Si parla molto di cloud computing, forse troppo, anche perché in esso convergono scenari tecnologici e di servizio differenti e – a volte – contraddittori. Il cloud può dare una mano a chi già dispone di importanti asset ICT e a chi ha già avviato investimenti cloud nella propria intranet. Esploriamo questo contesto particolare, rivolgendo un paio di domande chiave ad alcuni operatori del mercato
È immaginabile uno scenario in cui il cloud interno si sposi – magari anche in modo temporalmente limitato, per meglio dire “al bisogno” – con un cloud fornito da uno (o più) service esterni?
Luca Collacciani, sales manager di Akamai (www.akamai.com) ritiene che le aziende siano pronte a esplorare la sempre più ampia gamma di opzioni del cloud pubblico per quanto riguarda risorse di elaborazione e archiviazione, piattaforme di sviluppo delle applicazioni e applicazioni aziendali. «L’espansione nei servizi cloud indica che le applicazioni aziendali hanno ampliato la loro portata globale a tal punto, che è aumentata l’esigenza di estendere la rete aziendale e di includere Internet come meccanismo di delivery. Di conseguenza i responsabili IT hanno bisogno di una strategia completa per facilitare un’erogazione delle applicazioni ottimizzata e sicura dai margini estesi delle reti aziendali».
«Non solo immaginabile, ma disponibile» sottolinea Andrea Bertoldo, marketing manager IT services di BT Italia (www.italia.bt.com). «BT, forte delle proprie capacità in ambito network e IT, ha – in un primo momento – messo a punto la propria offerta di virtual data center “classica”, fruibile come service esterno (in modalità as a Service, flessibile e modulabile), condivisa e ospitata presso i propri data center. Poi – consapevole della necessità dei clienti di disporre di soluzioni sicure e “private” a partire da modelli collaudati, “enterprise class” e capaci di integrarsi con i sistemi esistenti – ha disegnato anche un servizio di data center virtuale con architettura dedicata e privata (ospitabile sia presso il cliente, che può effettuarne la gestione in proprio o demandarla a BT, sia presso un data center BT). Spesso, la soluzione migliore per un’azienda può essere proprio un mix delle due opzioni, con elementi appositamente configurati per soddisfare le specifiche esigenze: indipendentemente dalla scelta, i benefici restano chiari».
Luca Rossetti, senior customer solutions architect di CA Technologies (www.ca.com) pensa che l’interesse per il cloud ibrido sia alimentato dal desiderio di sfruttare i vantaggi legati al cloud pubblico e al cloud privato senza soluzione di continuità. «Gli ecosistemi ICT più moderni, flessibili ed efficienti – spiega – prevedono una federazione di cloud pubblico e privato, in cui determinati servizi sono acquisiti mediante public cloud, mentre la maggior parte dei servizi mission-critical e le applicazioni che gestiscono dati sensibili sono gestite in un private cloud. Può accadere che alcune applicazioni transitino da un tipo di cloud all’altro o prevedano contemporaneamente i servizi del public e del private cloud. Le aziende dovrebbero valutare con attenzione la complessità aggiuntiva dovuta alla gestione degli scambi tra cloud pubblico e privato e risolvere i problemi che ne derivano, primo fra tutti la sicurezza dell’ambiente ibrido. Inoltre riteniamo che le organizzazioni debbano dotarsi di strumenti e processi che garantiscano criteri oggettivi in grado di valutare l’opportunità e i rischi legati allo spostamento da pubblico a privato e viceversa. Il futuro del cloud potrà essere ibrido e al momento le implementazioni ibride sono un’opzione concreta per la maggior parte delle organizzazioni, ma il cloud privato è il primo passo naturale verso questa transizione, in quanto fornisce il connubio ideale fra sicurezza e prestazioni. Se – oggi – il public cloud è adeguato per una serie di applicazioni selezionate – in futuro – lo sarà sempre di più, a patto che aumenti la funzionalità e l’affidabilità delle sue soluzioni».
COSA RAPPRESENTA IL CLOUD COMPUTING?
Giovanni Gavioli, country manager di Esker Italia (www.esker.it) avvia il ragionamento iniziando da un’altra domanda: «Cosa rappresenta il cloud computing? Fondamentalmente la capacità di utilizzare risorse condivise, a pagamento ovviamente, disponibili sulla Rete. Troppo generica come definizione? Certo, ma probabilmente è anche la più chiara. Secondo me questa definizione risponde di per sé a tutti gli interrogativi, che ci si può giustamente porre, relativi all’utilizzo di ambienti eterogenei per tipologia (cloud o on-premise) o per disponibilità (private o public cloud). E’ nella definizione stessa del cloud che risiede la capacità di utilizzarlo solo a necessità e – se cosi non fosse – non sarebbe ”cloud”. È ovvio che la tipologia del servizio di cui si necessita potrebbe avere peculiarità tali da rendere più difficoltosa l’integrazione tra piattaforme differenti o rendere più complesso lo scambio d’informazioni, ma tutto ciò sarebbe concreto e reale, anche nel caso in cui l’azienda volesse gestire la stessa soluzione/servizio completamente in casa propria. Dalla nostra esperienza in merito (legata all’erogazione di SaaS in ambito processi documentali) non esistono ostacoli degni di tale nome, in grado di rendere irrealizzabile una integrazione, tra piattaforme differenti, anche nel caso in cui si tratti di mondi misti (private vs public oppure cloud vs on premise). I problemi relativi alla scelta di usare servizi in cloud sono prettamente culturali, legati per esempio alla fiducia verso la dichiarata sicurezza dei dati sulla Rete piuttosto che alla “proprietà” del dato stesso, dimenticando – però – che chi “fa cloud” mediamente ha infrastrutture protette e certificate più di quanto mediamente venga realizzato nelle “normali” aziende».
Secondo Joe Sarno, regional sales vice president di Fortinet (www.fortinet.it), se implementato correttamente, il cloud computing è in grado di migliorare sensibilmente l’agilità e la produttività dell’azienda, riducendo i costi dell’infrastruttura. «Nei prossimi anni» – ci illustra – «le aziende trasferiranno parti importanti delle loro attività operative in ambiente cloud. A mio avviso, è possibile l’integrazione tra vari tipi di cloud: pubblico, di proprietà di un provider di servizi cloud, reso disponibile su base multi-tenant e pay-as-you-use; privato, di proprietà e implementato da un’organizzazione per uso interno come unico tenant; di community, condiviso collettivamente da un insieme di tenant, spesso dello stesso settore; e infine ibrido, che include i precedenti modelli di implementazione del cloud descritti e consente di trasferire facilmente applicazioni e dati da un cloud a un altro».
Ombretta Fornari, responsabile progettazione Gruppo Sintesi (www.grupposintesi.it), ci dice che per sfruttare al meglio i benefici del cloud computing (disponibilità, efficienza, flessibilità, meno risorse IT, minori investimenti iniziali) occorre spingersi verso una soluzione di cloud ibrido, che implichi un mix di servizi tra il cloud privato e il cloud pubblico. «I servizi disponibili nel cloud pubblico sono molteplici in termini di software come servizio (SaaS – accesso via Web ad applicazioni messe a disposizione da un provider di servizi), piattaforma come servizio (PaaS -ambiente di sviluppo software e hosting delle applicazioni costituito da strumenti di sviluppo, database, infrastruttura software), infrastruttura come servizio (IaaS – provisioning risorse hardware e di rete per l’installazione di sistemi operativi e applicazioni). La scelta di quali servizi riservare al Cloud privato dipende da svariati fattori: riservatezza dei dati, che a volte rappresenta più uno scoglio psicologico, disponibilità finanziaria, che varia in base al tipo di continuità di servizio richiesto, bacino di utenza, grado di standardizzazione del servizio».
NUOVI SERVIZI DA RISERVARE AL CLOUD
Giovanna Nuzzo, corporate communication & CRM manager di Océ (www.oce.it), ci ricorda che in uno scenario economico come quello attuale, molte piccole e medie imprese stanno cercando di capire quali siano le opportunità per garantire innovazione, ma anche la flessibilità necessaria per reagire meglio e più velocemente all’andamento dei mercati. «Attualmente diversi clienti si stanno informando sulle possibilità offerte dal cloud alla ricerca di modalità per ridurre i costi di gestione delle infrastrutture IT». Non solo. «Océ, azienda del Gruppo Canon, leader nella gestione documentale, negli ultimi mesi ha annunciato nuovi prodotti e soluzioni che consentono di fruire in maniera semplice della flessibilità e della produttività dei sistemi Océ, anche attraverso il cloud. Ad esempio, Océ PlotWave 350 offre agli utenti del mercato professionale che devono realizzare disegni tecnici, nuove funzionalità di stampa da dispositivi mobili e attraverso il cloud. Questo sistema di stampa è stato progettato per far fronte alle esigenze pratiche degli utenti del mercato tecnico, architetti e ingegneri che spesso si spostano tra uffici, cantieri e sedi di incontro presso i clienti o i fornitori. Per questo motivo, hanno bisogno di maggiore flessibilità nelle modalità di utilizzo dei propri dispositivi multifunzione e al contempo desiderano risparmiare tempo ed energia. Una modifica rilevata in cantiere – ad esempio – può essere salvata nel cloud e riprodotta, in tempo reale, in ufficio. Ecco un esempio di nuovi servizi e nuovi modi di innovare e rendere più efficienti le aziende».
Per Barbara Reffi, amministratore delegato di Passepartout (www.passepartout.sm) questo scenario non è solo immaginabile, ma è già realtà, non solo in grandi aziende, ma anche nella pratica quotidiana di piccole imprese e studi professionali: «Uno studio professionale – infatti – può avere una soluzione cloud computing che si colleghi con una banca dati esterna per acquisire dati e informazioni anagrafiche – oppure – una piccola impresa, pur avendo una applicazione su di un proprio server, può offrire strumenti cloud alla rete di collaboratori e agenti esterni e accesso ad applicazioni B2B e B2C. Si può dire, che non solo è immaginabile, ma è lo scenario che può garantire i massimi benefici di una applicazione cloud».
«Il vero vantaggio derivante dalle funzionalità offerte dal cloud» – ci risponde Luca Costanzo, responsabile commerciale di QAD Italy (www.qad.com) – «risiede proprio nella possibilità di accedere a servizi on demand, andando a risolvere problematiche puntuali in un’ottica di recupero dell’efficienza operativa e dell’ottimizzazione dei costi. E’ pertanto da considerarsi intrinseco alla filosofia stessa del cloud, poter accedere a servizi offerti da altre “nuvole”. Coloro che hanno saputo intravedere in passato le potenzialità offerte dalle architetture SOA e hanno sviluppato o acquisito applicazioni SOA oriented, oggi, possono muoversi con disinvoltura all’interno del cloud e trovare ulteriori spunti di innovazione e miglioramento dei processi aziendali. QAD, storico application partner di Progress Software, è tra i primi – se non il primo in assoluto al mondo – vendor di soluzioni gestionali per le aziende manifatturiere a offrire la propria soluzione interamente in modalità on demand. Grazie alla potenzialità della tecnologia in cui è stato sviluppato, QAD Enterprise Application on demand possiede tutte le funzionalità necessarie per comunicare a qualsiasi livello con altre implementazioni applicative, siano essi in modalità on premise, sia cloud».
IL CLOUD COME OPPORTUNITÀ INDEROGABILE
L’opinione di Fausto Curridori, presales manager di Reitek (www.reitek.com) è che il cloud debba essere visto come opportunità di rispondere a esigenze puntuali con la migliore tecnologia possibile, senza doversi sobbarcare l’onere della sua gestione e manutenzione. «Tanto è più semplice l’accesso a questa tecnologia e tante più opportunità si aprono per chi la utilizza. Considerare il cloud, uno strumento per incubare il business è l’idea che cerco sempre di trasmettere. In quest’accezione, è auspicabile che vi possano essere diversi service che concorrono a rispondere ai bisogni del cliente».
Elio Mungo, direttore generale di Retelit (www.retelit.it) ci rammenta che per il 2012 – secondo l’osservatorio del Politecnico di Milano – il mercato del cloud in Italia vale 443 milioni di euro, pari al 2,5% di tutta la spesa IT in Italia. «Il 54% di questa spesa è relativa a quello che viene definito il private cloud» precisa «cioè tutte le attività IaaS, SaaS e PaaS gestite direttamente dalle imprese. La componente cloud pubblica è invece la rimanenza. All’interno di questa spesa, la voce maggiore è relativa alla spesa per Infrastracture-as-a-Service. Se consideriamo questo scenario, possiamo facilmente immaginare che una possibile integrazione tra cloud privati e pubblici sarà possibile solo se ci sarà una maggiore diffusione delle connessioni in fibra da parte delle imprese (banda larga e ultralarga) e se ci sarà una standardizzazione dei protocolli di scambio dati tra le varie nuvole, specialmente tra i prodotti commerciali e open source, che realizzano le nuvole pubbliche e private».
Dal canto suo, Antonio Baldassarra, ceo di Seeweb (www.seeweb.it) dichiara che questa prospettiva «non solo è immaginabile, ma inderogabile. Al tempo stesso, è imprudente supporre che un’azienda possa resistere alle pressioni competitive “isolandosi” dal mondo, pensando di soddisfare con efficienza, efficacia e immediatezza tutte le esigenze del proprio business, attraverso una propria soluzione ICT puramente “in house”, sia essa tradizionale o cloud. È altrettanto improbabile che si possa “migrare” tutta la propria infrastruttura IT su un sistema cloud pubblico, o comunque erogato da un fornitore specializzato in questo. Di contro, ci sono dei servizi che sono gestiti in maniera migliore e con maggiore economia da un soggetto specializzato, che li renda attraverso un’offerta di tipo cloud. In questo caso appare evidente dove sia il vantaggio e ciò non vale certo solo per esigenze sporadiche o limitate nel tempo, anzi ci sono degli ambiti, in cui le soluzioni cloud sono sempre vincenti, anche per utilizzi a regime. Vale poi la pena di considerare degli “unicum” delle soluzioni basate su cloud pubblico – ad esempio – l’assenza totale di costi di acquisizione (si paga solo l’effettivo utilizzo) e la possibilità di scalare a piacere e sostanzialmente in tempo reale la propria infrastruttura».
Anche per Gastone Nencini, senior technical manager di Trend Micro Italia (www.trendmicro.it) questo scenario non è semplicemente immaginabile, perché è già una realtà. «Nella definizione di cloud, infatti, rientrano numerosi servizi che utilizziamo nel nostro lavoro quotidiano senza accorgerci o sapere che sono cloud based. Se parliamo di Infrustructure-as-a-Services e della possibilità di acquisire risorse hardware temporaneamente (come ad esempio nel caso di software house che devono testare prodotti o software), il cloud è uno dei sistemi migliori per offrire questo tipo di soluzioni attraverso il concetto di pay-per-use, senza incidere su costi, che in precedenza andavano ammortizzati nel tempo. Come Trend Micro, siamo già presenti in uno scenario di questo tipo, perché tutti i nostri clienti possono, tramite il Smart Protection Network, sfruttare il cloud pubblico di Trend Micro o replicare il loro cloud interno, chiamato local smart server. A livello di sicurezza lo scenario è già attivo da giugno del 2008. Tutti i nostri clienti ne stanno usufruendo, sfruttandone i benefici – e il fattore sicurezza continuerà sicuramente a essere un fattore abilitante per il cloud nel futuro».
Per Fabio Alghisi, Italy sales manager di Veeam Software (www.veeam.com) «anche il cloud ibrido è in alcuni casi già una realtà. Si tratta di una combinazione tra il ”private cloud” – gestito in autonomia dalla singola azienda per le proprie applicazioni mission critical – e il “public cloud” – gestito da cloud provider, che forniscono infrastruttura, piattaforme e software in modalità di servizio. Il vantaggio immediato é di poter disporre – tramite service esterni – di funzionalità non mission critical in modalità flessibile e con un controllo immediato dei costi».
Termina questo primo giro di riflessioni, Pietro Riva, sales director Southern Europe di Terremark, società di Verizon (www.verizon.com/enterprise/it): «E’ difficile che due aziende si muovano con gli stessi tempi nel continuum del cloud. Mentre alcune organizzazioni iniziano ora ad adottare una strategia di cloud computing, altre ne stanno già beneficiando per soddisfare le esigenze di maggiore flessibilità e agilità richieste dal business. Poiché ogni azienda è differente, un approccio pragmatico per valutare quali applicazioni e carichi di lavoro siano più adatti alla migrazione è il primo passo da compiere quando si pianifica il viaggio verso il cloud. Le aziende dovrebbero ricordare che possono controllare questa pianificazione ed effettuare la transizione seguendo i propri ritmi e obiettivi di business. La gamma di opzioni va dall’implementazione di cloud privato e servizi IT gestiti tradizionali al cloud pubblico per le aziende, che offre flessibilità e scelta. Molte organizzazioni considerano il modello ibrido come una valida alternativa, che sfrutta il meglio dei due mondi pubblico e privato. Questo modello include un mix di servizi forniti nel cloud che utilizza forme di cloud pubblico e privato gestiti da fornitori interni ed esterni. Verizon, in questo contesto, permette ai propri clienti (utilizzando la propria tecnologia Cloudswitch leader di settore) di spostare in tutta sicurezza e senza soluzione di continuità i carichi di lavoro tra ambienti cloud, ottimizzando così l’utilizzo delle risorse. Scegliere un partner affidabile che, come Verizon, ha l’esperienza per integrare elementi IT, di sicurezza e di rete in un’unica soluzione, consente di risparmiare e di ridurre potenziali rischi».
OFFERTA E PROSPETTIVE
Il secondo aspetto che vogliamo esplorare con questo servizio è quello dell’integrazione tra nuvole “diverse”. E abbiamo chiesto ai nostri interlocutori, quanto è adeguata l’offerta attuale in termini di interoperabilità infrastrutturale e quali sono le prospettive?
L’opinione di Luca Collacciani di Akamai è che le aziende stiano spostando parte delle proprie applicazioni esistenti all’esterno del data center e nel cloud per poter risparmiare sui costi del settore IT e sfruttare una maggior elasticità dell’approvvigionamento delle risorse e dell’agilità aziendale on demand. «Questi vantaggi – spiega Collacciani – sono resi possibili, grazie all’impiego di risorse di elaborazione, archiviazione, di rete distribuite e scalabili dei provider dei servizi cloud. In futuro, la stragrande maggioranza delle nuove applicazioni sarà distribuita tramite il cloud e le relative piattaforme gradualmente sostituiranno l’approccio client/server come modello dominante per la delivery di applicazioni e soluzioni. Con l’aumento dell’adozione di servizi cloud pubblici da parte delle organizzazioni, si renderà necessario un nuovo approccio specifico per il cloud e le aziende. In ambienti IT sempre più basati sul cloud, le reti di prossima generazione dovranno essere in grado di ottimizzare l’accesso e le prestazioni di tutte le applicazioni, indipendentemente dal punto in cui queste sono ospitate o da chi le controlla e, contemporaneamente, fornire controllo e visibilità per i responsabili IT».
Per Andrea Bertoldo di BT Italia «il modo migliore per indirizzare le tematiche di interoperabilità in modo concreto e immediato è mettere a disposizione un insieme solido e strutturato di servizi di consulenza erogati dagli specialisti di BT che supportano le aziende nel valutare, pianificare e predisporre una strategia di evoluzione dell’IT per ricavare il massimo dei benefici nel più breve tempo possibile. In particolare, sono previsti servizi professionali che consentono di realizzare un assessment dell’infrastruttura esistente del cliente, analizzando come le risorse ICT in essere rispondono alle sollecitazioni provenienti dalle applicazioni aziendali. Questo permette di individuare le aree d’intervento per l’ottimizzazione delle risorse IT e di misurare i benefici sui costi operativi, nonché di definire attraverso quale percorso graduale è possibile beneficiare dei servizi cloud-based».
Per Joe Sarno di Fortinet l’applicazione di strategie cloud di qualunque tipo passa attraverso strette interconnessioni tra infrastrutture differenti a vari livelli, dal network al dato, con forti impatti sulla sicurezza. «La delocalizzazione di dati e applicazioni, unita all’elasticità delle infrastrutture, sta cambiando i paradigmi per la progettazione delle infrastrutture di sicurezza: da un lato – c’è una percezione chiara sull’esigenza da parte di chi fornisce servizi cloud sia al proprio interno, sia verso clienti, di garantire livelli di sicurezza certificati e normati – dall’altro – ci sono necessità nuove dettate dai livelli di performance richiesti dal consolidamento di ambienti applicativi e dati, e dall’incremento esponenziale dei flussi di comunicazione intracloud e intercloud. L’infrastruttura di sicurezza, inoltre, dovrà sempre di più matchare le nuove esigenze di elasticità conseguenti alla mobilità di dati e applicazioni, alla velocità di provisioning o di adattamento della potenza elaborativa, in base a necessità contingenti. Fondamentale poi la securizzazione e il controllo sugli accessi e i flussi da parte di applicazioni o di client in ambienti potenzialmente multi-tenant, sempre più multi-technology e indipendentemente dal media di trasporto utilizzato».
ORIENTARSI IN UN’OFFERTA COMPLESSA
Ombretta Fornari del Gruppo Sintesi afferma che l’offerta attuale è molto variegata e orientarsi può essere complesso: «Occorre fare riferimento a un partner di valore – trusted advisor – che comprenda le vere esigenze aziendali e che sappia indirizzare il cliente sia verso le architetture più adeguate per la realizzazione del cloud privato, sia nella scelta di servizi di cloud pubblico. In merito a quest’ultimo, alcuni servizi sono ormai a un buon grado di sviluppo – come mail, collaboration, antivirus – altri necessitano, invece, di un ulteriore periodo di maturazione (cloud backup ndr)».
Giovanna Nuzzo di Ocè afferma sinteticamente che «l’offerta attuale è solo un inizio di quello che potremo avere in futuro. La combinazione di soluzioni di mobilità e di cloud computing ci riserverà ancora nuovi vantaggi, tutti da scoprire».
Per Barbara Reffi di Passepartout, «l’offerta, in termini d’infrastrutture, ambienti e reti è già disponibile e adeguata, destinata a migliorare significativamente sia nelle prestazioni, sia nell’affidabilità e nella sicurezza». A essere limitata è – invece – l’offerta: «Solo pochi fornitori e poche soluzioni sono realmente cloud e quindi solo pochi possono sfruttare i benefici di una interoperabilità intercloud e intracloud.
Luca Costanzo di QAD Italy ritiene che oggi – grazie alla crescita di server farms sempre più attrezzate e all’ampia offerta di servizi infrastrutturali on demand – sia offerto agli utenti finali un ampio spettro di possibilità nella scelta non solo della tipologia, ma anche del livello di servizio desiderato. «Le aziende – che guardano al cloud come repository di servizi per il business – possono finalmente “dimenticarsi” delle problematiche relative all’infrastruttura e concentrarsi a raggiungere gli obiettivi di performance che si sono prefissati, attraverso l’analisi continua e la ridefinizione dei processi aziendali».
Per Fausto Curridori di Reitek, «l’offerta attuale presenta ampi margini di miglioramento per una effettiva interoperabilità fra i diversi servizi cloud. «La sincronizzazione fra i processi e l’accesso profilato dei dati sono solo alcuni degli aspetti cui si deve dare la giusta attenzione. Solo poche realtà sono in grado di erogare servizi cloud effettivamente aperti e interoperabili con altri preesistenti. In molti casi è necessaria una competenza tecnica qualificata per coordinare il tutto e per evitare che, quando le nuvole si incontrano… si vedano i fulmini!».
«L’interoperabilità non è elevata» – è il parere di Elio Mungo di Retelit : «Le soluzioni presenti sul mercato – sia commerciale, sia open source – sono molte, ma il loro sviluppo è tutto rivolto verso la parte “interna” e non verso l’integrazione delle nuvole. Ciò significa che i player del mercato stanno cercando di affermare i loro prodotti su questo mercato, prima di consentirne l’apertura e l’interoperabilità verso l’esterno. Retelit da tempo si sta prodigando nell’offrire gli strumenti adeguati, in termini di capacità e banda sufficiente e di servizi necessari per l’implementazione di nuvole pubbliche o private. A mio parere, infatti, questa è una strada estremamente conveniente per la diminuzione del TCO dei sistemi informativi delle aziende clienti».
La convinzione di Antonio Baldassarra di Seeweb è che, a livello infrastrutturale, non esistano al momento standard indipendenti, ma solo delle proposte di alcuni vendor che hanno una certa capacità di pressione sul mercato. «Questa pressione non è una cosa nuova nel mondo dell’IT e non è certo limitata al cloud computing. C’è da dire – però – che si vede un grande sforzo nella direzione dell’interoperabilità da parte di tutti e questo è molto positivo. L’offerta cloud, soprattutto infrastrutturale, è molto matura e si lavora ora con una clientela competente e molto attenta alle proprie scelte, anche in termini di rischi da lock-in. Non è più corretto parlare di queste cose in termini futuri – “il cloud è adesso” – ed è in grado di fornire già molte risposte: chi lo ha adottato sta già godendo dei benefici».
Secondo Gastone Nencini di Trend Micro Italia, «il cloud funziona in maniera ottimale se si ha connettività a banda larga, che purtroppo in Italia è distribuita a macchia di leopardo: pienamente utilizzabile nelle grandi città, ma sempre meno affidabile mano a mano che ci si sposta dai centri urbani metropolitani a quelli a bassa densità di popolazione. Con l’ampliamento della banda larga e la sua diffusione a livello capillare, anche l’utilizzo del cloud – e dei servizi a esso legati – potrà espandersi ulteriormente, contribuendo allo sviluppo del sistema Paese».
Chiudiamo il giro delle domande con Fabio Alghisi di Veeam Software che è convinto che l’offerta attuale sia sempre più affidabile in termini di servizio (sicurezza, gestione, controllo costi) erogato dai cloud provider. «Questa crescita di affidabilità dipende anche dalla notevole sicurezza raggiunta dalle infrastrutture virtuali che sono alla base del cloud computing e dagli strumenti per gestire e proteggere le stesse. Resta – invece – ancora problematica la fruizione di tali servizi fuori dai grandi centri urbani. Aziende dislocate in zone rurali, non in prossimità delle grandi città, rischiano di non poter fruire di un public cloud affidabile per mancanza di connessioni veloci: il cosiddetto digital divide é ancora un grosso ostacolo in molte parti del territorio italiano».
CONCLUSIONI
“Sognatore è un uomo con i piedi fortemente appoggiati sulle nuvole” – ci tramanda poeticamente Ennio Flaiano. Nel nostro caso invece, ciò che deve essere appoggiato – anzi ancorato – su di esse sono i nuovi modi di gestire il business, sotto la guida tecnologica di persone, quali quelle IT, le quali – per mestiere e natura – più che i sogni temono gli incubi di disservizi e malfunzionamenti. Ma queste stesse persone hanno anche una passione infinita per il loro lavoro e amano volare sempre più in alto…lassù su quelle nuvole…Meditiamo, gente, meditiamo J