Milioni di euro (e dollari) scommessi su giovani idee e progetti, che spesso non vedono la luce
Cosa resterà di questi anni da startup? Si potrebbe parafrasare con il titolo di una famosa canzone italiana l’attuale panorama startuppiano nostrano, che si trova in una fase tutt’altro che favorevole. Secondo Andrea Dusi, blogger e giovane imprenditore di Verona, i fallimenti nel mondo delle startup sono tanti e degni di finire su un sito, www.startupover.com, che rappresenta il lato (purtroppo) reale del fin troppo entusiasmo che spesso circonda il settore.
Italia: 1 su 10 ce la fa
“Si sa che la mortalità delle start up è molto alta – scrive sul suo blog – entro i primi tre anni solo 1 su 10 raggiunge il break even e… le altre 9? Che fine fanno? Perché non ce l’hanno fatta? Cosa potrebbe essre stato fatto in modo diverso? Come la vedono i protagonisti?” Il problema, secondo Dusi, non è che le idee progettuali falliscano, anche i big fanno passi falsi (è il caso di Google Reader). Il lato oscuro è che non si sa che fine facciano tutti i soldi spesi per portare avanti idee ed esperienze che poi non vedono realizzazione, il cosiddetto “break even”.
La bolla scoppierà
Per questo il rischio che le startup siano solo una bolla è molto alto. Anche in Italia il numero di investor è elevato e spesso il rilascio di finanziamenti, perché privati, interessa un largo numero di startup, anche quelle di poco interesse o per cui si renderebbe necessaria un’ulteriore analisi. Insomma servirebbe una maggiore scrematura alla fonte, spesso invece gli incubatori sono pieni di ragazzini appena usciti dal liceo ai quali si promette un futuro da nuovi Zuckerberg invece che da più modesti, e forse maggiormente necessari, professori, medici, ingegneri e sistemisti, che abbiano in testa l’innovazione da non tradursi, necessariamente, in un’app.