Energy manager. Energia ad alto potenziale

Chi sono e che cosa fanno gli energy manager? In attesa del piano nazionale per incrementare l’efficienza energetica, le imprese sono alla ricerca di risorse e soluzioni non solo per risparmiare ma anche per rispondere alla sfida della competizione. L’energia non si crea e non si distrugge, ma si può usare in modo intelligente

 

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Energy Manager, energia ad alto potenzialeIl piano nazionale per incrementare l’efficienza energetica dovrebbe approdare in Parlamento per il varo definitivo entro il 5 giugno, almeno secondo l’agenda del governo. La bozza messa a punto dal Consiglio dei ministri all’inizio di aprile ha ricevuto – però – le critiche dalla Coalition for Energy Savings, che raccoglie oltre 400 organizzazioni, 150 aziende e mille rappresentanze delle amministrazioni pubbliche dei Paesi europei.

Altro colpo viene dal Global Energy Architecture Performance Index, elaborato da Accenture e World Economic Forum. Crescita economica, sostenibilità ambientale e sicurezza sono i tre pilastri del rapporto. L’Italia si piazza in coda alla classifica mondiale (49esimo posto), ultima tra i paesi UE.

Il settore energetico è uno dei settori produttivi più importanti a livello nazionale, con un giro d’affari, in crescita, attorno al 20% del PIL e quasi mezzo milione di posti di lavoro creati (dati Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile). Renderlo più efficiente dal punto di vista economico diminuendo i costi dell’energia per il Paese richiederà, ad esempio, di intervenire sul mix energetico riducendo la dipendenza dalle fonti non rinnovabili che, negli ultimi vent’anni, è già costata all’Italia 45 miliardi di euro in più. Non affrontare la questione energetica nazionale potrebbe portare a un ulteriore aumento della fattura nazionale dell’import nei prossimi vent’anni, con un impatto molto negativo sulla crescita del Paese e la competitività delle imprese.

Chi sono gli energy manager? 

Quando in Italia si parla di energy manager, ci si riferisce al tecnico responsabile per la conservazione e l’uso razionale dell’energia, la figura introdotta in Italia dalla legge 10/91 al fine di promuovere il controllo dei consumi e la diffusione di buone pratiche di efficientamento energetico. Il tema dell’efficienza energetica è il filone più importante sul quale si muoveranno investimenti e opere nei prossimi anni. Per il Centro Studi di Confindustria, il settore dell’efficienza energetica è destinato a deflagrare nei prossimi anni, rivoluzionando l’intero sistema industriale italiano. Ma quanti sono gli energy manager in Italia? Secondo le cifre del rapporto 2013 della Fire in collaborazione con l’ENEA, gli energy manager italiani sono in totale 2.736. A livello di PA la situazione – però – è molto diversa nonostante si parli molto di revisione della spesa: su un ente che nomina ce ne sono almeno 10 che non lo fanno.

Eppure, secondo il ministro dell’Ambiente, Gianluca Galletti, il tema dell’efficienza energetica ha molto a che fare con la spending review. Il consumo degli edifici pubblici è pari al 18% del consumo generale dello Stato. Se trasformiamo gli edifici pubblici dalla classe G a B o C si può ottenere un risparmio del 20-25% sui consumi. Non solo. Il ministro dell’Ambiente e l’amministratore delegato di Invimit Sgr (società del ministero dell’Economia), Elisabetta Spitz, hanno sottoscritto un protocollo d’intesa proprio per fornire supporto tecnico agli enti locali interessati all’efficientamento energetico del patrimonio pubblico. Agire sulla leva dei costi energetici significa per le imprese private essere più competitivi sul mercato e per le aziende pubbliche destinare maggiori risorse per il miglioramento della qualità dei servizi.

Energy innovation

La nostra società è una società energivora. Senza elettricità nelle case e nelle imprese, senza carburante nelle auto, senza gas per il riscaldamento, tutto si fermerebbe e piomberemmo nel Medioevo: di colpo, dal computer alla zappa. Anche la competitività delle imprese italiane deve fare i conti con i costi energetici. La bolletta italiana è il risultato di una serie di scelte che sono state fatte nel passato dal mix di produzione fino alla politica di incentivazione energetica per le rinnovabili. Il contesto industriale italiano è tuttavia caratterizzato da piccole e medie imprese, che avrebbero la necessità di razionalizzare i propri consumi attraverso interventi di efficienza dei costi. A livello industriale cresce l’interesse per l’efficienza energetica, ma spesso non esiste una politica chiara in questa direzione. L’energy manager è una figura professionale ancora poco presente in molti comparti dell’impresa italiana, soprattutto nella pubblica amministrazione. Le banche si stanno organizzando per offrire finanziamenti basati sulla validità dei progetti e non sul merito creditizio dei clienti, ma il passaggio non è semplice, vista la molteplicità degli interventi e la frammentazione degli operatori di settore. Il settore finance si dimostra sensibile al tema della sostenibilità energetica anche all’interno delle organizzazioni. Nel Gruppo Intesa Sanpaolo (www.intesasanpaolo.com), la figura dell’energy manager fa parte dell’Unità Corporate Social Responsibility e garantisce il presidio della Politica ambientale ed energetica del Gruppo, la redazione del bilancio energetico aziendale e la promozione di iniziative destinate a razionalizzare i consumi e a migliorare l’efficienza energetica riducendo le emissioni inquinanti. «Fra le sue prerogative vi è inoltre la gestione della formazione in materia ambientale dei dipendenti, la diffusione di una cultura condivisa della sostenibilità e l’applicazione di un Sistema di Gestione Ambientale e dell’Energia certificato secondo le più recenti norme internazionali» – ci spiega Elisa Dardanello, energy manager del gruppo Intesa Sanpaolo. «Grazie alla figura dell’energy manager, Intesa Sanpaolo è stata in grado di promuovere e sostenere la diffusione di una cultura condivisa della sostenibilità e l’implementazione di iniziative tese a ridurre gli impatti ambientali». 

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L’energia che fa crescere

Ma se la questione energetica non è solo tecnologica, ma richiede un salto culturale, è possibile pensare di affrontarla solo a livello nazionale? Forse, al pari del lavoro e della sicurezza, sarebbe necessaria una strategia europea veramente condivisa e in grado di produrre risultati concreti.

Un approccio integrato all’energy management prevede – infatti – l’analisi delle prestazioni energetiche dei singoli processi industriali, per individuare specifiche soluzioni di riduzione dei consumi e dei costi, oltre che gli investimenti tecnologici più opportuni. Per tutti gli interventi, la presenza di una figura professionale come l’energy manager garantisce un miglioramento delle possibilità di investimento tecnologico per monitorare e razionalizzare i consumi energetici relativamente a elettricità, gas, acqua e altro, oltre che per i controlli ambientali mediante l’utilizzo di appositi sensori – per esempio – la verifica dei livelli di CO2, temperatura, umidità e luminosità. L’impatto dei consumi energetici sulla competitività delle aziende è certamente significativo, specialmente in un contesto di crisi economica e in un paese come l’Italia, dove il costo dell’energia è piuttosto alto anche a causa della tassazione.

Secondo Eni (www.eni.com/it_IT), l’entità dell’impatto dei costi energetici sui risultati aziendali dipende dal settore di attività, più o meno energivoro. «L’efficienza energetica risulta essere in ogni caso lo strumento più conveniente e rapidamente disponibile per abbattere i costi energetici e migliorare la competitività, oltre che per contenere gli impatti ambientali».

Nell’ambito delle attività di Eni, il downstream è il settore che più risente dei costi energetici, che possono costituire fino a circa il 40% dei costi operativi. «La raffinazione e la petrolchimica, stimolate anche da un inseverimento delle condizioni di mercato – spiegano gli esperti di Eni – hanno riconosciuto l’efficienza energetica come una leva strategica per aumentare la competitività, realizzando piani di interventi di energy saving e sviluppando un apprezzabile know how».

In generale, l’Italia – essendo povera di fonti fossili e soffrendo di alti costi dell’energia – è tradizionalmente molto attenta all’efficienza energetica e ha maturato notevoli competenze in materia, che potrebbero essere maggiormente valorizzate come opportunità di sviluppo e di accrescimento della competitività dell’intero Paese. Gli energy manager di Eni svolgono un ruolo che va oltre gli adempimenti formali della L. 10/1991 in materia di uso razionale dell’energia, di risparmio energetico e di sviluppo delle fonti rinnovabili di energia, e diffondono la cultura dell’efficienza energetica in azienda, ponendosi come punti di riferimento per la gestione dell’energia sotto vari aspetti (tecnologico, gestionale, operativo). L’energy manager dispone di elevate competenze tecniche e si interfaccia con diverse funzioni (ambiente, tecnologico industriale, procurement, manutenzione, reporting, comunicazione). Talvolta è responsabile di un sistema di gestione dell’energia e spesso è anche coinvolto direttamente nella realizzazione di progetti di efficienza energetica, sia di investimento sia gestionali. Per consentire un proficuo confronto sui temi dell’efficienza energetica e la condivisione di esperienze e competenze, Eni ha istituito un tavolo (Tavolo degli Energy Manager) che riunisce con frequenza (minima) semestrale i principali attori dell’efficienza energetica, creando sinergie tra le varie business unit. «I vantaggi ottenuti da una gestione ottimale dell’energia – affermano in Eni – sono essenzialmente di carattere economico e ambientale e si traducono in un aumento della competitività dell’azienda. Ovviamente, l’attenzione all’energia deve essere incorporata nelle policy aziendali e avere un alto commitment, in quanto il coinvolgimento e l’impegno dei vertici aziendali è necessario per creare le condizioni in cui l’energy manager possa operare al meglio, trovando la necessaria collaborazione».

Energia e competitività

L’impatto della componente energetica sulla competitività delle aziende dipende molto dal settore di riferimento. «Nelle attività a basso valore aggiunto, la componente energetica è determinante sul costo finale» – spiega Simone Lo Nostro, responsabile area di business marketing, supply e vendite corporate di Enel Energia (www.enelenergia.it). «E poi ci sono settori ad altissimo valore aggiunto e tecnologicamente avanzati dove l’energia è solo una delle componenti di costo. Un’importantissima azienda dolciaria italiana fino a poco tempo fa annoverava tra i costi generali – insieme alla cancelleria e le sedie – anche quelli dell’energia. E di conseguenza, non rappresentava un costo importante sul conto economico. Con la crisi che ha investito tutti i settori produttivi, le aziende hanno cominciato – però – a guardare con più attenzione all’interno dei bilanci alla voce costi e hanno scoperto che la spesa energetica è riducibile attraverso soluzioni che in molti casi non sono neppure tanto complicate da implementare e con un ritorno dell’investimento interessante e in tempi altrettanto contenuti».

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Efficienza energetica

L’intensità energetica misura l’efficienza energetica del sistema economico di una nazione. Viene calcolata come unità di energia per unità di prodotto interno lordo (PIL). Quella italiana supera i 12 dollari in linea con Regno Unito e Spagna e per questo siamo uno dei paesi più efficienti energeticamente nel mondo industrializzato. C’è sempre l’altra faccia della medaglia. Gli alti prezzi dell’energia hanno forzato le aziende e i consumatori a una maggiore efficienza energetica. Gli USA consumano in termini assoluti più energia di ogni altro paese. Nonostante la bolletta energetica in Italia sia più alta a causa degli oneri accessori e la dipendenza per l’approvvigionamento energetico da fonti non rinnovabili, il costo specifico che incide sui prodotti finiti è molto più basso perché siamo più efficienti, anche rispetto a molti concorrenti europei. Ma per chiudere il gap di costo con Francia e Germania – per citare i concorrenti più diretti – non basta ancora il livello di efficienza raggiunto e occorre esplorare nuove soluzioni. Sul segmento dell’industria non ci potranno essere ulteriori diminuzioni del prezzo se non andando a incidere sugli oneri generali del sistema, accise comprese, e che lo Stato non riesce a tagliare perché la coperta – come noto – è corta.

ROI e fattore risparmio

«Le soluzioni sono diverse, ma hanno tutte in comune il fattore risparmio» – dice Simone Lo Nostro di Enel Energia. «La soluzione più completa è quella di costruire un cogeneratore all’interno del proprio stabilimento. In questo modo le imprese decidono di diventare dei produttori di energia in proprio. Questa soluzione prevede vantaggi in termini di rendimento legati al funzionamento minimo di seimila ore all’anno per la produzione di calore e freddo. Non tutte le industrie – però – possono avere una convenienza da questo tipo di investimento. Tra le soluzioni più soft – ci sono ad esempio – il rifasamento degli impianti elettrici, che evitano di disperdere potenza inutilizzata, il controllo automatico dei carichi in maniera centralizzata, la revisione dei meccanismi di produzione dell’aria compressa (che è una di quelle utenze che accomuna molte imprese italiane e che nella maggioranza dei casi non è ottimizzato), e la sostituzione dei gruppi luce con luci a led che consentono dei risparmi significativi.

I vantaggi economici di una gestione efficiente dell’energia sono quantificabili e misurabili. Lato business, abbiamo deciso di proporre soluzioni dove siamo noi che andiamo a investire a casa del cliente per installare impianti di cogenerazione o proporre progetti di efficienza energetica. All’interno di un energy performance contract, il cliente pagherà una parte del risparmio ottenuto e solo se questo risparmio è stato effettivamente raggiunto. A meno di sbagliare completamente i conti, il grande vantaggio di un progetto di efficienza energetica è la certezza del ritorno dell’investimento. Come Enel Energia – afferma Simone Lo Nostro – abbiamo fatto la scelta di sviluppare progetti dove la liquidità la mettiamo noi, ma dall’altra parte chiediamo garanzie sui pagamenti futuri. Noi realizziamo in prima persona il progetto e siamo al fianco del cliente in tutte le fasi di gestione e manutenzione. Si tratta di un project financing molto più estensivo con un progetto chiavi in mano».

Empowerment e salto culturale

Nella PA, ci sono settori come quello sanitario, dove l’attenzione al risparmio energetico è maggiore che in altri comparti. A livello comunale, molto spesso i progetti sono accantonati per mancanza di liquidità. Un energy manager che ha le massime competenze ma che poi non può decidere nulla e che deve andare dal patron dell’azienda a elemosinare cento euro di investimento non ha futuro. Bisogna avere l’empowerment giusto supportato da progetti concreti. Tutti i settori produttivi comprese le PMI e le pubbliche amministrazioni sia centrali sia locali devono evolvere verso un approccio culturale diverso e imparare a progettare, guardando più avanti. Per Imma Orilio, CIO ed energy manager dell’ASL Napoli 2 Nord, nella PA «spendere bene» i soldi dei contribuenti non dovrebbe essere solo una necessità dettata dalla revisione della spesa, ma un obbligo morale. «Sarebbe bello parlare in concreto di sanità sostenibile, ma le difficoltà sono prima culturali e poi strutturali. Il mio compito come energy manager è stato prima di ricostruire lo stato della spesa energetica aziendale e solo in seguito di avanzare proposte progettuali in grado di razionalizzare i consumi. Il progetto che stiamo per mettere in cantiere prevede la trigenerazione (che implica la produzione contemporanea di elettricità, calore e freddo utilizzando un solo combustibile) per gli ospedali e il fotovoltaico per i parcheggi e le superfici libere con scambio sul posto. L’obiettivo è risparmiare e ridurre la produzione di CO2, intervenendo anche sugli involucri. Per noi, è l’occasione di costruire un sistema di governance degli impianti che centralizza i comandi e gli allarmi in una cabina di regia tecnologica governata con un notevole risparmio di risorse».

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Niente è gratis

Alex Wissner-Gross, fisico della Harvard University, ripreso dal Times, ha affermato che i server di Google genererebbero 7 grammi di anidride carbonica (CO2) per ogni ricerca effettuata da un qualunque computer connesso a Internet. Vista l’enorme mole di dati fornita da Google ai suoi utenti che effettuano quotidianamente 200 milioni di ricerche, l’impronta ecologica generata dai server di Mountain View sarebbe di circa 1,4 tonnellate di CO2 al giorno, l’equivalente di 57 barili di petrolio al giorno.

In media, il 50% di tutta l’energia elettrica in ingresso in un data center serve per alimentare i sistemi di aria condizionata necessari per mantenere i server a una temperatura operativa corretta. Il rimanente 50% viene impiegata per far funzionare i server. Secondo Gartner, i data center sono i principali consumatori di energia all’interno del bilancio aziendale e stando alle cifre di IDC Energy Insights i costi di assorbimento energetico per metro quadrato sono destinati a crescere, delimitando un nuovo terreno di competizione.

E chi lavora nell’ICT lo sa bene. «L’energy management è una questione importantissima per chi gestisce un data center, grande o piccolo che sia» – spiega Massimiliano Flebus, data center manager di Easynet Global Services (www.easynet.com/it/it). In Easynet non è previsto un ruolo specifico per l’energy manager, che rientra per questo nella gestione del data center. L’azienda è molto attenta al tema dell’efficienza energetica. «Le macchine sono in funzione 24 ore su 24, l’alimentazione deve essere garantita per il 100% del tempo e in più le apparecchiature disperdono grandi quantità di calore, perciò i locali in cui si trovano devono essere costantemente raffreddati» – dice Flebus. «Considerando che i data center rappresentano ormai l’1% dei consumi energetici dell’umanità e che questi numeri sono in continua crescita, sono evidenti i problemi di costo e di impatto ambientale che derivano dall’utilizzo sempre più massiccio delle tecnologie digitali, il cui cuore operativo è rappresentato appunto dai data center. Per questo, è molto importante essere consci di come e dove l’energia viene utilizzata. In Easynet, abbiamo predisposto una serie di strumenti di misura che ci danno visibilità di quanta energia viene consumata per i condizionatori, per i server e tutte le apparecchiature correlate. Grazie a una comprensione esatta dell’utilizzo dell’energia, siamo in grado di effettuare interventi correttivi. Calcoliamo il PUE (Power Usage Effectiveness, secondo la definizione standard dell’ente internazionale The Green Grid), valore che indica il rapporto tra il consumo elettrico complessivo di un data center, inclusi apparati di information technology, condizionatori, ventilatori, UPS e il consumo dei soli apparati IT del data center e monitoriamo temperature e consumi energetici spesso a livello di singolo apparato».

GDO a caccia di risparmio

Anche nella grande distribuzione organizzata, il tema dell’efficienza energetica è all’ordine del giorno. Attualmente Bennet (www.bennet.com) conta 68 ipermercati distribuiti in tutto il Nord Italia. Marco Oliva, come responsabile della progettazione e gestione degli impianti ci racconta che è fondamentale mettere a fattore comune la parte tecnica della pianificazione energetica aziendale con l’acquisto al miglior prezzo dell’energia sul mercato che spetta più propriamente all’energy manager incaricato. «Per un energy manager è prima di tutto necessario avere conoscenza dei costi energetici e delle quantità di energia consumata a livello aziendale, così che possa diventare strategico il contenimento di costi e consumi.

Solo un energy manager in possesso di solide conoscenze tecniche può affrontare con successo i check-up energetici che permettono di stilare, con grado di approssimazione via via più approfondito, una lista delle priorità degli interventi da eseguire per massimizzare l’effetto leva tra costi e benefici, come indicato dall’utilizzo dei principali indici di valutazione economica. Può essere utile confrontarsi con un benchmark di consumi di riferimento, che può essere disponibile o da costruire». Secondo Marco Oliva, grazie all’esperienza maturata sul campo, per facilitare il percorso di efficientamento, è molto importante dare priorità agli interventi con obiettivi multipli e non troppo complicati nella loro implementazione, così come è fondamentale misurare e documentare nel tempo i risultati energetici ed economici ottenuti grazie all’efficientamento effettuato. «I risultati economici possono essere molto significativi, tanto che i risparmi conseguiti potranno diventare il motore per pianificare e finanziare investimenti in efficientamento energetico, estesi al complesso edificio-impianto. La conseguente conclusione positiva è quindi quella che il rinnovo tecnico e impiantistico finisce per non essere più visto come un male necessario, ma diventa un’opportunità strategica per la nostra azienda, in quanto riduce il costo dell’energia che è una delle voci di costo principali».