Intervista a Jeanne Harris, executive research fellow e senior executive presso l’Accenture Institute for High Performance
La competizione si gioca su regole del tutto diverse dal passato. Le aziende più innovative impostano strategie e modelli di business avvalendosi della Business Intelligence e, in particolare, di strumenti e soluzioni che consentono loro di analizzare i dati. Un fenomeno che determina quella che comunemente viene definita data driven strategy ovvero una strategia basata su un approccio analitico. Per potere implementare una strategia di questo tipo occorrono competenze matematiche, statistiche e di gestione dei dati. Jeanne Harris, executive research fellow e senior executive presso l’Accenture Institute for High Performance (www.accenture.com), è convinta che i metodi analitici siano la vera killer application per raggiungere una reale posizione competitiva. Convinzioni che emergono chiaramente nei libri da lei scritti insieme a Tom Davenport e Bob Morison, Competing on Analytics: The New Science of Winning e Analytics at Work: Smarter Decisions, Better Results.
Secondo Harris, da noi intervistata in occasione di un incontro promosso da Accenture per i clienti italiani, l’obiettivo ultimo di una strategia fondata su un approccio analitico, dovrebbe prevedere la creazione di processi analitici integrati. Attualmente chi adotta metodi analitici lo fa in modo tattico e non strategico. La reale difficoltà e la vera sfida risiede nel riuscire a implementare una logica globale per tutti i processi di business, comprendere come le differenti azioni intraprese a livello di produzione, di logistica, di marketing, di vendita interagiscono le une con le altre. Il traguardo consiste, quindi, nel riuscire a creare un ambiente di simulazione che corrisponda effettivamente all’ambiente reale.
«Chi ha intrapreso un percorso fondato su un approccio analitico ha avuto successo – sostiene Harris -. Le aziende che nascono nell’alveo di Internet, hanno nel proprio Dna una cultura data driven. Esistono ormai algoritmi che regolano processi di supply chain e il modo di essere sul mercato è progressivamente influenzato dalla Business Intelligence». Una cultura che invece non appare ancora pienamente presente in altri contesti organizzativi dove il problema di fondo è legato alla permanenza di comportamenti tradizionali e dove i processi decisionali sono scarsamente determinati da approcci analitici. «Non è un problema tecnologico, le risorse che permettono a un’azienda di prendere decisioni in base alle analisi dei dati esistono e possono essere acquisite e implementate con successo. Si tratta innanzitutto di sapere integrare più competenze, quelle strettamente analitiche e quelle di business. I sistemi di BI sono diversi da quelli transazionali. Questi ultimi automatizzano processi in base a dati oggettivi di produzione. L’output dei sistemi di Intelligence è invece determinato dalle domande che vengono poste in essere».
Per Harris la migliore risposta, in termini di supporto alle decisioni, nasce dalla correttezza delle domande che determinano l’analisi dei dati. «Il decision making deve essere compreso come un vero e proprio processo, stabilire connessioni organiche tra dati di origine diversa, trarre delle decisioni da modelli analitici strutturati. Raramente le aziende sono capaci di stabilire quali fattori devono essere associati a una certa decisione. Questa è la criticità di fondo che deve essere superata. A differenza del passato, oggi abbiamo la possibilità di analizzare dati in tempo reale, o in near real time, abbiamo le risorse tecnologiche che permettono di compiere analisi predittive. La crisi finanziaria che ha generato la debacle economica tende per esempio a cambiare le abitudini di acquisto dei consumatori, essenziale per un’azienda è capire come e in che modo rispondere alle mutate condizioni di mercato, in tempi rapidi e con efficacia. Pianificare la propria strategia rispetto alle evoluzioni attese – conclude Harris – è diventata condizione irrinunciabile di sostenibilità economica».