Complessità e sfide per la Direzione IT sono proporzionali alla velocità con cui il tema dei big data assume contorni di business. Occorrerà lavorare sulla cultura del dato e sulla traduzione del potenziale in azioni di business e in risultati. E quindi sull’organizzazione
a cura di Fabio Rizzotto
«I dati sono il nostro core business». «La data quality è un problema». «Non riusciamo a gestire la crescita vertiginosa dei dati e delle informazioni non strutturate». «Possiamo fare correlazioni impensabili fino a qualche anno fa». «Abbiamo adottato una tecnologia che accorcia il processamento dei dati da ore a pochi minuti». «Abbiamo molti dati in casa, ma oltre alle tecnologie – forse – ci mancano le competenze per sfruttarli». «Finalmente, possiamo lavorare su interfacce semplici e intuitive». «Non riusciremo a dare valore al business fino a quando non supereremo il problema dell’integrazione dei dati». «Dopo una fase esplorativa, abbiamo cominciato a sviluppare una strategia big data».
Questi sono solo alcuni dei commenti qualitativi raccolti recentemente da IDC nel corso di indagini e confronti con le aziende italiane sul tema Big data & Analytics. Affermazioni che stimolano la curiosità: per esempio, quali di queste provengono “dall’IT” e quali sono invece dichiarazioni “del business”? Al di là dell’origine (sappiate comunque che la distribuzione è equa tra profili IT e LOB), forse è più importante concentrarsi sulla natura della questione, che rimane a forte rilevanza di business.
Alla fine del 2013, il numero di ricerche nel principale motore di ricerca web per la keyword “big data” ha superato anche in Italia quelle per il più tradizionale e maturo termine “business intelligence”. Indice di più sensibilità e interesse da parte della comunità di individui, professionisti, aziende. Una cosa – però – è esplorare un tema, un’altra è ricondurlo a logiche organizzative e darne valore. Valore – appunto – la quarta e più importante delle “V” che secondo IDC descrivono le tecnologie big data. Nella sua massima rappresentazione, il terreno dei big data vede infatti Volumi, Variety (eterogeneità) e Velocità combinarsi per disegnare nuove opportunità per estrarre Valore per le imprese.
Messo così, è indubbio che il concetto assuma molteplici significati. È la fase evolutiva della business analytics; trae origine dall’economia digitale ma non solo; sfrutta gli altri “compagni” di viaggio della Terza Piattaforma (cloud, social, mobile), dell’Internet of Things, dell’economia interconnessa. Risultato? Maggiore e crescente disponibilità di informazioni, dati che attraggono e generano nuovi dati (la cosiddetta Data Gravity). Nuovi terreni di gioco per IT e business analysts, dove la dimensione più affascinante è anche quella nascosta, che si cela in nuovi significati, interpretazioni, usi.
IT Data Driven
Sotto il profilo tecnologico, i big data hanno radici nell’innovazione, nelle nuove architetture e soprattutto in una nuova famiglia di prodotti abilitanti. La previsione di IDC per il mercato italiano è di un raddoppio del valore di tecnologie e servizi big data nel periodo 2013-2015, che porterà il mercato a superare i 160 milioni di euro nel 2015. Il trend è in linea con i ritmi di sviluppo mondiali del mercato. A livello worldwide, il tasso di crescita annuale composto (CAGR) stimato da IDC per il periodo 2012-2017 è pari al 27%, con un valore al 2017 di 32,4 miliardi di dollari.
Analizzare probabilità di adesioni a campagne promozionali con strumenti predittivi, fare azioni di marketing personalizzato, analizzare il churn rate dei clienti. Abbiamo preso a prestito alcuni ambiti apparentemente maturi dei processi marketing e sales in cui iniziative big data possono dare nuovo valore. È il business che irrompe prepotentemente come driver di progetti big data, che distacca quelli puramente tecnologici, senza dubbio importanti.
Ma allora qual è il ruolo dei CIO in questo scenario? Complessità e sfide per la funzione IT sono direttamente proporzionali alla velocità con cui il tema big data assume contorni di business. A un IT che assume maggiore “business role” deve fare tuttavia da contraltare una diversa responsabilità, rapporto, coinvolgimento del business verso lo stesso IT.
Da qui la necessità di un lavoro congiunto per obiettivi concreti: quali requisiti di business? Come creare un modello di governance? Come misuriamo le iniziative? Qual è la funzione dei dati lungo il processo che va dalla generazione, al consumo, alla conservazione? Riusciremo, in sostanza, a essere più competitivi sul mercato? Sarà possibile, in definitiva, prendere decisioni migliori, o anche solo più velocemente?
Sotto il profilo IT, poi, data integration, data quality, data security sono gli aspetti su cui le aziende devono lavorare per dare vita a concrete iniziative big data o anche semplicemente per migliorare le pratiche di business analytics in corso.
Data Governance
Un altro rischio all’orizzonte è inoltre il replicarsi di schemi che i nuovi paradigmi tendono ad abbattere. Stiamo parlando dell’informazione a silos, un’era tutt’altro che alle spalle. La proliferazione di soluzioni analitiche a livello operazionale, le funzionalità analitiche aperte a un maggior numero di utenti di business, i dati che nascono e rimangono “on cloud”, sono esempi di nuove e irrinunciabili direzioni ma possono, senza adeguata data governance, aprire le condizioni per futuri nuovi silos. Ma torniamo al cuore della questione: cosa possono fare oggi le aziende con le tecnologie big data? Semplicemente meglio – o in modo più efficiente – quello che già facevano ieri? Stanno iniziando a scoprire nuove pratiche analitiche che permetteranno di essere più competitive? O possono addirittura lanciare nuove offerte sul mercato ed esplorare nuove e inaspettate direzioni di business? IDC ha esplorato la percezione delle imprese italiane rispetto a questi interrogativi nel corso di un’analisi condotta nel mese di dicembre 2013 (campione di 50 grandi aziende italiane). Il risultato appare coerente con lo stadio di maturità del fenomeno. Il 70% sostiene che le tecnologie big data possono consentire alla propria organizzazione di rendere più efficienti i processi analytics già in corso. Un’azienda su quattro (25%) appare invece più consapevole delle potenzialità e ritiene di poter essere più competitiva grazie a nuove correlazioni e approcci innovativi all’analisi delle dinamiche di business. Spinte ancora più innovative – quali cambiamenti del modello di business, crescita in nuovi mercati con nuovi prodotti e servizi – vengono viste come una prospettiva dal 5% delle aziende. L’ultima casistica, se vogliamo, rappresenta la massima espressione del potenziale big data. Un flusso inarrestabile di informazioni viene ormai generato e reso disponibile da individui, imprese, impianti, sensori, sistemi automatici. È tutto potenziale per nuovi bisogni informativi, per nuovi segmenti di domanda consumer e business, nel settore privato ma anche nel pubblico.
Decisioni ad alta velocità
La velocità con cui la consapevolezza delle imprese si sposterà lungo l’asse immaginario che abbiamo disegnato, spostandosi verso il secondo e – via via in futuro – verso il terzo “stadio”, segnerà probabilmente anche la velocità con cui le imprese italiane innoveranno. Nel suo piccolo, è questo il contributo che i big data possono dare al sistema economico (tralasciamo il concetto di “crescita”, termine abusato nei contesti istituzionali negli ultimi anni). I fattori in gioco – lo sappiamo – sono troppo ampi e complessi. È sufficiente citarne alcuni. Ci sarà da lavorare sulla cultura del dato, sulla traduzione del potenziale in azioni di business e soprattutto in risultati. Quindi sull’organizzazione. La capacità poi di attrarre e trattenere i talenti continuerà a rappresentare una strategia vincente, associata allo sviluppo degli analytics skills. Ai partner ICT, abili nel segnare la strada, spetta il compito di accompagnare la domanda, colmare gap tecnologici e competenze, facilitare questo percorso.