Fabiola Gianotti. La sfida della ricerca

Il CERN come modello di cooperazione europea 
«La leadership nasce per consenso e non può essere imposta dall’alto»

 

TI PIACE QUESTO ARTICOLO?

Iscriviti alla nostra newsletter per essere sempre aggiornato.

Fabiola Gianotti. La sfida della ricercaFabiola Gianotti è entrata a far parte del Centro Europeo di Ricerche Nucleari (CERN) di Ginevra, durante il suo dottorato, lavorando su vari esperimenti, come UA2 (argomento della tesi) e ALEPH, il precursore di LHC, l’acceleratore di particelle che ha reso possibile la prima osservazione di una particella compatibile con il bosone di Higgs. Proprio in qualità di portavoce di ATLAS, il 4 luglio 2012, Fabiola Gianotti ha annunciato al mondo la scoperta del bosone. Tra le cento donne più potenti del mondo nella classifica di Forbes, Fabiola Gianotti è un talento naturale della ricerca e possiede una eleganza rara.

Il padre geologo, la madre professoressa di lettere. Diplomata in pianoforte al conservatorio di Milano, la vocazione per le scienze nasce sui banchi di scuola, studiando Einstein e Marie Curie. Laureata in Fisica delle particelle, Fabiola Gianotti è riuscita nell’impresa di guidare una squadra di oltre tremila scienziati e forse è questa l’impresa più grande che sta dietro il bosone di Higgs: la capacità di lavorare insieme per il progresso dell’umanità. Se l’Europa avrà una possibilità di restare uno spazio di pace e di sviluppo, sarà perché avrà preso il Cern come nuovo modello di cooperazione, superando i particolarismi dei singoli stati. Uno dei ragazzi di via Panisperna, l’italiano Edoardo Amaldi, contribuì in prima persona alla creazione del CERN di Ginevra, frutto dello sforzo comune di 12 paesi europei che sette anni prima erano ancora in guerra tra loro. Il Cern è la prima istituzione dell’Europa unita.

In un momento storico in cui l’idea di Unione europea cede il passo alla rinascita degli egoismi nazionalistici, il sogno di Ernesto Rossi e Altiero Spinelli di un’Europa dei popoli e del lavoro e non solo della moneta e dei mercati, più aperta, solidale, capace di guardare alle radici della cultura sociale d’impresa è la sola vera alternativa di sviluppo che abbiamo davanti. Mentre la politica si ripiega su se stessa, la collaborazione e la conoscenza indicano il cammino da compiere.

«Il budget di ricerca per il Cern ammonta a un miliardo di franchi svizzeri all’anno, che diviso per il numero dei cittadini europei è l’equivalente di un cappuccino» – racconta Fabiola Gianotti, durante il Festival della scienza di Bergamo. Il miglior cappuccino “pagato”, mai offerto alle future generazioni.  

Leggi anche:  Equinix accelera e implementa le soluzioni di liquid cooling per alimentare i workload di IA delle imprese

Data Manager: Che cosa rappresenta la scoperta del bosone di Higgs?

Fabiola Gianotti: Fino al 4 luglio dell’anno scorso, non conoscevamo l’origine della massa delle particelle, la scoperta del bosone di Higgs ha finalmente risposto a questa domanda e ci ha permesso di fare un passo avanti nella comprensione dell’universo. Il bosone di Higgs rappresenta il punto di partenza per nuove scoperte e una nuova fisica che risponderà a quelle domande che restano ancora senza risposta. Con il bosone di Higgs è iniziata una nuova era della ricerca scientifica, perché per individuare questa particella abbiamo dovuto sviluppare tecnologie di punta innovative in tutti i campi, dal computing alla progettazione, che abbiamo trasferito alla società, alla medicina, all’industria, all’analisi dei dati e dei materiali.

E il CERN di Ginevra può essere un modello di cooperazione possibile in un’Europa agitata dai nuovi nazionalismi?

Il Cern è un grande laboratorio ma anche un luogo di eccellenza, dove lavorano più di 10mila scienziati provenienti da 60 paesi diversi, e dove le giovani menti dei ricercatori si possono allenare, in un clima di pace e scambio reciproco. Oggi, il Cern coinvolge 20 stati membri, tutti europei. Il budget di un miliardo di franchi svizzeri è suddiviso tra gli stati membri in modo proporzionale al loro PIL. L’Italia contribuisce per circa l’undici per cento del budget che corrisponde a circa ottanta milioni di euro. Il prezzo equivalente di un cappuccino per abitante.

Come viene utilizzato questo budget?

Con questi soldi si pagano gli stipendi dei dipendenti – tra i quali anche il mio – e si costruiscono e si sviluppano le infrastrutture come gli acceleratori e i laboratori che sono utilizzati dai fisici di tutto il mondo per fare esperimenti. Il contributo dell’Italia è molto forte, non solo in termini economici, ma anche di risorse umane: su 10mila scienziati, mille e quattrocento sono italiani.

Il Large Hadron Collider (LHC) è il più potente acceleratore di particelle costruito dall’uomo e ci permette di studiare le leggi della natura su scale a livello dei quark, un miliardesimo di miliardesimo di metro. L’infinitamente piccolo ci dà la possibilità di studiare l’infinitamente grande. L’LHC è un anello di 27 chilometri, cento metri sottoterra, alla frontiera tra la Svizzera e la Francia. I due esperimenti più grandi sono ATLAS e CMS.

Leggi anche:  Comau, nuovo progetto con LiNa Energy per la produzione di batterie al sodio allo stato solido

La popolazione di Atlas, l’esperimento al quale ho partecipato, è composta da tremila collaboratori, di cui un terzo sono studenti di dottorato: le donne sono in media il 20%, ma questa percentuale cresce a ogni generazione, segno che sempre più giovani donne decidono di dedicarsi alla ricerca scientifica.

Lavorare ai confini della conoscenza che cosa significa?

Significa fare i conti con un’impresa che nessuno ha mai tentato prima. Quando si lavora con strumenti che nessuno ha mai costruito prima, con prototipi nuovi, che anche l’industria deve imparare a costruire, ci si allena alla risoluzione dei problemi, ma pure ad accettare i fallimenti, che bisogna affrontare ricominciando daccapo con coraggio e determinazione.

Qual è il ruolo dell’ICT nella ricerca scientifica?

Le tecnologie dell’informazione e del computing sono fondamentali per la ricerca. Il Cern è il più grande laboratorio per la fisica delle particelle, un centro di eccellenza in cui il raggiungimento degli obiettivi di ricerca è reso possibile grazie all’impiego di tecnologie innovative e avanzate in moltissimi campi, il primo esempio che mi viene in mente è il World Wide Web che fu introdotto all’inizio degli anni 90, proprio per facilitare lo scambio di informazioni tra gli scienziati coinvolti negli esperimenti del laboratorio. Ma non è il solo esempio di innovazione che è nata al CERN e che poi ha cambiato il mondo. La PET e la risonanza magnetica sono applicazioni pratiche che derivano dai rivelatori di particelle. I rivelatori sono degli oggetti mastodontici di alta tecnologia con cui circondiamo il punto di collisione delle particelle a una velocità molto prossima a quella della luce all’interno dell’LHC e permettono di mostrare tutti i prodotti della collisione, misurandone la traiettoria e l’energia. Alla fine abbiamo una ricostruzione completa dell’evento come se fosse una serie di fotogrammi. Tutto questo è possibile, mettendo a frutto la più avanzata potenza di calcolo e di storage disponibile per l’elaborazione dei risultati. Usiamo tremila chilometri di cavi per trasportare i dati, e ogni esperimento produce una quantità di dati dell’ordine dei 10 petabyte, se volessimo usare dei DVD, ne occorrerebbe una pila alta 20 chilometri.

Leggi anche:  Vincenzo Tinti dell’IIS Castelli di Brescia si aggiudica la 17° edizione del Trofeo Smart Project OMRON

Come fate a processare tutti quei dati quasi in tempo reale?

Alla base della capacità di analisi del CERN c’è il concetto di griglia. Abbiamo costruito una griglia di computer costituita da 150 centri di calcolo diffusi in tutto il mondo che sono collegati da reti efficienti e molto veloci che ci permettono di avere una grandissima quantità di processori e di spazio disco distribuito. Questa grid rende trasparente e accessibile l’informazione a tutta la comunità di scienziati e ricercatori.  Per esempio, uno studente, che fa una tesi a Tokyo e vuole analizzare le collisioni di ATLAS sul bosone di Higgs, può lanciare il suo programma di analisi che va a pescare i dati che magari sono a Lione e che vengono analizzati con processori che si trovano a Oxford. Lo studente ignora tutto questo, ma è la griglia che dietro le quinte utilizza le risorse disponibili al momento nel modo più efficace possibile. 

Lei ha guidato migliaia di scienziati nel regno della ricerca scientifica, feudo tradizionalmente maschile. Che consiglio darebbe alle donne manager che guidano le aziende?

Di non dimostrare di essere più brave degli uomini a ogni costo. Lasciare il controllo, non significa perdere il comando. La leadership nasce per consenso e non può essere imposta dall’alto. Credo nelle organizzazioni leggere, dove le gerarchie servono per essere più efficienti, ma non diventano un elemento di rigidità che soffoca l’iniziativa e la creatività delle persone.

Lei si sente una donna di potere?

Sento il peso della responsabilità di essere presa a modello da tanti giovani che hanno deciso di intraprendere l’avventura della ricerca scientifica.

A chi sente di dovere qualcosa?

Ai miei genitori, che mi hanno insegnato che per raggiungere un obiettivo bisogna impegnarsi e non arrendersi e che nessun traguardo può valere il rispetto di se stessi.

Qual è il futuro della ricerca?

La ricerca di base è la linfa che alimenta la ricerca applicata e quindi il progresso dell’umanità, che non può compiere passi in avanti senza idee. Non finanziare la ricerca pura, perché non ci dà immediatamente un ritorno concreto dell’investimento, non è segno di lungimiranza, ma rappresenta un grosso errore, perché alla lunga la mancanza di idee genera un vuoto difficile da colmare.