Per la prima volta, l’ICT è la chiave di volta per il rilancio della politica industriale. I ritardi però non sono un segnale positivo
«L’unico modo per uscire da questa crisi è darsi da fare». Le parole del ministro dello Sviluppo economico, Flavio Zanonato, davanti agli industriali riuniti a Roma all’Assemblea annuale di Confindustria, suonano come un richiamo alla politica, che molto spesso invece di decidere, preferisce sedersi intorno a un tavolo e aspettare gli eventi. Abbiamo parlato tanto di agenda per lo sviluppo da essere ancora in ritardo. Abbiamo utilizzato la parola “volano” in tutti i contesti possibili, ma forse dovremmo smettere di far rimbalzare il tema centrale delle riforme strutturali del Paese, da una parte all’altra del campo. Per Federico Francini, presidente e AD di Fujitsu Technology Solutions «è necessario continuare a considerare l’Agenda Digitale un passo irrinunciabile – da attuare senza ulteriori rallentamenti per liberare l’Italia dalle persistenti zavorre e inerzie infrastrutturali». L’Agenzia digitale può dare un notevole contributo alla crescita del Paese con un incremento del PIL (stimato a circa il 2% l’anno), la creazione di nuovi posti di lavoro e lo sviluppo delle imprese, soprattutto delle PMI (10% di crescita annua per le imprese attive nel web). Michele Liberato, presidente di EMC Italia e membro del Board di EMC International auspica che l’iter per l’attuazione del programma dell’Agenzia per l’Italia Digitale non subisca ulteriori ritardi e proceda spedito senza nessuna incertezza per dare il via a quella rivoluzione culturale necessaria per cambiare il destino dell’Italia». Per Marco Icardi, AD di SAS Italia, la conoscenza è l’asset fondamentale su cui ricostruire il futuro del Paese. «L’Agenzia Digitale ha il compito di colmare il digital divide culturale e infrastrutturale del Paese». La chiusura della procedura sul deficit italiano è un segnale positivo e sblocca 12 miliardi di investimenti per l’Italia, ma gli spazi di manovra sulla spesa sono molto stretti e le imprese che chiudono invece restano un segnale negativo che significa meno ricchezza, meno lavoro, meno futuro». Insomma, c’è bisogno di un radicale cambiamento delle politiche pubbliche fino a oggi attuate a sostegno dell’innovazione. Il presidente di Confindustria, Giorgio Squinzi, ha mandato all’indirizzo di Agostino Ragosa un messaggio chiaro: «L’Agenzia per l’Italia Digitale è la strada da seguire con decisione, ma è ancora ferma al palo, tra fusioni organizzative, decreti scritti in modo approssimativo, mancato sblocco di risorse. Il Governo deve renderla operativa presto: è una scelta vitale per tutto il Paese». E dal Forum PA 2013, il direttore dell’Agenzia Digitale ha ribadito che ci deve essere un impegno anche sulle regole e la trasparenza della PA. Legalità e innovazione possono cambiare anche il futuro degli operai alla catena di montaggio, l’occupazione dei giovani e la competitività delle imprese. «Nuova occupazione potrebbe arrivare proprio dagli open data con la creazione di cinquantamila posti di lavoro e mezzo punto di PIL». Non solo. «Il programma Horizon 2020 della Commissione europea – ha spiegato Agostino Ragosa – ha lanciato una campagna di investimenti pubblici di 40 milioni di euro per sviluppare progetti in grado di colmare il gap tecnologico del Paese. L’agenzia è lo strumento normativo e di spinta per attuare gli obiettivi dell’Agenda Digitale Europea attraverso i piani digitali territoriali. Alla fine di giugno abbiamo la scadenza di presentare all’Europa i piani per i fondi strutturali. Per l’inizio dell’autunno dobbiamo presentare al Governo il piano di razionalizzazione dell’infrastruttura pubblica. Tra i nuovi servizi, l’anagrafica nazionale unica cambierà completamente il modo di lavorare della PA, avremo sistemi centralizzati sui quali lavoreranno gli ottomila comuni italiani». Per il futuro dell’Italia, il raggiungimento degli obiettivi dell’Agenda Digitale Europea, fissati al 2015 e 2020, va considerato con la stessa rilevanza politica e strategica che viene attribuita al rispetto degli impegni del Fiscal Compact. Anche la politica deve fare lo sforzo di diventare veramente “digitale” – e cioè capace di rappresentare le esigenze del Paese in modo analitico e razionale. In attesa che si definiscano tutte le nomine del Comitato direttivo (che spettano ai dicasteri di Pubblica amministrazione, Sviluppo economico, Istruzione, Economia) e in attesa che la Corte dei Conti sblocchi lo Statuto, «l’Agenzia Digitale – però – è pienamente operativa». Parola di Francesco Tortorelli, che dopo aver lavorato come capo dei sistemi informativi di Consob ed essere passato prima in CNIPA e poi in DigitPA, da giungo 2012 è responsabile Area, Sistema pubblico di connettività e cooperazione dell’Agenzia per l’Italia Digitale.
Data Manager: Che cosa manca per rendere l’Agenzia operativa?
Francesco Tortorelli: L’Agenzia Digitale è già operativa perché ai sensi della nostra legge istitutiva, il direttore generale in attesa della nomina degli altri organi svolge il ruolo di commissario straordinario, mancano il collegio dei revisori dei conti, la nomina del comitato di indirizzo al quale parteciperanno i rappresentanti di quattro amministrazioni centrali e di due rappresentanti delle amministrazioni locali. Una governance condivisa PAC/PAL, può sembrare una cosa complessa ma si tradurrà in un punto di forza.
Quali sono gli obiettivi dell’Agenzia?
L’Agenzia ha incorporato le competenze di soggetti preesistenti come DigitPA e l’Agenzia per l’innovazione. Le attribuzioni che la norma ha dato a questi soggetti – io stesso provengo da Digit PA – sono convergenti e nel segno della continuità in un’ottica di Agenda Digitale Europea.
A che punto è la costituzione del CERT previsto dall’Agenda Digitale Europea?
Al momento abbiamo attivato le consultazioni per la sua costituzione a livello nazionale. L’Agenda Digitale Europea, infatti, ha posto due obiettivi chiave. Il primo è la costituzione di CERT (Computer Emergengy Response Team) in tutti gli stati membri. Il secondo è il rafforzamento della cooperazione fra i vari CERT nazionali dei Paesi UE che si collegheranno al CERT europeo nell’ottica della realizzazione di un sistema europeo di condivisione delle informazioni e di allarme (EISAS) per i cittadini e le PMI, da costruire con le risorse e le capacità nazionali entro il 2013.
L’Agenzia Digitale impatterà sull’innovazione del Paese o sarà una scatola vuota?
Il nostro faro è l’Agenda Digitale Europea. L’Agenzia digitale è abilitatore dello sviluppo del Paese e dobbiamo abituarci a fare di più con meno, ottimizzando le risorse e dai risparmi produrre nuovi servizi. Partiremo dai data center, cercando di utilizzare le nuove architetture tecnologiche per accorpare e integrare le banche dati in modo federato.
E sul fronte pagamenti nella PA?
l pagamenti della PA devono essere ripensati. Non solo devono essere certi e veloci, ma devono utilizzare le nuove forme di pagamento che la tecnologia mette a disposizione in modo che tutto sia trasparente, tracciato e quindi più efficiente. In Italia circola troppo contante. Bisogna cominciare dalla pubblica amministrazione a sviluppare le buone pratiche. Entro la fine dell’anno avvieremo una serie di progetti per abilitare i pagamenti elettronici da e verso la PA.
La politica sarà un ostacolo per il lavoro dell’Agenzia?
La politica ha voluto l’istituzione dell’Agenzia. La governance è complessa da gestire. Un organismo governato da cinque ministeri pone dei problemi di governance. È un fattore di complessità che genera ritardi, ma è superabile e il Comitato di indirizzo sarà una garanzia in tal senso. La politica deve essere più sensibile ai temi dell’innovazione che devono entrare nell’agenda dell’esecutivo come temi di politica industriale.
Nel futuro sarà necessario rivedere il concetto di privacy attuale?
La PA avrà sempre più accesso alle informazioni con la possibilità di incrociare dati di natura diversa. Nel prossimo futuro, il welfare digitale – per esempio – sarà l’unico che ci potremo permettere. Questo porterà a una nuova formulazione del concetto di privacy per i dati sensibili. I cittadini potranno accettare di cedere parte della loro privacy in cambio di servizi a tutela della loro sicurezza, e non solo per lo sconto di uno shampoo come oggi qualche volta accade. Si può cedere parte della propria privacy a patto di sapere chi ha accesso ai dati e perché.
Perché l’innovazione nella PA ha il freno a mano tirato?
Perché c’è una frammentazione del mercato, degli interlocutori, degli interessi. Se è vero che c’è un ritardo, è altrettanto vero che per troppo tempo c’è stato un problema di qualità dell’offerta che ha favorito il concetto di sostituzione a quello di visione per il futuro.
La PA è vecchia. Le banche dati esistenti non sono collegate. I dati sono contropotere, e forse proprio per questo alcuni governi non investono sui dati. Iniziamo a dotare i dirigenti della PA di un cruscotto per acquisti per il controllo in tempo reale sugli sprechi a livello centrale e riusciremo a combattere in modo efficace anche la corruzione, rendendo la PA veramente trasparente.