Mentre realtà come Amazon o Google stanno fornendo risposte sempre più estese a PMI e privati, aumenta l’offerta dei fornitori tecnologici per soluzioni che sono prevalentemente orientate agli ambienti ibridi, mentre in prospettiva si profila un fattore decisivo: quello della mobilità. Intanto, il presidente di Assinform avverte: lo sviluppo dell’e-government mal si combina con il federalismo informatico
Le polveri stanno prendendo fuoco? Da una forma a metà strada tra il dejà vu e la visione filosofica, ovvero tra il re-impacchettamento cosmetico di servizi tradizionali (nel giro di dieci anni oscillanti tra Asp, outsourcing applicativo, hosting) e gli scenari buoni per convegni e presentazioni PowerPoint, il Cloud sta prendendo forma. Anche perché sta incontrando nuove sollecitazioni, a partire dal mobile.
L’ultimo dato impressionante riguarda Amazon. No, non parliamo del blackout che ha colpito un data center della East Coast a metà giugno. Pensiamo piuttosto ai numeri di “oggetti” (files, documenti), archiviati: non possiamo giurare che fossero tutti dei romanzi, ma sono 1.000 miliardi. Un incremento di dieci volte in trenta mesi, di quattro in diciotto mesi. Non male per un’azienda che ha scoperto e forse “inventato” sul mercato il Cloud, quando nel 2006 nacque la filiale AWS (Amazon Web Services), tanto per impiegare enormi risorse di calcolo che, passate le feste di Natale, restavano in larga parte inutilizzate.
Il public Cloud sta guadagnando consensi presso il mondo consumer e quello delle PMI – tanto da giustificare anche una politica d’attenzione non solo di specialisti come Amazon e Google, ma anche dei più naturali candidati, cioè i carrier, che già controllano l’elemento essenziale: la rete appunto. Tanto che uno che se ne intende, come il chief strategist di Telecom Italia Oscar Cicchetti, nel sostenere una visione che per il mercato residenziale / small office punta ancora largamente sul rame, pur ultraveloce (vectoring), per le aziende è chiaro: a causa del Cloud, servirà sempre di più la fibra. E dice: «uno storage serio sul Cloud si può fare a condizione di avere a disposizione velocità e banda non solo nel download ma anche nell’upload, insomma, simmetricità».
Obiettivo: dominare la frammentazione
La novità ora è nel cambio di ritmo impresso dai tradizionali system vendor, che naturalmente – a fronte di un Cloud che minaccia di sottrarre vendite quando vuol “mettere in comune” risorse altrimenti sottoutilizzate, quelle aziendali appunto – puntano su “nuvole” private e ibride, a fronte anche di alcune considerazioni a lume di buon senso. Primo: le grandi aziende che hanno investito in tempo, persone, soldi per le loro applicazioni mission critical, prima di smontarle ci pensano dieci volte. Secondo: prestazioni e SLA (i Service Level Agreement) sul Cloud sono ancora da dimostrare. Terzo: le aziende preferiscono per ora tenere i dati “caldi” in casa. Quarto: un punto davvero critico è come orchestrare la “diaspora” di sistemi e di applicazioni. I “silos” saranno inefficienti, ma i “granai” sparsi sono un rischio ancora peggiore. Una ricerca condotta da Alcatel-Lucent su circa 3mila responsabili IT in sette Paesi lo dice chiaro: sicurezza e anche prestazioni sono gli elementi che frenano la diffusione del Cloud nelle grandi imprese. Prevedibile, no? Meno prevedibile, forse, uno dei risultati di una parallela ricerca di IBM condotta presso 500 aziende: ora del 2015, il Cloud non sarà solo un modo per essere più efficienti: lo sarà anche per riscrivere le regole del business, aprendo le aziende maggiormente ai partner (http://www-03.ibm.com/press/us/en/pressrelease/37043.wss).
La lezione del Pc
La sensazione, tuttavia, è che si stia assistendo a qualcosa di simile a quanto si poteva vedere attorno al 1984 quando, un paio d’anni dopo l’ingresso del personal computer, era chiaro che i responsabili dei sistemi informativi avrebbero dovuto necessariamente venire a patti. Il client / server era alle porte e non si poteva più liquidare il Pc come la soluzione-tampone di chi non poteva semplicemente aspettare che i sistemi informativi aziendali impiegassero 24 mesi per generare l’applicativo di una bolla di consegna. Allora, i fornitori dicevano “downsizing? No: rightsizing”. Oggi dicono: “pubblico, privato,? No: ibrido”.
Ma andiamo con ordine. I maggiori software & system vendor appaiono oggi concentrati su due assi della loro attività: la riorganizzazione dei sistemi IT dei clienti e l’organizzazione dei sistemi Cloud per tener conto di una realtà su tutte: dopo aver passato decenni a spiegare i vantaggi dell’integrazione – il verbo messianico degli ERP di SAP e degli ambienti data-centrici di Oracle – non è facile spiegare come far leva sul “fior da fiore” dei sistemi Cloud e di una pluralità di fornitori, oltre che di scenari ibridi, misti pubblici e privati.
Proprio attorno alle parole magiche del Cloud si sta riorganizzando l’offerta enterprise attorno a grandi “global vendor” e maxi alleanze, che possono anche spiegare perché, per esempio, Oracle abbia compiuto la discussa (fatturati in calo costante a due cifre nell’hardware) acquisizione di Sun, perché Oracle e HP se le stiano dando di santa ragione, perché EMC – che in materia porta avanti una stretta alleanza con Cisco stia moltiplicando le acquisizioni nel software.
Qualche flash: la regina del software, EMC, che in pancia ha VMware, si allea con i due maggiori carrier americani: AT&T e Verizon con un unico obiettivo: diventare il fornitore di riferimento per il Cloud, soprattutto per quanto riguarda storage e gestione dell’informazione. Nello stesso tempo acquista Watch4net: una mossa chiaramente interpretabile, perché l’azienda canadese è specialista in una cosa: “federare” il controllo e la gestione delle diverse risorse in rete: da quelle private a quelle dei Cloud pubblici e, per definizione, di quelli ibridi. Obiettivi in parte simili quelli annunciati da Hewlett-Packard con Converged Cloud, che, tra l’altro, con la sua CloudSystem Matrix punta ad automatizzare un ambiente che si estende dai modelli di infrastrutture tradizionali, ai Cloud privati a quelli quanto meno ibridi.
Obiettivo concertazione delle risorse
E non basta: con l’offerta di Cloud Automation Services punta a semplificare il deployment di applicazioni in ambienti basati sulla virtualizzazione pubblico/privata delle infrastrutture. L’altra grande attesa, naturalmente, era l’arci-rivale Oracle che ha un grande disegno, anche se la sua forza nel software è per ora vanificata dalla debolezza nell’hardware. Oracle Cloud mira a essere una sorta di supermercato dei servizi, per scatenare l’accesso a funzionalità, applicazioni, servizi di piattaforma e infrastrutturali. Non a torto viene definita la più vasta offerta Cloud enterprise, con la dichiarata ambizione di superare la frammentazione dei tradizionali silos applicativi. Se ci riuscirà davvero (e riuscirà a comunicarlo al mercato) avrà fatto un grosso passo in avanti.
IBM, che intanto ha colto l’occasione del Roland Garros di Parigi per dimostrare come il Cloud possa servire anche una manifestazione sportiva internazionale, ovviamente in private Cloud, ha capito che per aver successo, soprattutto con le PMI, occorre formare e supportare i partner e ha introdotto una serie di funzionalità e iniziative – formazione inclusa – all’insegna dello smart Cloud.
Tra mobile ed effetto BYOD
La spinta decisiva per convincere le aziende utilizzatrici a far cadere le barriere verso il Cloud sarà tuttavia quella che viene dalla mobilità. Smartphone e tablet stanno diventando un mezzo preferenziale di accesso al Web e alle intranet aziendali e proprio in questa direzione, ancora IBM ai primi di giugno ha annunciato una serie di soluzioni cooperative che tengono conto di questa ricetta fatta di Cloud, mobile e sistemi complessi. Poco importa se si moltiplicano gli appelli a dimenticarsi l’iPad nel cassetto quando si è in azienda, mentre torme di zombie informatizzati non mollano la tavoletta di Apple nemmeno al caffè.
L’annuncio di queste settimane del tablet di Microsoft (“Surface”) che rappresenta un viatico per Windows 8, indipendentemente dal successo che avrà la specifica piattaforma, è un ulteriore sdoganamento non solo del concetto di enterprise mobility, ma anche di quel BYOD – il Bring Your Own Device – che sta rubando i sonni ai responsabili IT preoccupati delle sorte della sicurezza in azienda. Mettiamo le cose in altri termini: nel 2015, Cloud e mobile potrebbero avere nell’IT aziendale un effetto non inferiore a quello che attorno al 2000 esercitava l’ingresso del Web. La conseguenza è la necessità di rivedere regole, architetture, metodi per far convivere sicurezza, flessibilità e creatività.
In tutto questo, c’è forse un grande assente ed è il settore pubblico. Con migliaia di enti, in genere gelosi della propria indipendenza ma ancora portatori di una frammentazione che non aiuta nessuno, anche in Italia la PA centrale, quella locale, la sanità rappresentano una formidabile occasione che non va sprecata. Sotto questo profilo, occorrerebbe erigere una statua eburnea a Paolo Angelucci, il presidente dell’Assinform, forse criticabile in passato per alcune proposte, come quella della rottamazione delle applicazioni funzionanti quando il problema era fare quelle che non ci sono. Questa volta, presentando il Rapporto 2012, ha avuto il coraggio di dire quel che dovrebbe essere fin ovvio. Cioè, che il federalismo informatico non è una buona idea. Che si spenderebbe di meno e si avrebbe di più centralizzando lo sviluppo e la gestione di tante applicazioni che i piccoli comuni non sanno o non possono nemmeno realizzare e gestire. Per non parlare di una sanità che è troppo spesso vincolata ai confini regionali nell’interscambio dei dati. Quando non lo sono al livello della singola azienda ospedaliera. Chapeau, insomma, per aver detto che il re è nudo e che qualcuno deve pur pensarci.