Il barometro delle priorità dei CIO. Verso una nuova “tempesta perfetta”

Il barometro è lo strumento di misura per la pressione atmosferica. È usato nell’ambito della meteorologia per rilevare dati utili per le previsioni del tempo. Allo stesso modo, il “barometro” dell’IT, misura la “pressione” esercitata dai CIO sui temi più caldi e anche quella alla quale gli stessi CIO sono continuamente sottoposti per superare la relazione classica tra IT e business

di Aldo Ceccarelli con il contributo di IDC

TI PIACE QUESTO ARTICOLO?

Iscriviti alla nostra newsletter per essere sempre aggiornato.

 

Il barometro delle priorità dei CIO.  Verso una nuova “tempesta perfetta”Di fronte alle crescenti pressioni competitive, a cicli decisionali accelerati e a una nuova generazione di utenti sempre più esperti di tecnologie, il ruolo dei CIO in azienda sta cambiando radicalmente. Le imprese che emergono da un periodo economico difficile, guardano alla figura dei chief information officer come a consulenti strategici capaci di creare un business reattivo, agile e collaborativo, cavalcando l’innovazione e guidando il management nella definizione di nuovi modelli di business. Ai CIO è chiesto di adottare le nuove tecnologie sia come driver per rendere le organizzazioni più snelle e intelligenti, sia come strumenti in grado non solo di rispondere a esigenze organizzative, ma di contribuire alla formulazione di strategie e accrescere l’eccellenza operativa nella linea di business, creando valore. Eccoci, dentro la tempesta perfetta del 2014!

Mentre l’Agenda Digitale italiana prosegue faticosamente il suo percorso, l’innovazione digitale stenta ancora a giocare un ruolo propulsivo per l’agognata ripresa nel nostro Paese. Le imprese tuttavia avvertono di non poter – in alcun modo – restare ferme ad aspettare. Per questo motivo, i CIO si interrogano, nel tentativo di capire in che tipo di mondo siamo? First, Last? Oppure semplicemente Fast? 

Ci troviamo “immersi” in un Mobile-First, Cloud-First, Social-First? E che peso percepiamo e diamo in particolare al dirompente fenomeno Internet delle Cose? Adesso che abbiamo a disposizione enormi quantità di dati stoccati nei data center aziendali, che cosa ne faremo? E riusciremo a gestirli in modo sicuro e controllato?

Iniziamo a fare un po’ di ordine insieme a Giancarlo Vercellino, Research & Consulting manager IDC Italia (www.idcitalia.com), il quale appositamente per Data Manager spiega quali sono le zone di “alta o di bassa pressione” indicando la direzione dei fenomeni e interpretando gli output delle survey più qualificate. Questo dossier si completa con alcuni recenti interventi di CIO al lavoro che ci aiuteranno a inquadrare meglio la rilevanza delle tendenze del marcato. 

La grande sfida per i CIO

La grande sfida per i CIO sarà quella di dimostrare quanto effettivamente l’IT possa giocare un ruolo nell’innovazione dei processi, dei prodotti e dei servizi indipendentemente dal settore di riferimento dell’impresa. La grande sfida per i CIO sarà quella di diventare architetti di una nuova economia fondata sui servizi. Lo scenario di fondo in cui interpretare e sviluppare le aspettative dei CIO per il 2014 richiede di focalizzare l’attenzione su alcune direzioni fondamentali.

«La gestione del cambiamento è la sfida più grande» – dichiara Tom LaPlante, CIO di TopGolf International Inc. (www.topgolf.com) – «che si tratti di cambiamento nel mondo degli affari, di cambiamento di personale, di cambiamento nella tecnologia o di ciò che il business vuole fare». La velocità del cambiamento sembra continuare ad aumentare, per quanto riguarda gli strumenti di BI, i tablet, gli smartphone e gli altri dispositivi che ogni giorno il mercato offre. È necessario gestire la capacità delle persone di assorbire il cambiamento e in qualche modo fare “ritorno ai fondamentali”. Noi non vogliamo soffocare le persone con il processo di gestione del cambiamento aumentando inutilmente la complessità, ma si tratta di trovare nuovi modi per fare le stesse cose che si facevano in passato, in modo più efficiente, risparmiando tempo e risorse».

I tablet e i nuovi dispositivi mobili si stanno spingendo sempre più in profondità anche in ambito aziendale, e non soltanto nelle grandi imprese: secondo gli ultimi rilevamenti condotti da IDC sul mercato italiano, oltre il 20% delle PMI sta impiegando tablet con sistema operativo Android, ioS e Windows. Nel momento in cui una pletora di nuovi dispositivi raggiunge i sistemi informativi delle imprese, l’amministrazione dell’IT richiederà una revisione dell’approccio tradizionale per gestire in modo razionale la varietà del ciclo di vita di differenti soluzioni, servizi e prodotti, non tutti necessariamente allo stesso grado di maturazione e sviluppo. Qualunque dipartimento IT dovrà dimostrare la capacità di gestire una intranet che si estenderà sempre più spesso al di fuori del perimetro aziendale in un contesto d’uso sempre più contraddistinto dai nuovi dispositivi in mobilità. Prudenza, gradualità e un aspetto non meno decisivo: saper essere selettivi con il focus. Così riscontrano i CIO.

A tale proposito citiamo qui la testimonianza di Jay Wessel, VP della divisione Technology dei Boston Celtics, il quale punta sulla priorità di «tenere il passo con tutto il nuovo che avanza». Essere costantemente aggiornati è davvero difficile, ci sono così tante cose in tutto il mondo. «Discernere tra ciò che è prioritario e cosa non lo è risulta difficile: è il vecchio separare il grano dal loglio. Leggendo la lunga lista dei nuovi prodotti e dei nuovi servizi che quotidianamente affollano i siti che si occupano di innovazione tecnologica, è naturale chiedersi quante di queste innovazioni avranno una reale possibilità di successo e quante saranno già superate o dimenticate dal mercato nel giro di pochi mesi. Una parte sempre maggiore del mercato, sia in termini di audience sia di advertising, sta abbandonando i mezzi tradizionali per rivolgere maggiore attenzione ai canali aperti dai social media, con una vera e propria rivoluzione che sta scuotendo il modo tradizionale di vendere prodotti e servizi e di conquistare i clienti».

Leggi anche:  Donato Ceccomancini, Infinidat: la vera sfida per le aziende è la carenza di competenze IT

Nel tentativo di confrontarsi con risorse sempre più scarse e con la necessità di realizzare revenue incrementali e risparmi sui costi, la competizione si sposta sul piano della relazione diretta con il cliente utilizzando le piattaforme social, valorizzando al massimo i propri investimenti in marketing e portando a un rinnovamento delle prassi e dei paradigmi operativi in azienda. Interpretando in modo congiunto i dati delle ricerche di IDC condotte negli ultimi sei mesi in Italia, è possibile stimare che l’impiego del canale Social Media per la comunicazione aziendale ha raggiunto una quota maggioritaria nel segmento Enterprise (tra il 60 e l’80% a seconda del segmento dimensionale) e sta rapidamente diffondendosi anche nel segmento delle PMI (tra il 20 e il 30%).

Gli smartphone hanno di fatto creato una rete di sensori polivalente che registra dati dalle persone e dall’ambiente circostante. Proprio la combinazione tra dispositivi mobili e piattaforme sociali sta spostando il focus in modo sempre più preponderante su nuove soluzioni, caratterizzate dalla stretta integrazione di sensori diversi, determinando un flusso incessante di informazioni. In tale scenario, la capacità di elaborazione e comunicazione rappresenta il vantaggio competitivo che consentirà di distinguere le imprese capaci di sopravvivere e prosperare nella rete di dispositivi connessi, da quelle destinate a scomparire nei prossimi anni.

Proprio nei giorni in cui si stima che l’Internet of Things sarà un fenomeno che avrà sui mercati un impatto maggiore di quello combinato di pc, smartphone e tablet messi insieme, i CIO – e tutti quelli che lavorano giornalmente, fianco a fianco, con loro – avvertono l’impatto di questo straordinario e nuovo fattore sulla scena.

Bob Evans, chief communication officer di Oracle, in un suo recente intervento dalle colonne di Forbes proprio su questo tema, ha dichiarato che la Internet of Things sarà in grado di rivoltare il business delle imprese dalla testa ai piedi». Esiste ancora qualcuno convinto che l’intelligenza e l’interconnessione che stiamo spingendo nel sistema verso le periferie non produrranno effetti? Che cosa sta succedendo al business della vostra azienda? State già lavorando con il vostro team per incontrare il futuro e diventare parte di esso, o sperate forse – per qualche ragione sconosciuta – sia il futuro a passare da voi? «Una chiave veramente “disruptive” è quella che chiamo “unire Arte e Scienza”. In altre parole, bisogna capire una volta per tutte che business e IT devono collaborare. L’Internet of Things è solo un lavoro per il team R&D e sviluppo prodotto. Voi e la vostra organizzazione IT dovete capire come potete infondere nei prodotti e servizi della vostra azienda le nuove software-centered capabilities per creare reale valore contabile». L’IT non può più permettersi di essere incasellato come mero staff di supporto back-office, ma deve mettersi in gioco al fianco dello sviluppo prodotto per condividere idee, intuizioni e valutare le possibilità. Deve insomma imparare a impegnarsi con tutta l’azienda per realizzare modelli corretti di condivisione delle informazioni e dei processi che portano a prodotti ed esperienze sempre più rilevanti e di successo.

Negli ultimi anni, grandi attori internazionali hanno fatto importanti acquisizioni strategiche per sviluppare nel giro di pochi anni applicazioni e servizi che andranno dalla building automation fino ai servizi per la Sanità. Per cogliere al massimo le opportunità di posizionamento rispetto ai nuovi ecosistemi emergenti, sarà indispensabile aver dotato i propri sistemi informativi di quelle infrastrutture e competenze indispensabili per concepire nuovi prodotti e servizi. I big data e gli analytics saranno le competenze di base di cui le aziende dovranno dotarsi per accedere a un mercato stimato attorno ai 160 milioni di euro nel 2015.

IDC ci ha fornito notevoli spunti di riflessione. Il primo è quello di «non combattere la guerra di domani con le tecnologie di ieri». Tutti abbiamo sentito parlare della consumerizzazione dell’IT, ma tale consapevolezza ha comportato modifiche tangibili alle esperienze che i colleghi dei CIO hanno giornalmente con la tecnologia sul posto di lavoro? E sul lato dei sistemi di fascia alta, il CIO si aspetta che i vecchi server saranno ancora in grado di gestire – per esempio – analytics cliente in tempo reale, analisi social-media, streaming video e volumi crescenti di big data? Oppure è giunto il tempo di pensare a un modo migliore per semplificare l’IT e portare in azienda l’innovazione necessaria per soddisfare e superare queste nuove esigenze di prestazioni, dedicando più investimenti alla crescita?

Leggi anche:  Avanade ha nominato Rodrigo Caserta come nuovo CEO

A questo interrogativo ne affianchiamo un altro di pari importanza che riguarda un fattore sempre più centrale nella riflessione odierna dei CIO. Come spezzare il modello legacy di IT budgeting e relative aspettative? I CIO sono contenti della percentuale di budget IT che viene spesa per l’integrazione e per la parte legacy impiegata per il “mantenimento delle luci accese”? E in che misura sono soddisfatti gli altri colleghi C-level e i CEO quando pensano all’importo del budget IT che è dedicato dai CIO ai loro progetti innovativi? Se la risposta a questi interrogativi è tutto fuorché positiva, allora i CIO avranno davvero poco tempo per trovare nuovi modi per frantumare quella trappola di bilancio che è il “rapporto 80/20”, perché i suoi concorrenti nel frattempo gli staranno già saltando addosso, soprattutto se in tempi di crisi, la formula degli investimenti si ribalta sui risultati. Secondo un recente studio di Gartner, entro il 2017 i CMO controllerano più spesa IT del CIO. Il cloud, gli engineered systems, l’integrazione verticale: tutti offrono una grande prospettiva per aiutare a ottenere il controllo su quello che gli addetti ai lavori chiamano sempre più spesso “sprawl di infrastruttura”. Dal viaggio nelle “isobare top 2014”, emerge che i CIO avrebbero massima convenienza a iniziare (o rilanciare) da subito il consolidamento delle infrastrutture aziendali, partendo dai sistemi più fragili e inefficienti, sostituendo le applicazioni arcaiche e re-ingegnerizzando il budget IT in modo da liberare nuova energia da destinare alla ripartenza del business.

Chiudiamo questa navigazione nella tempesta perfetta dell’IT, dando uno sguardo anche alla situazione a livello world wide, facendo riferimento ai risultati del CIO Barometer, l’indagine annuale che per il 2014 ha raccolto le risposte di oltre 680 chief information officer alle survey condotte da CSC e TNS Sofres in tutto il mondo, proprio allo scopo di analizzare in dettaglio le problematiche e i trend con cui i CIO si devono confrontare. L’edizione più recente del CIO Barometer si intitola “Le cinque cose che i CIO non possono ignorare”. Le analizziamo attraverso la parola dei protagonisti.

 

Doug Tracy, vice president e CIO di CSC (www.csc.com), introduce il cloud computing come approccio utility-based per l’infrastruttura che ha diverse importanti caratteristiche ricercate dal CIO di oggi. «In primo luogo, è affidabile e stabile in ragione del suo design. In secondo luogo, è possibile scalarlo verso l’alto. Non solo. È altrettanto importante il fatto di poterlo scalare anche verso il basso. I CIO nel 2014 sono oltremodo preoccupati per l’integrità dei dati, sicurezza e privacy. Il cloud può soddisfare oggi tali esigenze».

I servizi intermediati (brokered) sono un’area emergente di crescita del cloud computing. I brokered services aiutano le aziende a integrare l’uso di molteplici “nuvole” così come i collegamenti necessari tra i sistemi legacy e le applicazioni in esecuzione in un ambiente cloud.

Alexander Pasik, CIO di IEEE (www.ieee.org), la più grande associazione professionale al mondo dedicata a promuovere l’innovazione tecnologica per il progresso dell’umanità, ha condiviso così la sua esperienza di “passaggio” al cloud computing. «L’industria si sta spostando, credo giustamente, verso il cloud computing. La spesa sui sistemi legacy on-premise è il problema. I vantaggi delle soluzioni cloud sono innegabili e bisogna pensare a una strategia di cambiamento per realizzare la trasformazione dei sistemi owned in sistemi cloud. Come CIO al Guggenheim, al mio arrivo non c’era nulla di importante nella nuvola. Invece – quando lo lasciai – circa il 70% delle nostre applicazioni erano cloud-based. Certo, come approccio è stato bello aggressivo. Invece, qui al IEEE è molto più difficile perché c’è molto più investimento nel nostro data center on-premise. Malgrado questo, stiamo eseguendo una ricerca sistematica e stiamo valutando buone opportunità per trasferire le applicazioni in versioni SaaS di fornitori esterni o IaaS dove manteniamo invariato il nostro applicativo spostandolo su una nuova infrastruttura cloud-based».

Glyn Knaresborough, managing partner presso CSC e autore del rapporto, osserva come i big data stanno davvero cominciando a produrre valore per le aziende, ma il più deve ancora venire al convergere dei diversi trend. «Stiamo cominciando ora a parlare big, fast, mobile data – e le aziende stanno appena iniziando a toccarne con mano il valore». L’ascesa dei big data è evidente nelle pratiche di assunzione dei dipartimenti IT in cerca di data scientist e matematici. «La sfida non è nella collezione di grandi quantità di dati» – afferma Knaresborough. «La questione è capire quali domande saremo capaci di porre ai dati raccolti, dotandoci delle competenze giuste».

Leggi anche:  Joao Silva è il nuovo Vice President di Pure Storage per Europa, Medio Oriente, Africa e America Latina

Secondo Doug Tracy di CSC, molte tendenze stanno spingendo la sicurezza in cima alla lista delle priorità del CIO. «Tutti gli asset e l’intera Intellectual Property dell’azienda sono ormai digitali. Privacy e cybersecurity dei dati sono oggetto di continuo dibattito. E i board si chiedono come in azienda si stia affrontando il problema» – dice Tracy. «Una volta era usuale costruire un fossato e un muro intorno a tutti i dati, ma adesso ce ne sono troppi per poterlo ancora fare. Oggi, è fondamentale decidere quali dati sono critici, come metterli al sicuro, quali dati possono essere resi disponibili in tempo reale per monitorare cosa sta succedendo ed essere reattivi e proattivi».

Secondo Knaresborough, riferendosi all’indagine, i costi della sicurezza sono ancora considerati alti e per questo non viene integrata nel design di molti sistemi. «Quella che molti percepivano come una debolezza del cloud, sta dimostrando di essere un punto di forza in questo settore» – afferma Knaresborough. «Fornitori di servizi cloud offrono un ambiente che è più sicuro di molte piattaforme mantenute internamente alle aziende. Passare a soluzioni cloud può effettivamente rafforzare la sicurezza di molte imprese, invece di indebolirla». A suffragare questa tesi, arriva una delle ultime global survey, condotta dalla PricewaterhouseCoopers americana su oltre novemila e 300 high-ranking executives e stilata insieme a US Secret Service, FBI e Carnegie-Mellon’s software engineering institute. In tale ricerca, almeno il 42% dei vertici aziendali testati risulta fuori controllo sulla security “garantita” da IT department interni e/o consulenti esterni che mettono il business a rischio tangibile di breach e data loss. Carenze di commitment, di governance e di corretta gestione della documentazione emergono quali cause primarie di problemi davvero prioritari da mitigare e risolvere.

«I CIO illuminati tengono sotto costante osservazione il significato del loro ruolo presso il Board che non è (più) quello di fornire servizi IT legacy. Così molte aziende utilizzano servizi gestiti per spogliarsi delle applicazioni che non forniscono alcuna differenziazione» – spiega Knaresborough.

Se è vero che i CIO non hanno mai avuto una così gloriosa occasione di cambiamento, allora l’imperativo categorico è trainare l’innovazione customer-centric in tutta l’azienda.

Ne parla Brad Rohrer, deputy CIO dell’Università di Miami (www.miami.edu), che per il 2014 si prefigge uno scopo prioritario su tutti: «Soddisfare le esigenze dei clienti». Rohrer pone l’accento sulla diversità e numerosità dei servizi da fornire. «Tutti vogliono dall’IT qualcosa di diverso. Si tratta di capire, in questo momento in particolare, le persone che serviamo e la loro mission. Abbiamo bisogno di guardare a ciò che è là fuori e sapere quando scegliere una o l’altra soluzione per soddisfare le loro esigenze. La sfida che di qui vediamo prioritaria per i CIO è di conoscere i clienti abbastanza bene per fare le scelte migliori quando si tratta di tecnologia e servizi. Questo è quello che stiamo cercando di fare qui. Ad esempio, abbiamo scelto un sistema di cartelle cliniche, Epic, che non offre soluzioni hosted per la versione che abbiamo scelto, quindi dobbiamo gestirla noi. Si è trattato di una scelta difficile e sofferta, ma è stata la scelta giusta per l’Università di Miami e per l’ambiente sanitario. Abbiamo visto il rovescio della medaglia con l’ERP, dove le soluzioni “managed” erano migliori rispetto a quelle “hostable” e abbiamo scelto lo strumento più giusto per le esigenze dell’università».

Doug Tracy di CSC riporta ancora che la mobilità è in costante crescita, soprattutto perché corrisponde al modo in cui oggi si compete e si collabora in un ambiente globale. La diffusione dei dispositivi mobili personali in ambito lavorativo, il cosiddetto fenomeno del BYOD, è un trend che continuerà a crescere nei prossimi due anni, e che pone sempre più i CIO di fronte a nuove sfide, culturali e tecnologiche.

Alla fine di questo viaggio, il barometro decide di fermare le previsioni con un pensiero a chi guiderà la “nave” domani. «Sono i giovani quelli più disponibili al cambiamento e a compiere operazioni in piccoli segmenti a granularità molto fine. Per loro il cambiamento è una componente naturale dell’ambiente di lavoro» –  commenta Tracy. E Knaresborough, in perfetto sincrono, chiude con questa battuta: «Se chiedete a uno della Millennial Generation di compilare un timesheet, lo vedrete fissare il vuoto fino a quando non lo indirizzerete a un’app»!