValue). L’IT italiano va come l’economia del Paese: passo del gambero e “spread” con le economie più forti. Resta da stabilire quale sia la causa e quale l’effetto. Del resto, sempre secondo le valutazioni di Assintel, un terzo delle aziende prevede per il 2013 budget IT stabili, quasi la metà (42%) in contrazione. Va un po’ meglio nelle TLC, dove calano anche i ricavi degli operatori mobili, mentre si manifesta qualche sussulto sulle reti (ma sull’LTE sono ancora aperte le questioni delle frequenze tv da liberare e dei disturbi sulle antenne televisive, per cui qualcuno dovrà pagare). Soprattutto, le TLC traggono vantaggio da un elemento spurio: gli smartphone. Questa categoria di apparecchi ha ucciso i PDA, sta sbriciolando il mercato delle fotocamere compatte, ha fatto fuori i navigatori e messo nell’angolo i lettori musicali, ma continuiamo a considerarli parte delle telecomunicazioni invece che dell’elettronica di consumo, in forte flessione in valore.

I DRIVER DELLA SPESA FRENANO


C’è da stupirsi del calo dell’IT? No, e andrebbe aggiunto che la flessione vera è anche maggiore, perché quando un’azienda sposta all’esterno una serie di funzioni e staff, vuol dire che cancella dei posti di lavoro e relativi stipendi che prima non figuravano nelle statistiche dell’IT, ma in quelle dello specifico comparto aziendale, e ora vanno invece a gonfiare i conti del settore informatica. Gioco delle tre tavolette? Il settore IT negli ultimi dodici anni ha sperimentato “spinte” come il big bang delle comunicazioni mobili, la revisione dei sistemi informativi bancari conseguente alle acquisizioni, senza scordare alcuni fattori minori come Millennium Bug (in Italia assai poco sentito) e del passaggio all’euro. Ancora più forti sono stati i fattori che hanno agito da freno: tra questi, la razionalizzazione nel comparto bancario (dopo le spese iniziali per il consolidamento, si è finito con lo spendere meno), la “spending review” nelle Telco, fatta di un minor numero di data center e anche di esternalizzazioni, ultima quella di Fastweb. Ma, al di là di questo, c’è anche l’effetto di un Paese sempre meno centrale nell’economia globale. Se la Fiat discute dove tenere la propria sede – quante sono le aziende internazionali che hanno ridotto o smantellato i presìdi IT locali, per concentrarli a Parigi, a Monaco, a Londra, a New York? Ancora, un terzo “freno” per la domanda IT, il più rilevante per il futuro: si tratta del cambiamento dei modelli dell’IT, che punta a organizzazioni interne più snelle. Ne ha preso atto anche Assinform, che con il suo presidente Paolo Angelucci va oltre i tradizionali sotto-settori dell’IT e delle TLC per parlare di un “Digital Global Market”. Una scelta in parte di “marketing politico” per mostrare un settore che, comprendendo anche la consumer electronics, ha più sostanza, ma anche il riflesso di un cambiamento irreversibile, legato al cloud, sia esso pubblico o privato. Il mercato dei server ha smesso di crescere da un po’, sotto l’effetto della virtualizzazione e dei nuovi mini-formati. Una delle aziende IT più profittevoli, EMC, fa utili vendendo hardware e software per tener dietro alla crescita dei dati e il suo valore di borsa (al momento in cui scriviamo) è 54 miliardi di dollari (più di HP e Dell messe insieme). Questo, grazie in buona parte al contributo di VMware, di cui ha in pancia l’80%, che da sola vale 37 miliardi. E il business di VMware è esattamente quello di far risparmiare soldi e tempo rispetto all’acquisto di server fisici. Analogamente, se le aziende passano al cloud e all’outsourcing (magari gli uni e gli altri erogati dall’estero, quindi con ulteriore contrazione dei numeri della spesa tecnologica e di personale) il motivo è sempre quello: ridurre costi e problemi. Tendenze ormai consolidate, al di là di qualche ripensamento in materia di outsourcing: «Un manager aziendale che non prendesse in considerazione il modello cloud, oggi, sarebbe semplicemente incomprensibile» – dice Mark De Simone, presidente, dopo una lunga esperienza in Cisco, della neocostituita CloudItalia. Quest’ultima è nata sulle ceneri del ramo telecomunicazioni di Eutelia: una precisazione non trascurabile, perché quest’eredità vuol dire anche il controllo di 14mila chilometri di rete di comunicazioni. Con un ragionamento che non fa una grinza – ricorda lo stesso De Simone – «parlare di cloud, se la rete fa acqua, vuol dire non poter garantire gli SLA “reali” e cioè quelli finali all’utente».

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PENSARE DIFFERENTE

Le aziende e gli IT manager, dopo un lungo periodo passato all’insegna della razionalizzazione e ottimizzazione, sono alle prese con una nuova richiesta: quella del pensare differente. A dire il vero, dovrebbero essere anche i Governi a farlo, ma per ora prevalgono le parole. Quest’estate, il ceo di Microsoft, Steve Ballmer, ha parlato dei cambiamenti tecnologici in corso come dei «più rilevanti degli ultimi 17 anni», quando Windows e Office cambiarono tutto. Oggi, non ci sono più le code di un tempo per l’arrivo del nuovo Windows. Al loro posto ci sono quelle, dieci volte maggiori, per il nuovo iPad o il nuovo iPhone. Le aziende e i consumatori non stanno ansimando per Windows 8. Semmai, si domandano se l’ambiente di Microsoft sarà ancora così strategico nei prossimi dieci anni come lo è stato negli ultimi dieci. La novità sta nel fatto che, per la prima volta, Microsoft per difendersi deve attaccare, mentre si trova ad affrontare un effetto domino. Smartphone, tablet e pc sono sempre meno isolati: alla fine, avremo ancora mercati largamente separati oppure – come temono a Redmond – chi vince prende tutto? L’attuale incertezza si riflette anche nelle mosse dei produttori di pc. Il grado di successo di Windows 8 influenzerà anche le mosse dei grandi player come HP, Lenovo, Dell, sul mercato dei tablet ed eventualmente degli smartphone. Alcuni di questi produttori sono entrati e usciti anche più di una volta da questi business e HP – così come Dell – prudentemente pensano in primo luogo al mercato aziendale, dove – prevedibilmente – ci sarà più spazio per Windows che per iOS o Android. I prossimi mesi saranno ancora all’insegna del “wait and see”, per capire da che parte tira il vento sulle nuove piattaforme. Velocità e flessibilità saranno le richieste principali in un clima che resta quello del controllo della spesa. Con un’avvertenza: davanti alle loro proposte di investimento i cio aziendali avranno crescenti probabilità di sentirsi dire dai loro responsabili della spesa: «Ma tutto questo, che cosa c’entra con le nostre prospettive cloud»? I processi di consolidamento dell’offerta dei maggiori player indicano la volontà di offrire ai clienti soluzioni sempre più “controllabili” e gestibili, con una semplificazione dei processi d’acquisto. Il cloud avrà successo, se davvero saprà rendere la vita più semplice alle imprese, così come ai consumatori e senza trascurare – soprattutto in Italia – la parte che avrà il canale (significativi sono gli annunci al riguardo fatti da IBM durante Smau 2012). Non solo oggi e domani, ma anche più avanti nel tempo, quando per esempio, si vorrà cambiare fornitore, come ha ricordato recentemente anche la Commissaria europea all’Agenda Digitale, Neelie Kroes. Il futuro non è così scontato.

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