Il futuro è di plastica?

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MOPLEN, MAIS E GIRASOLI


Nell’Italia di Carosello, Gino Bramieri, per Montecatini-Edison lanciava nell’etere la scoperta del Nobel italiano nel 1963, Giulio Natta, celebrando le gioie di un mondo di plastica: «E, signora, badi ben che sia fatto di Moplen». A trentun’anni dalla sua scomparsa (Bergamo, 2 maggio 1979) la plastica continua a incidere sullo sviluppo della società industriale di cui rappresenta uno dei simboli, con nuovi interrogativi. Ogni anno, un milione di tonnellate di plastica è disperso all’interno dei confini dell’Unione europea. I classici sacchetti per la spesa rappresentano da soli 1,4 milioni di tonnellate di emissioni di anidride carbonica e 700mila tonnellate di petrolio. Per Catia Bastioli, amministratore delegato della Novamont, il futuro è nella bioplastica. Proprio dal Moplen di Giulio Natta e dal suo centro studi sarebbe nata la Novamont. La bioplastica non è materia da sognatori. Il matrimonio tra chimica e agricoltura era il sogno di Raul Gardini, ma c’è voluta una donna come Catia Bastioli per trasformarlo in realtà con la plastica biodegradabile che nasce dal mais (Mater-Bi). Mezzo chilo di mais e un chilo di olio di girasole sono sufficienti per produrre circa cento bustine di bioplastica non inquinante con un effetto ambientale che giustifica l’attuale differenza di costo di pochi centesimi. In Italia si consuma oltre un quarto del totale dei sacchetti di plastica dell’Unione europea e per questo la Coldiretti ha avviato con la Novamont un progetto di filiera con il coinvolgimento dell’industria e della distribuzione commerciale per lo sviluppo delle bioplastiche ottenute dalle coltivazioni nazionali, al fine di sostituire totalmente i sacchetti inquinanti entro il 2010.

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