Il dialogo tra le nuvole

Sincronizzare ERP, CRM, SCM e BPR in un’architettura orientata ai servizi

  

TI PIACE QUESTO ARTICOLO?

Iscriviti alla nostra newsletter per essere sempre aggiornato.

Dialogo tra le nuvoleMigrare nel cloud è un must, soprattutto per le PMI. Per chi inizia, i problemi sono pochi. Dire cloud vuol dire indipendenza dall’hardware, accedere a tutto tramite un browser da un qualsiasi dispositivo, dimenticare i problemi relativi alla fisica per concentrarsi sulla logica. E per quanto riguarda la separazione tra fisica e logica non si può certo negare che siamo a un buon punto, almeno per quanto riguarda l’offerta e la disponibilità tecnologica. Ma è possibile vantare la stessa elasticità, anche a livello software? Posso spostare da un’applicazione all’altra i miei dati senza eccessivi problemi? Posso interrogare le mie applicazioni in modo aperto, ovvero rendermi indipendente dall’interfaccia per far sì che altre mie applicazioni possano attingere dati da queste? Può un CRM, un SCM e un BPR qualsiasi accedere ai dati del mio ERP e possono questi sistemi scambiarsi informazioni tra loro in modo indipendente dal fornitore della singola applicazione? Da quello che è emerso dall’indagine alla base di questo servizio, possiamo dire che sebbene le cose si stiano muovendo, la strada da percorrere è ancora abbastanza lunga. Gli stessi analisti interpellati allo stato attuale hanno potuto fornire solo considerazioni di carattere qualitativo, ma nessun dato numerico, vista la peculiarità del tema trattato. E questo fatto è già un indicatore.

Il punto di vista degli analisti

A supportarci nell’analisi del problema è Giancarlo Vercellino, research & consulting manager di IDC Italia (www.idc.com). «La migrazione dei dati tra applicazioni diverse rappresenta un tema centrale che alimenta da anni i servizi di system integration. Ormai sempre più spesso l’industry cerca di competere sul comune terreno di standard aperti e condivisi per creare maggiore valore sia per sé che per gli utenti finali. «Senza pretendere di esaurire l’intero spettro delle iniziative portate avanti dai più diversi comitati di standardizzazione a livello internazionale – dice Vercellino – ci sembra opportuno ricordare l’impatto positivo che hanno avuto iniziative come quella di OASIS in merito alle architetture orientate ai servizi per promuovere e favorire, se non una vera e propria apertura delle applicazioni, quantomeno uno spazio di interoperabilità e dunque di confronto su un terreno comune (come CMIS e OpenDocument)».

Anche nel merito della migrazione dei dati tra sistemi on-premises e sistemi on cloud, è importante lavorare impiegando standard condivisi per evitare il rischio di lock-in su standard de facto. «I grandi vendor tradizionali, che hanno un grande interesse nel declinare on cloud il proprio parco applicativo e le proprie soluzioni, stanno partecipando attivamente in diversi comitati di standardizzazione su questi temi (es. Cloud Foundry, OpenStack…). Al di là degli standard, sul mercato si stanno sviluppando le offerte di un numero sempre maggiore di cloud service provider, cloud service broker e cloud service enabler che propongono servizi e piattaforme per favorire questi processi di trasformazione dell’IT aziendale».

Make or buy

La maggior parte degli operatori che forniscono servizi di migrazione dati solitamente propongono offerte ampie e integrate che coprono le diverse fasi del processo cercando di cautelare quanto più possibile i clienti sotto ogni aspetto. Il discorso è diverso in merito all’applicazione di un modello di pay-as-you-go in qualunque contesto. «In realtà molto strutturate e competitive dove si intende realizzare un’organizzazione efficiente basata su prezzi di trasferimento interni perfettamente formalizzati – spiega Vercellino – questo modello rappresenta senza dubbio un’opzione da prendere in considerazione». Ma la domanda vera è un’altra – suggerisce Vercellino: «In quali aziende si è davvero disposti a mettere in competizione l’IT aziendale con il mercato? Aprire l’azienda a una vera logica di make or buy non appare così scontato».

Standard aperti e modello SOA

Secondo Flavio Radice, general manager di CBT (www.cbt.it), da tempo gli standard disponibili sono consolidati e coprono le esigenze di comunicazione (SOA) e di interpretazione (XML, JSON…) del significato e della struttura dei dati scambiati, senza porre alcun vincolo sulla loro complessità. «Tutto ciò permette lo sviluppo di applicazioni modulari, non più monolitiche, a favore della distribuzione delle loro diverse componenti, la gestione dei corretti carichi di lavoro di ognuna e il loro riuso da parte di altre applicazioni. L’adozione di questi standard e la modularità delle applicazioni garantiscono, anche per il futuro, l’integrabilità di nuove soluzioni all’interno degli asset già esistenti in azienda e l’indipendenza dal fornitore delle singole applicazioni. WebRainbow PLATFORM ha fatto propri gli standard internazionali che sono alla base dell’integrazione tra applicazioni e che rendono questa piattaforma un hub informativo di livello enterprise e un repository di informazioni federato».

Leggi anche:  Perché le PMI dovrebbero investire nella gestione della rete nel cloud

Di parere analogo è Cosimo De Maria, direttore commerciale e marketing di Di.Tech (www.ditechonline.it) secondo cui la direzione tracciata dal paradigma SOA ha preso forma e oggi le imprese hanno la possibilità di superare l’ERP monolitico adottando singole componenti applicative che assieme formano quelle suite che Gartner (www.gatner.com) definisce “ERP federativi”. «Per la nostra esperienza, al di là di uno standard per il passaggio di dati tra diverse applicazioni, il vero valore aggiunto è dato da un buon utilizzo dei web service. Solo un buon approccio architetturale aperto è coerente con le SOA e può garantire all’azienda la libertà di comporre il proprio disegno applicativo scegliendo le migliori componenti sul mercato. In Di.Tech abbiamo applicato questo approccio nello sviluppo della nostra nuova suite More per il mercato della GDO, che può sostituire completamente l’ERP tradizionale. Scegliendo questo approccio, le aziende possono disegnare il proprio percorso di adozione, deciderne i tempi, quali parti implementare su proprie infrastrutture e quali in cloud. Grazie a questo approccio, i retailer possono percorrere la strada del rinnovamento seguendo la propria road map funzionale».

Non tutti concordano

A discostarsi un po’ dalle posizioni precedenti è invece Matteo Adami, CEO di Geolab (www.geolabsrl.com), secondo cui le PMI trovano sempre più attraenti le soluzioni cloud per CRM, SCM, BPR per il loro basso costo di acquisizione, ma ogni vendor offre loro implementazioni che adottano o richiedono standard diversi per la sincronizzazione dei dati. In particolare, spesso le anagrafiche clienti vengono ripetute in ogni sistema e ognuno ha il proprio standard. «Si crea quindi il problema del dialogo fra i vari sistemi CRM, SCM o BPR con l’ERP aziendale ad esempio» – fa notare Adami. «Un approccio possibile e comune è quello di identificare un sistema che funga da Master Data Manager della anagrafica clienti, con il quale gli altri sistemi vanno sincronizzati. Lo scambio dei dati fra il sistema MDM e gli altri sistemi a questo punto può essere definito al costo di rispettare gli standard di tutti i sistemi coinvolti. Non essendo disponibile uno standard universalmente riconosciuto per l’interscambio dei dati anagrafici, è possibile definirne uno che a sua volta sia disponibile come servizio SOA, e che possa essere invocato da tutti i sistemi simultaneamente. Un tale sistema definisce le caratteristiche qualitative di un dato anagrafico accettabile e le propaga a tutti i sistemi coinvolti. Questa è la natura delle soluzioni per la qualità del dato via web services di Geolab che consentono di gestire i dati anagrafici su sistemi distribuiti con efficienza e che ha già una notevole diffusione – tra gli altri – nei settori delle utilities, della logistica e del commercio elettronico».

Secondo Luisa Ferrari, presales manager del Gruppo Formula (www.formula.it), l’esigenza di standard è sempre più riconosciuta ma non è detto che tali standard esistano o siano applicati. «Garantire un passaggio “live” di informazioni tra applicazioni diverse, automatizzando le codifiche, significa oltrepassare rischiose e lunghe procedure manuali» – spiega Luisa Ferrari. «A questo proposito, alcuni tra i principali e più avanzati strumenti di integrazione sono i web services che in Sage ERP X3 sono nativi e configurabili su tutti gli oggetti gestionali, costituendo un vantaggio tecnologico e operativo immediato. Se ci si avvale di tecnologie d’avanguardia aperte e configurabili, il vantaggio riscontrato è immediato. Se pensiamo all’ambito dell’automotive, il tema dei portali e dello scambio di informazioni in logica EDI è ormai fondamentale. Altri esempi possono essere portati nell’ambito della progettazione tecnica. Grazie ai web services di Sage ERP X3, clienti quali Mayekawa (impianti per refrigerazione e compressione di gas) e Modulblok (scaffalature e logistica di magazzino) hanno potuto rivedere e semplificare i loro processi, ricavando efficienza soprattutto con l’interfacciamento bidirezionale tramite sistemi CAD, PLM e PDM».

I problemi non mancano

Giovanni Crida, executive account manager di Information Builders Italia (www.informationbuilders.it) focalizza l’attenzione su una problematica specifica. «Il problema è che i bus di servizio ESB al cuore del rollout SOA, sono orientati più verso la gestione e la ri-creazione dei processi di business che allo spostamento di file tra sistemi diversi. Secondo Gartner, gli ESB non sono in grado di gestire in modo adeguato file di grandi dimensioni. Le aziende sono quindi costrette a mantenere un ambiente “managed file transfer” separato dal nucleo ESB. Le soluzioni iWay di Information Builders sono state disegnate per mantenere il controllo centrale attraverso un proprio “managed file transfer” basato su Java: grazie a iWay, il trasferimento dei file è gestito attraverso una nuova serie di estensioni del Service Manager Enterprise Edition. La soluzione iWay è scalabile, affidabile e in grado di estrarre e gestire DB e applicazioni di diversa natura, con oltre 300 adapters e pre-packaged components sviluppati da Information Builders in 40 anni di attività, che permettono di supportare i principali fornitori: IBM, Oracle, MSFT, Siebel, SAP, Teradata, JDE, Saleforce, Ariba e molti altri. L’architettura event-driven e web-oriented consente di creare e gestire i servizi con interfacce web e procedure di immissione dati in modo interattivo. In sintesi, iWay trasforma i dati in un formato comune e lo carica automaticamente in un data warehouse. Lato business, il consolidamento di una infrastruttura SOA consente inoltre di migliorare le funzionalità del CRM e dei sistemi a esso correlati, agevolando il decision making».

Leggi anche:  Il ruolo cruciale dei cloud sovrani nell’equilibrio tra innovazione e sicurezza dei dati nell’economia digitale

Ma anche la gestione dell’esistente spesso costituisce un problema, come sottolinea Pier Luigi Montanaro, presidente di Keen Consulting (www.keenconsulting.it). «Le aziende nel corso degli anni hanno adottato soluzioni verticali “Best in Class” per cui il loro sistema informativo non rappresenta un’architettura “Best-of-Breed” perché le singole applicazioni non sono integrate dal punto di vista procedurale, ma esclusivamente “scambiano dati”. Keen Consulting ha adottato una soluzione basata sul software Infor ION che permette – da una parte – di mappare per intero i processi aziendali e – dall’altra – di abilitare la comunicazione fra le differenti applicazioni presenti in azienda con logiche e tecnologie standard, garantendo così una reale integrazione, superando il limite dei web services che necessitano obbligatoriamente di profonde competenze tecnico-applicative».

Secondo Cristina Sarnacchiaro, general manager di ORSYP Italia (www.orsyp.it) l’integrazione di ambienti, piattaforme e applicazioni è sempre più essenziale per il business di oggi. «La Workload Automation, evoluzione del job scheduling, orchestra i flussi di dati aziendali e le elaborazioni in ottica cross-platform e cross-application, integrando tra loro sistemi diversi per fornire al management informazioni precise e tempestive provenienti da fonti come ERP, CRM, BI e altro. Le elaborazioni vengono automatizzate, annullando virtualmente gli interventi manuali. Il passaggio di dati tra applicazioni diverse e l’integrazione dei processi è facilitata grazie ai web services, che consentono di estrapolare dati da una piattaforma e trasferirli su un’altra, o di comunicare con sistemi di terze parti. È poi possibile integrare i processi che scambiano dati tra applicativi back-end come l’ERP e sistemi front-end come il CRM, di norma gestiti da fornitori differenti. L’automazione crea valore per il business quando si integrano i sistemi ERP con altre applicazioni, mantenendo un unico punto di controllo su tutto il sistema. Ciò significa avere più informazioni in poco tempo, migliorare le performance e rispondere velocemente al mercato. La soluzione di Orsyp, Dollar Universe, soddisfa i requisiti degli ambienti elaborativi attuali. Offre una vista unica dei processi di business, è cloud-ready e adatta a big data e mobility. Il software gestisce l’automazione e l’integrazione dei processi di business non solo batch, ma near real-time grazie ai web services».

 

Un esempio concreto

Paola Pomi, direttore generale di Sinfo One (www.sinfo-one.it) racconta l’esperienza dell’azienda che dirige. «Il primo sistema che abbiamo integrato con i nostri ERP (sia il nostro ERP proprietario Si Fides, sia Oracle JD Edwards Enterprise One) è stato la nostra soluzione di Sales Force Automation “Si In”. L’utilizzo dei web services ci ha permesso di non dover replicare le logiche del gestionale sui sistemi esterni, avendo quindi la certezza dell’univocità delle informazioni. Senza web services avremmo, ad esempio, dovuto replicare il calcolo delle disponibilità e dei prezzi, l’interrogazione dei listini e degli sconti, rischiando di implementare sui sistemi esterni delle logiche non perfettamente coerenti con quelle presenti nell’ERP. Nel tempo, abbiamo reso disponibili su app diverse funzioni, in questo modo gli utenti possono interagire, tramite device mobile, su alcuni step di processi predisposti sull’ERP quali approvazione di richieste di acquisto, inserimento dichiarazione di avvenuto intervento di manutenzione (anche geolocalizzato), interrogazione disponibilità di magazzino».

Leggi anche:  Il Cloud Complexity Report 2024 di NetApp rivela la grande importanza dell’AI a livello globale

Secondo Cristiano Barabanti, IT services manager di ToolsGroup Italy (www.toolsgroup.it) molta strada si è fatta nella definizione di formati standard per lo scambio dati tra sistemi. «XML come formato aperto e formati proprietari diventati standard de facto (iDoc e Office nei loro ambiti) hanno aiutato molto l’interscambio dei dati tra applicazioni. Rimane aperto – e probabilmente lo rimarrà per sempre – il passaggio di dati custom tra applicazioni differenti, per il quale è necessaria la scrittura di estrattori e processori di file. Nella progettazione di applicazioni, le software house come la nostra devono approntare delle routine di import facilmente personalizzabili e molto flessibili per ridurre l’impatto sul cliente in fase di implementazione del progetto».

Qualcuno come Angelo Cian, responsabile soluzioni gestionali SaaS di Zucchetti (www.zucchetti.it) appare meno fiducioso: «Non ci sono standard validi per tutto il mercato ed è particolarmente complesso gestire il passaggio di dati da applicazioni client-server ad applicazioni cloud. Anche Zucchetti, che ha diversi gestionali/erp in portafoglio, ha dovuto attrezzarsi per supportare i clienti che volevano passare al software as a service. Per questo motivo è nata “Infinity cloud solutions”, una piattaforma che consente, mediante i web services, di far dialogare anche le soluzioni client-server con le soluzioni cloud. Per agevolare le operazioni di migrazione dei dati sono spesso utilizzati anche strumenti ETL, sempre sviluppati internamente da noi, che consentono di individuare le informazioni da estrapolare, di estrarle, di trasformarle e di caricarle nel nuovo applicativo».

 

La migrazione dei dati un problema non solo tecnico

La migrazione dei propri dati storici verso il cloud può essere realizzata attraverso uno scambio informativo massivo basato sui protocolli standard già citati, se essi sono supportati dell’applicazione sorgente oppure – in caso contrario – con tecniche di recupero basate sull’accesso alle basi dati che li contengono o ad aree in cui essi siano stati esportati sulla base di un tracciato concordato, come ci ricorda Flavio Radice di CBT. «L’attività di migrazione viene gestita con un processo incrementale che inizia con la copia dei dati più “datati”, quindi non più movimentati, per arrivare man mano a quelli più recenti, costituendo così la nuova base dati in cloud mentre l’operatività prosegue senza interruzione sull’ambiente locale fino al momento del trasferimento dell’ultima tranche di dati, quella più recente. WebRainbow PLATFORM realizza la migrazione attraverso la sua componente ETL (Export Transform and Load) che permette, durante questa operazione, anche la riorganizzazione dei dati oggetto migrati».

Secondo Cosimo De Maria di Di.Tech, il tema rilevante non è la migrazione fisica delle informazioni da un sistema legacy locale a un’applicazione nuova, sia essa in locale o in cloud, perché la localizzazione dei dati non è una fattore così rilevante dal punto di vista tecnico. «La massima attenzione va posta sul piano contrattuale e organizzativo, sui quali le aziende spesso sono impreparate. Non ci si deve occupare solo delle performance e della continuità di servizio offerte dal cloud, ma è importante chiedere, sapere e indicare sul contratto dove risiedono i dati, come si potranno esportare in futuro, con quali tempi e costi».

Le difficoltà della migrazione

A mettere il dito sulla piaga è Pier Luigi Montanaro, presidente di Keen Consulting: «Per le PMI, il cloud rappresenta un’opportunità di svincolarsi dalle “pesanti” logiche per l’approvvigionamento e la gestione dell’hardware, ma non sempre le applicazioni esistenti in azienda sono cloud-enabled e dunque il problema della migrazione verso tale architettura esiste. Il passaggio al cloud può avvalersi di best-practice, ma l’approccio deve essere pragmatico, valutando le singole situazioni e gestendole di conseguenza».

Per Cristiano Barabanti di ToolsGroup, definire un percorso di alimentazione dei propri dati da un ambiente locale a un nuovo sistema, sia anch’esso locale o cloud, richiede una riflessione sulla quantità dei dati da trasferire e sulla sicurezza della modalità di trasferimento. «Tuttavia questi problemi sono meramente tecnici e risolvibili con una buona organizzazione e competenze, il vero punto nodale nella migrazione verso un nuovo sistema è la pulizia del dato di partenza».