Il ruolo politico dei CIO

Quanto le convinzioni, la cultura e la visione personale del mondo influenzano i modelli di organizzazione aziendale? Come i comportamenti di tipo politico impattano sulle scelte? E quanto conta il contesto culturale di un Paese?

 

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Celia Romm-Livermore e Pierluigi Rippa
Celia Romm-Livermore
insegna Gestione dei sistemi informativi alla Wayne State University (USA) e insieme a Pierluigi Rippa, ricercatore di Ingegneria Gestionale alla Scuola Politecnica e delle Scienze di Base dell’Università degli Studi di Napoli Federico II, ha condotto una ricerca sull’impatto della politica sulle scelte gestionali e organizzative, raccogliendo dati in USA, India, Israele e Italia. Lo studio Political approach in Enterprise Systems prende in esame i dati con un approccio comparativo e confronta i risultati del campione italiano con quelli degli altri paesi. Il modello offre alcuni spunti di riflessione significativi: prima di tutto, le differenze culturali contano. I valori della cultura nazionale sono più forti di quella organizzativa e questo può essere un utile punto di partenza quando si creano team internazionali, quando si opera con più paesi, quando il proprio capo è di un altro paese o in un altro paese, quando dobbiamo condurre una ricerca a livello internazionale, quando dobbiamo aprire un sito produttivo da qualche parte nel mondo e in infiniti altri casi. Inoltre, poiché ognuna delle dimensioni può essere misurata con un indice di Hofstede, possiamo misurare l’impatto della cultura sulle scelte. La verità della questione è che i propri valori sono spesso del tutto in contrasto con i valori delle persone con cui si ha a che fare, sia per lavoro sia per altro. Se si capisce qual è la loro cultura di provenienza, si può evitare di fare errori e di ottenere una maggiore comprensione dalle persone con cui si sta trattando. Normalmente gli individui interagiscono cercando di minimizzare sforzo, attrito e conflitto: colleghi appartenenti a culture nazionali diverse lavoreranno meglio insieme quando le differenze lungo le cinque dimensioni di Hofstede non sono importanti o almeno quando le più rilevanti differenze intrinseche saranno comprese e tenute in considerazione dalle parti. Le cinque dimensioni della cultura sono: la distanza dal potere, l’individualismo, la mascolinità, il rifiuto dell’incertezza, l’orientamento a lungo termine. Inoltre, il modello fa emergere un altro punto importante: forma e dimensione dell’organizzazione e valori culturali nazionali delle persone che vi lavorano possono essere allineati, per ottenere “macchine” che corrono meglio. Non esiste un’organizzazione senza le persone che vi fanno parte, quindi l’aspetto culturale deve essere preso in considerazione nel design dell’organizzazione. Livelli gerarchici, grado di decentramento, autorità o condivisione delle decisioni, stili direzionali, avversione o stimolo al rischio, metodi di controllo e di burocrazia possono essere adattati ai valori culturali nazionali di base, evitando attriti e perdite di potenza nelle istituzioni. Per capire come, ne abbiamo parlato con gli autori dello studio.

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Data Manager: Qual era l’obiettivo iniziale della ricerca e quali sono i risultati raggiunti?

Celia Romm-Livermore: La ricerca ha voluto indagare il ruolo giocato dai comportamenti di tipo politico esercitati dai CIO nel regolare lo svolgimento delle attività tipiche richieste a questo ruolo. Gran parte della letteratura scientifica assume che i CIO si comportino in modo razionale. Si suppone cioè che il CIO prenda decisioni razionali, ad esempio, sui sistemi di acquisto, sulla scelta dei sistemi gestionali più appropriati. Essi, infatti, devono convincere, vendere, manipolare, persino minacciare i membri delle loro organizzazioni per il raggiungimento degli obiettivi. Inoltre, se è vero che i CIO agiscono secondo comportamenti volti a influenzare gli altri membri di un’organizzazione (e dunque in linea con il concetto di agire politico), è da verificare quanto conti, nello svolgimento delle proprie attività, la cultura di un paese. In altre parole, è la cultura nella quale il CIO è chiamato a esercitare le proprie funzioni a dettare il suo comportamento dal punto di vista politico. La cultura determina la misura entro cui il CIO abuserà del proprio ruolo, definisce come il CIO potrà utilizzare il proprio potere per “manipolare il gruppo”, impone come saranno trattati i sotto-gruppi (ad esempio, uomini contro donne) e influenza la scelta del grado di rischio che il CIO prenderà in tempi diversi.

Infine, un’ultima ipotesi della ricerca presuppone che nelle fasi iniziali di un generico progetto ICT, ad esempio, il CIO tenderà a manipolare i livelli gerarchici superiori, mentre nelle fasi successive la maggior parte dell’attività politica sarà rivolta verso il basso o lateralmente nella scala gerarchica dell’organizzazione.

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Quali sono le principali differenze culturali emerse tra le nazioni coinvolte?

Celia Romm-Livermore: Lo studio si è concentrato su quattro diverse culture. Stati Uniti, Israele, Italia e India. Ciascuna rappresenta una diversa combinazione di attributi sulla base di un modello culturale sviluppato da Hofstede negli anni 80, e ancora oggi il modello più citato in letteratura sulla gestione delle differenze culturali. Due delle dimensioni di Hofstede della cultura erano particolarmente rilevanti per il confronto tra le quattro culture – la Power Distance e l’Uncertainty Avoidance. La Power Distance si riferisce alla misura in cui le differenze di potere tra superiori e subordinati sono enfatizzate dalla cultura. L’Uncertainty Avoidance si riferisce alla misura in cui la cultura incoraggia o scoraggia i propri membri a prendere rischi. Utilizzando queste due dimensioni come base per l’analisi, si può affermare che gli Stati Uniti sono una cultura con un basso valore sulla dimensione Power Distance e sull’Uncertainty Avoidance. Israele è – invece – una cultura con un valore relativamente basso sulla Power Distance e alto sull’Uncertainty Avoidance. L’Italia è una cultura con un valore relativamente alto sulla Power Distance e alto sulla Uncertainty Avoidance, e infine l’India è una cultura con un valore relativamente alto sulla Power Distance e basso sulla Uncertainty Avoidance.

Seguendo questi principi, ci si aspetterebbe che i CIO negli Stati Uniti e in Israele si comportino in modo più “democratico” se comparati con i rispettivi pari in Italia e in India (a causa del più alto livello di Power Distance). D’altra parte, ci si aspetterebbe che i CIO in Israele e in Italia agiscano in maniera più attenta e metodica rispetto alle attività svolte.

La figura del CIO esce ridimensionata da questo studio?

Celia Romm-Livermore: In ogni cultura, il ruolo del CIO è esercitato in modi diversi. Dipenderà dalla tipologia e dall’entità dei progetti che sono gestiti dal CIO, dalla fase di realizzazione del progetto, dal tipo di organizzazione, dalla personalità del CIO e – come detto in precedenza – dalla cultura dell’organizzazione e dalla cultura del paese. Tutte queste variabili, insieme con altre non analizzate in questa ricerca, determinano come il CIO esercita il proprio ruolo e quanto pesa la capacità politica dello stesso CIO.

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Che rapporto c’è tra competenze tecniche e manageriali?

Pierluigi Rippa: Mentre alcune ricerche si sono focalizzate sull’analisi del ruolo delle competenze manageriali e tecniche del CIO come rilevanti nella determinazione del comportamento dei CIO, credo che per la maggior parte dei casi non lo sono o non lo siano in maniera rilevante. I CIO, nel compimento delle loro attività quotidiane, vendono, convincono, manipolano e influenzano. Le loro competenze tecniche e le capacità manageriali sono importanti, ma in realtà i CIO sono consapevoli di poter trovare ausili e supporti in azienda, in particolare per quanto riguarda le competenze tecniche. Il lavoro può essere delegato per la risoluzione delle sfide manageriali, la consulenza può essere richiesta su questioni di tipo tecnico, ma quando si tratta di aspetti di tipo politico, solo il CIO può farlo e solo il CIO deve farlo. E inoltre, quest’attività non può essere delegata. In questa prospettiva, è interessante vedere che aziende come Apple assumono personale con esperienze precedenti nei settori vendita e moda per la gestione dell’ICT, preferendo competenze di tipo relazionale a competenze di tipo prettamente tecnico.

 

CELIA ROMM-LIVERMORE STORY

Celia Romm-Livermore insegna Information Systems Management alla Wayne State University, USA, è caporedattore della rivista International Journal of E-Politics. È autrice di cinque libri di grande successo internazionale: Virtual Politicking (1999), Electronic Commerce: A Global Perspective (1998), Doing Business on the Internet (1999), Self Service on the Internet (2008) e Social Networking Communities and eDating Services (2008) e di oltre 150 tra articoli di riviste, capitoli di libri e paper presentati in giro per il mondo.

 

PIERLUIGI RIPPA STORY

Pierluigi Rippa è ricercatore di Ingegneria Gestionale alla Scuola Politecnica e delle Scienze di Base dell’Università degli Studi di Napoli Federico II. È stato visiting researcher presso la California State University, Chico, USA e la Wayne State University di Detroit, dove ha cominciato a lavorare con Celia Romm-Livermore sulle tematiche dell’IT. Per il biennio 2013/2014 è stato eletto presidente della Global Information and Technology Management Association.