Il codice della partecipazione

Andrea LawendelSu richiesta del primo ministro canadese Stephen Harper, la riapertura del Parlamento del Canada dopo l’estate è slittata dal 16 settembre al 16 ottobre. Queste proroghe erano una prassi prevista per una istituzione i cui componenti impiegavano letteralmente mesi a rientrare nei loro collegi per dialogare con gli elettori. Ma dopo la guerra, le sospensioni si sono fatte meno lunghe e frequenti. Il partito di opposizione Ndp ha reagito molto negativamente e ha deciso di procedere lo stesso con le sue interrogazioni parlamentari, sottoponendole al governo e ai colleghi deputati via Twitter.

I ministri non hanno dato risposte (il tema scottante del momento in Canada è uno scandalo relativo ai rimborsi spesa senatoriali), ma il fatto che una protesta di natura politica scelga un popolare social network per una iniziativa così “tecnica” dimostra quanto rapidamente ci stiamo avvicinando alla cultura della e-democracy. La nuova pratica della democrazia esce dai canonici vincoli istituzionali e ricerca – insieme a una base rappresentativa più estesa – meccanismi in grado di rendere più rapida, trasparente ed efficace la discussione sui problemi che affliggono la collettività e sulla scelta delle possibili soluzioni.

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Non stiamo parlando di e-government, di pubblica amministrazione digitale. La posta in gioco è ancora più alta e riguarda il coinvolgimento dei cittadini nei processi che portano da un lato alla creazione dei vari strati dell’amministrazione centrale e periferica, dall’altro alla definizione delle linee strategiche e decisionali che queste amministrazioni dovranno adottare. Nell’attuale contesto della democrazia rappresentativa indiretta, gli strumenti digitali “social” consentono un grado di universalità e capillarità sufficiente a rendere molto più breve la distanza tra cittadini e decisori.

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Una approfondita analisi tecnica e implementativa, realizzata con il contributo delle forze politiche coinvolte nelle prime, coraggiose sperimentazioni in corso in Italia (la piattaforma del Partito dei Pirati italiani, il “Parlamento elettronico” allestito dal Movimento 5 Stelle, l’iniziativa governativa Partecipa.gov, la discussione avviata sul sito Tu Parlamento da alcuni esponenti del PD), ha avuto luogo a settembre a Milano, sotto l’efficace coordinamento del Laboratorio di Informatica Civica dell’Università Statale. Un convegno di information technology simile a tanti altri, ma dedicato a un tema che riguarda tutti, in misura forse ancora più estesa rispetto ai tradizionali aspetti dell’economia produttiva, o dell’industria dello svago. A “Codici (software) della democrazia” sono intervenuti accademici italiani e internazionali, sperimentatori, esponenti dell’amministrazione, dal Parlamento ai Comuni. La piattaforma più discussa era sicuramente Liquid Feedback, il software-partito open source, inventato dai Pirati tedeschi e utilizzato anche nelle ultime elezioni regionali lombarde come strumento per la definizione del programma elettorale per la Lista Ambrosoli. Una variante di Liquid Feedback, modificata per eliminare il meccanismo di “delega” (sostituito dal concetto di commissioni di esperti cui sottoporre i problemi più complessi da dirimere), è alla base del Parlamento elettronico online che costituisce il nuovo, ambizioso (ma difficile) traguardo perseguito da M5S in nome di una democrazia più diretta. Il discorso è sociopolitico, ma come hanno dimostrato quasi tutti gli interventi al convegno di Milano, i risvolti tecnici sono profondi e aprono sicuramente spazio a una nuova economia di servizi di consulenza, sviluppo, implementazione e gestione. Oggi, i soggetti coinvolti sono i laboratori universitari, le associazioni del terzo settore, i committenti interni agli stessi partiti e istituzioni. Per allargare davvero il suo discorso, renderlo concreto, la e-domocracy richiederà sforzi e impegno finanziario e tante competenze. In Europa, i primi stanziamenti sono già stati devoluti dall’Unione, inclusi quelli relativi a tool per la gestione della conoscenza “legislativa” (la democrazia digitale è anche questo) già usati dai parlamentari europei. Anche questo, per l’Italia, sarebbe un buon treno da prendere sin dalla prima stazione.

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