E-Gov 2012: tempo di bilanci

I progetti avrebbero dovuto concretizzarsi in questi mesi, ma problemi organizzativi e burocrazia stanno rallentando il processo

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Parlare di investimenti nella PA, in un periodo di tagli e sacrifici, con gli Enti locali alla continua ricerca di nuovi fondi per fronteggiare le spese correnti, potrebbe apparire azzardato. Eppure, siamo nell’anno in cui avrebbero dovuto concretizzarsi i progetti del Piano e-Gov 2012. Progetti che, come evidenzia Federico Francini, amministratore delegato di Fujitsu Technology Solutions (www.fujitsu.com/it), sono stati frenati «dall’assenza di una vera e propria cabina di regia in grado di far fronte al problema con una visione di insieme. Per questo motivo credo che l’Agenda Digitale, prevista dal Decreto Semplificazioni e concertata da una “cabina di regia” dotata di strumenti interdisciplinari per approcciare i problemi con una visione strategica d’insieme, rappresenti un passo fondamentale e concreto per lanciare un nuovo corso del nostro sistema pubblico e privato. L’Italia, in molti casi, necessita ancora di infrastrutture di base che rappresentano i prerequisiti, in mancanza dei quali la vera innovazione non può nemmeno essere pensata. A questo proposito, l’Agenda Digitale è stata molto ben articolata: si tiene conto delle necessarie infrastrutture di base, ma anche della contemporanea introduzione di veri elementi di innovazione».

Anche secondo Gastone Nencini, senior technical manager di Trend Micro (www.trendmicro.it), la prima causa dei ritardi è da identificare nella «mancanza di un coordinamento centrale per l’infrastruttura IT. Non è stata infatti sufficiente la creazione di una Rete Unitaria della Pubblica Amministrazione per creare il dialogo tra le amministrazioni locali e tra quelle locali e gli Enti centrali. I sistemi informativi, sviluppati secondo modalità differenti, sono ben lontani dal consentire lo scambio di informazioni necessario allo sviluppo di nuovi progetti. Sul fronte della sicurezza, per esempio, ha pesato molto la mancanza di una visione unitaria: al momento le uniche linee guida condivise sono infatti quelle dettate dalla legge sulla Privacy».

Oltre al mancato coordinamento, secondo Rosa Bellomo, sales director di Oracle Italia (www.oracle.com/it), «la situazione economica non ha certo agevolato il raggiungimento di tutti gli obiettivi che erano stato fissati. Anche se, forse, l’asticella era stata messa a un livello troppo alto. Essenzialmente la linea tracciata è quella corretta e su alcune linee anche l’attuale Governo pare essere d’accordo. Certo, c’erano molte aspettative che sono state disattese, probabilmente a causa di investimenti non completamente adeguati e qui la situazione di crisi ha influito. Molti obiettivi, inoltre, erano stati fissati indiscutibilmente a un livello troppo alto e si sapeva che sarebbe stato difficile raggiungerli. Certo, un modus operandi più concreto e focalizzato sarebbe stato auspicabile, soprattutto perché c’è grande bisogno di vedere magari meno cose, ma più concrete e portate a termine».

Se il volano non fa effetto

Indipendentemente dai progetti davvero portati a compimento, la PA sarebbe dovuta diventare «uno dei principali volani di sviluppo dell’economia del Paese». Un obiettivo che, «accanto alla creazione di nuovi e qualificati posti di lavoro – spiega Giovanni Procaccino, health & public service technology delivery lead di Accenture (www.accenture.it) – si pongono tutte le principali istituzioni pubbliche europee. Anche in Italia si sente la necessità di trovare un modello di governance ICT che consenta alle imprese di effettuare gli investimenti necessari a fronte di una domanda interna che spinga sull’innovazione».

«Quando l’economia reale è soggetta a momenti di recessione ciclici – sottolinea Bellomo (Oracle) – la mano pubblica interviene per sostenere l’economia con investimenti propri. Ben sappiamo, però, che non stiamo affrontando una classica crisi congiunturale, bensì una crisi finanziaria che tocca direttamente le finanze pubbliche. Ciò blocca questo meccanismo. Il mondo pubblico però dovrebbe cogliere questo momento per fare un po’ di ordine e introdurre quelle pratiche che potrebbero dare dei risultati tangibili in tempi assolutamente accettabili. Pensiamo a delle azioni estremamente concrete, quali, per esempio, il consolidamento di tecnologie per aree geografiche. Dei veri e propri data center condivisi, gestiti direttamente dal soggetto pubblico o da privati. Una sorta di Cloud a livello provinciale o regionale dunque, dove i vari Enti pubblici consolidano le proprie risorse e a cui vengono erogati i servizi IT. Ciò assicurerebbe notevoli risparmi di gestione, ma soprattutto garantirebbe quell’efficienza operativa e quell’interoperabilità tra Enti che auspichiamo da anni».

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Siamo in ritardo

Progetti e idee interessanti sulla carta, ma che spesso faticano a concretizzarsi. L’esempio più emblematico è rappresentato dalla digitalizzazione della PA che, come spiega Mirta Campodoni, responsabile settore Enti e PA di Infogroup (www.infogroup.it), «è stata rallentata da motivi di natura diversa: dalla riduzione della spesa con politiche restrittive di bilancio, a bandi gara “scontatissimi”, con offerte perimetrate e raramente integrate ai dati gestionali degli Enti; da ostacoli dipendenti dal quadro normativo, con leggi talvolta poco chiare e non incentivanti all’utilizzo di standard, a problemi tecnici di connessione, in primis velocità e affidabilità, con un conseguente utilizzo mediocre della banda larga, a carenze di “sensibilità digitale” nei livelli manageriali della PA locale, che tardano a percepire i benefici dei processi digitali sul nuovo assetto organizzativo; infine, la scarsa comunicazione realizzata dalla PA sull’offerta dei servizi online, spesso poco conosciuta dai cittadini e pertanto ancor meno utilizzata».

Carlo Iantorno, direttore national technology officer di Microsoft (www.microsoft.it), aggiunge però che «sul ritardo nella digitalizzazione della PA impatta anche il ritardo nella domanda di servizi digitali da parte dei cittadini, che si rivela ancora limitata proprio perché il numero stesso di persone che accedono a Internet in Italia è tuttora contenuto (il 57% rispetto al 71% dell’UE). In una logica di digitalizzazione degli Enti Pubblici, all’inizio degli anni 2000 il Governo italiano ha finanziato diversi progetti, ma senza un reale schema strategico complessivo e di conseguenza i progetti, spesso isolati, non hanno generato integrazione e riutilizzo. Il riuso delle applicazioni è di fatto ancora troppo limitato, con il risultato che molte amministrazioni pubbliche continuano a sviluppare applicazioni custom con investimenti superiori al necessario, invece di acquisire applicazioni riutilizzabili o software pacchettizzato. Solo il 20% della spesa software della PA è infatti riferibile a software di tipo industriale. In questo scenario il Cloud computing potrebbe rappresentare un acceleratore del processo di digitalizzazione della PA, in quanto riduce tempi e costi legati alla realizzazione di servizi digitali. Di fatto, tuttavia, in Italia siamo ancora nella fase di valutazione, mentre sarebbe necessario passare all’azione».

Un passaggio all’azione che, secondo Roberto Pozzi, regional director Southern Europe di Extreme Networks (www.extremenetworks.com), si sta però concretizzando: «Ultimamente vediamo una maggiore volontà politica di colmare il divario rispetto ad altri Paesi. È però chiaro che il percorso verso la digitalizzazione non è banale. Oltretutto la PA italiana sarà chiamata a sostenere uno sforzo ancora maggiore di quello sopportato da altri Paesi che si sono mossi già in passato, in considerazione della velocità con cui evolvono oggi le tecnologie. In ogni caso siamo certi che, con le giuste motivazioni e con spirito di collaborazione fra pubblico e privato, l’Italia potrà fare molto».

Procaccino (Accenture), da parte sua, non trascura di sottolineare come, accanto agli aspetti organizzativi, ci siano anche significativi fattori culturali: «La normativa italiana, seppur molto evoluta, non riesce a trovare immediata attuazione. Persistono norme e procedure relative a un modo di operare del passato che devono essere totalmente riviste, per poter cogliere realmente i benefici della digitalizzazione. Le principali difficoltà sono legate al fattore umano e al cambiamento di abitudini radicate».

Il giusto equilibrio

Invece di continuare a guardare gli aspetti negativi, Nencini (Trend Micro) sottolinea la necessità di evidenziare anche le eccellenze di alcune PA locali: «Le PA locali più evolute si stanno proponendo come provider di servizi nei confronti di altre amministrazioni, per garantire l’operatività e la riduzione dei tempi di eventuali downtime in caso di attacco malware a livello periferico».

Campodoni (Infogroup), da parte sua, cita invece i dati dell’Osservatorio eGovernment 2012 del Politecnico di Milano, dal quale è emerso «che i servizi più digitali sono i pagamenti. I casi virtuosi di pagamenti multicanale relativi agli Enti locali sono probabilmente dettati anche da fattori economici, dove i risparmi sono importanti: il risparmio conseguibile annualmente si attesta intorno a 950 milioni di euro, con un recupero di efficienza fino a 38mila Fte (Full-time equivalent, ndr)».

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Pozzi (Extreme Networks), sulla scorta della propria esperienza, sottolinea invece la «lungimiranza nel settore sanitario. Abbiamo avuto l’occasione di lavorare con organizzazioni che hanno saputo progettare infrastrutture di rete all’avanguardia. Si tratta di aziende in cui il wireless, per esempio, è una realtà già da tempo e in cui la rete è divenuta mezzo imprescindibile per sviluppare servizi di telemedicina evoluti».

Anche Bellomo  (Oracle) ricorda che «le eccellenze ci sono e dobbiamo valorizzarle mettendole a sistema con chi certi progetti non è riuscito a realizzarli: solo in questo modo il sistema riesce a evolvere. Una delle aree dove, in questi anni, abbiamo visto più progetti innovativi e soprattutto di successo è quello dei servizi online. Un fattore determinante per il successo di queste esperienze è il rapporto di collaborazione e di partnership che si viene a instaurare con le aziende IT del territorio che conoscono le esigenze, conoscono il tessuto sociale, sono competenti sulle nostre soluzioni e quindi riescono a trovare la giusta combinazione tra qualità progettuale, tecnologica e accettazione sociale della novità».

La banda mi va stretta

Non possiamo dimenticare che, prima di parlare dei servizi digitali, sarebbe necessario predisporre una rete a banda larga davvero capillare. Un ambito nel quale, secondo Pozzi (Extreme Networks), «l’attuale governo crede molto, considerandola uno degli elementi che potranno agevolare la ripresa dell’economia. Noi crediamo che uno sforzo particolare debba essere fatto per promuovere i collegamenti wireless in tutto il Paese. In questo modo si potrà dare un’ulteriore spinta alla produttività della forza lavoro delle imprese, consentendo a ciascun lavoratore di essere operativo in mobilità ovunque si trovi. Si potranno infatti sfruttare al meglio le potenzialità di dispositivi mobili come smartphone e tablet, che ormai diventano di uso sempre più comune anche nella gestione del business».

Il fatto che il Governo investa davvero in questa direzione, come spiega Cristina Farioli, business and innovation development director di IBM Italia (www.ibm.it), è testimoniato dal fatto che «il Governo ha predisposto un gruppo di lavoro ad hoc per la realizzazione delle infrastrutture tecnologiche e immateriali al servizio delle comunità intelligenti, ritenendole il punto di partenza imprescindibile intorno al quale potranno cominciare a costruire tutti gli attori che parteciperanno a questo rinnovamento. Con questi presupposti ci troviamo in una condizione straordinaria, ricca di opportunità. È ormai evidente il ruolo fondamentale che in questi processi assume il territorio e la sua comunità, fatta di competenze, ricerca, imprese, professioni e cittadini. Non possiamo che sperare, quindi, in una potente accelerazione delle procedure e nello sblocco dei patti di stabilità, che in questo momento non permettono neanche ai Comuni più virtuosi, che avrebbero già idee e “fondi”, di poter procedere verso la definizione di una smarter city».

«La non capillarità della rete a banda larga è sicuramente un fattore di rallentamento dello sviluppo – concorda anche Iantorno (Microsoft) -. Per questo va affrontato creando condizioni di mercato appropriate affinché i privati possano fare investimenti. Ma occorre considerare come problema infrastrutturale anche il ritardo nell’alfabetizzazione informatica, la scarsa percezione del valore del software e della spinta innovativa dell’IT, e la scarsa diffusione del software nelle Pubbliche Amministrazioni. Infatti è il software il vero motore dell’innovazione, poiché è attraverso il software che è possibile realizzare la digitalizzazione dei processi e abilitare l’accesso dei cittadini ai servizi. Inoltre non bisogna trascurare l’aspetto culturale e formativo: è necessario investire nelle scuole e accelerare l’utilizzo del digitale nell’apprendimento e nell’insegnamento».

Del resto, gli fa eco Nencini (Trend Micro), «l’insufficiente disponibilità di banda larga va a incidere sulla possibilità di operare in ambienti Cloud. Ma per sviluppare progetti avanzati, tra cui quelli relativi alla sicurezza, non occorre potenziare la rete, ma cambiare mentalità: la security, tema di estrema attualità, deve essere considerata un investimento, non una voce di costo da ridurre. La mancanza di un approccio sistematico e condiviso non facilita inoltre la spinta a favore della qualità».

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Nel segno del Cloud computing

Accanto all’infrastruttura, rimane fondamentale predisporre linee di intervento per favorire l’utilizzo dell’ICT nella PA locale, al punto che, secondo Procaccino (Accenture), occorre «aggredire i processi e le funzioni aziendali dove il “fattore umano” è l’elemento maggioritario in termini di costi e necessità di risorse. Il riferimento sono i classici processi di back-office, il flusso della pratica amministrativa, la gestione delle necessità approvative del day-by-day. Processi che si trovano ancora sostanzialmente immutati in molte realtà locali pubbliche e che oggi possono essere gestiti e resi più efficienti sfruttando tecnologie e software che consentono di rivoluzionare il concetto stesso di processo o procedura, compiendo un salto innovativo realmente importante».

In parallelo, gli fa eco Nencini (Trend Micro), «il Cloud computing può essere considerato uno dei fattori abilitanti per favorire l’utilizzo dell’ICT nella PA centrale e locale. Il Return on Investment è infatti tale da garantire alla PA un contenimento dei costi maggiore rispetto allo sviluppo e all’implementazione di soluzioni sviluppate su misura in casa».

Proprio l’aspetto economico riveste un ruolo fondamentale anche per Iantorno (Microsoft): «Per favorire l’utilizzo dell’ICT nella PA locale è necessario innanzitutto trovare forme economiche e di veloce impatto, e il Cloud computing incarna questa esigenza. Occorrerebbe modernizzare l’infrastruttura di data center in Italia (1.400 in totale) e consolidarli in strutture più innovative e amministrabili in maniera automatica, con costi inferiori e con un maggiore risparmio energetico. Sono inoltre fondamentali investimenti tecnologici in aree chiave, a partire dalla sanità».

Del resto, gli fa eco Pozzi (Extreme Networks), «molti Enti locali utilizzano sempre più Internet per fornire servizi ai cittadini e alle imprese. Per favorire tale tendenza, preservando al contempo l’integrità delle risorse IT degli Enti e la sicurezza degli utenti, sarà necessario mettere a disposizione degli amministratori di rete dispositivi e strumenti software che rendano più semplice gestire in sicurezza gli accessi e mantenere inalterati i livelli di qualità del servizio anche in condizioni di elevata richiesta».

Tutte condizioni alle quali, spiega Francini (Fujitsu Technology Solutions), «sono legate la virtualizzazione delle risorse informatiche e la diffusione del Cloud computing anche in ambito PA. Noi crediamo che il modello di delivery del Cloud computing rappresenti la migliore alternativa per affrontare questa sfida e colmare il gap in tempi ragionevoli. In uno scenario contraddistinto da necessità di realizzazione di nuovi servizi in tempi veloci, da una necessaria condivisione di informazioni, da business con trend che cambiano repentinamente e che vivono attualmente una fase calante, nonché da periodiche politiche di spending review, il Cloud computing rappresenta una soluzione capace di ridurre e rendere variabili costi che pesano in modo consistente sugli investimenti dello Stato».

Farioli (IBM) riporta infine l’attenzione sulla possibilità di modificare il modo di vivere le città: «L’ICT gioca senza dubbio un ruolo centrale nella capacità di abilitare i diversi modelli di innovazione della città e ha, come sfida, quella di mettere le Amministrazioni nella condizione di poter liberare risorse, intervenendo sulla semplificazione, sull’ottimizzazione dei costi e sul recupero di nuovi capitali. In particolare, ci sono due temi rilevanti su cui è necessaria una focalizzazione: la capacità di avviare sistemi e politiche virtuose in grado di contrastare ogni forma di elusione ed evasione al nostro sistema fiscale. È chiaro che, ancora una volta, le Amministrazioni locali sono chiamate ad affrontare una sfida importante con rinnovate competenze. Pertanto ci si aspetta che la Pubblica Amministrazione centrale intervenga a rendere disponibili risorse, strumenti abilitanti e know how necessario. Diventare una “città intelligente” significa intraprendere un lungo processo di trasformazione e investire in risorse del territorio».