La concorrenza – anche aspra – è sempre stata caratteristica del settore IT, ma l’anno che si è concluso è stato segnato da un record di conflittualità a vari livelli, tale da far dubitare che una ripresa effettiva possa avvenire con questo livello di belligeranza. Il primo scontro è quello della proprietà intellettuale. La tempesta si è scatenata sui prodotti-faro, i pochi che possono riportare consistenti segnali di crescita, quindi smartphone e tablet. I due leader – Apple e Samsung – si sono incrociati nei tribunali di mezzo mondo e la sentenza di agosto che ha inflitto ai coreani un’ammenda da più di un miliardo di dollari è un record nel suo genere, anche se non è stata replicata con il blocco delle vendite. Il contenzioso tra i due produttori di techno-gadget non è stato tuttavia l’unico: Samsung si è “beccata” anche con Ericsson e gli avvocati hanno lavorato anche per Alcatel-Lucent, Google, HTC, Microsoft, RIM, tra gli altri. Il motivo principale è di natura competitiva e i bassi costi di brevettazione negli USA incentivano una corsa a richieste di ogni genere, comprese quelle sul grado di stondatura degli angoli o del modo in cui sono sfogliate a video le pagine. Tuttavia, a far lavorare gli studi legali non meno dei laboratori c’è anche la volontà di valorizzare le spese in R&D.
I brevetti diventano un asset miliardario. Trent’anni fa nasceva la moderna interfaccia dei client, con le idee del PARC della Xerox a Palo Alto (1981), che ispiravano il LISA (1983) e il Mac (1984) di Apple della vicina Cupertino, per ritrovarsi poi in Windows 3.0 (1990) della Microsoft a Redmond: le buone idee sono per fortuna contagiose. Il secondo campo è quello tra i carrier e i fornitori di servizi in rete – gli OTT insomma – che si chiamano “Over The Top” perché si suppone che “sotto” ci sia qualcosa, appunto la Rete. Se in una decina d’anni, il valore dei titoli dei secondi in Europa è sceso di 6/10 volte e di altrettanto sono saliti quelli dei primi, c’è stata un’evidente trasfusione di sangue. Il mondo delle app di Apple o di Android, così come quello dei social network, non avrebbe senso senza una Rete, ma chi la paga? Le posizioni sono ancora lontane e il risultato è un calo degli investimenti con effetti su tutta la filiera. Il terzo confronto è tra i servizi di Rete e gli editori, i fornitori di contenuti. La crisi dell’editoria riflette la fuga di lettori paganti e di inserzionisti pubblicitari. Gli editori accusano “Google & Co” di scippare le news per fornirle gratuitamente (è facile essere generosi con il pane altrui, ricorda Omero nell’Odissea a proposito dei Proci). Il 2012 è terminato con un ammontare di azioni legali e di iniziative politiche in Germania, Francia, Belgio e anche Italia, mentre i giornali continuano ad accumulare segni meno e a disegnare piani di ristrutturazione che andranno avanti anche nel 2013. L’idea che dalla società dell’informazione dovesse nascere nuova ricchezza rischia di essere la bufala del decennio. Il quarto fronte è quello fiscale, l’altra faccia della globalizzazione. E se negli USA serpeggia il crescente fastidio verso le grandi aziende – che non rimpatriano i loro utili per non pagare una tassazione più alta (il 35%), ma ricorrono all’espediente di farsi “finanziare” dalle filiali dei Paesi low-tax, in cui questi utili sono depositati – in Europa, i governi preoccupati dalle triangolazioni di aziende che fatturano da Paesi a bassa tassazione attuano prezzi di trasferimento poco credibili (cioè gonfiati) o scaricano tra un Paese e l’altro costi di management o proprietà intellettuale artificiosi. Il caso Google (azioni sono già avviate in Francia e in Italia) ha fatto saltare il tappo, ma non è certamente l’unico. E non sono solo le società di servizi, ma anche quelle di hardware, software, materiali di consumo, a ricercare strade di maggior favore che, secondo le interpretazioni, possono essere al di là o al di qua dei confini. E’ stato aperto il Vaso di Pandora: la crescita del settore e degli investimenti richiede di rimettere insieme i pezzi.