Stampanti rivoluzionarie che costruiscono edifici? “Con D-Shape si può”

Stampare edifici con macchine 3D ideate apposta allo scopo è possibile? Una delle tecnologie più innovative, che sta prendendo piede ovunque nell’industria e nella produzione, è la stampa appunto tridimensionale di oggetti reali. Tra i maggiori casi di successo a livello non solo italiano, ma mondiale, sembra essere D-Shape, ideata e sviluppata dall’ingegnere pisano Enrico Dini. Si tratterebbe di una tecnologia davvero rivoluzionaria, in grado, secondo il suo inventore, di “costruire tra l’altro case ed edifici a partire da file CAD. La costruzione di case è possibile, almeno a livello teorico, grazie all’utilizzo della stampante e dell’innovativo sistema che ho ideato”, ci spiega lo stesso Dini nel corso di un incontro. Ingegnere, inventore, esperto di progetti d’automazione e grande appassionato di architettura, Dini ha alle spalle una lunga carriera nell’industria calzaturiera.

Come nasce un’idea rivoluzionaria

“Negli anni ’90 c’è stato un periodo di crisi profonda del settore nel nostro paese, che ha portato le principali aziende a spostare la produzione all’estero, dove i costi del lavoro sono più bassi. La sfida era ideare una tecnologia nuova, che potesse aiutare a rendere ancora competitivo il sistema in Italia”. Nel campo del design in particolare, ma non solo, esistevano delle macchine per il “rapid prototyping”, ovvero la realizzazione di modelli di tacchi e suole per scarpe. Si trattava di sistemi che risparmiavano tempo e risorse rispetto alla prototipazione tradizionale. “Il prestigioso Mit di Boston, il Massachusetts Institute of Technology, aveva inventato una macchina nuova, poi data in licenza alla Z-Corp di Burlington, Massachusetts: partendo da una normale stampante inkjet, aveva aggiunto un asse verticale, sostituito i fogli di carta con polvere finissima, e invece di stampare con l’inchiostro, la macchina stampava un legante che incollava tra loro gli strati di polvere sovrapposti”.

 

 

L’idea di Dini trae origine anche da lì. “Ma con la mia tecnologia c’è una differenza sostanziale – ci tiene a precisare – perché quella macchina stampava oggetti reali solo di piccole dimensioni. Io invece stampo con sabbia meno fine, e oggetti incomparabilmente più grandi”. In Italia le cose per Dini cominciano a prendere il volo nel 2004. In quell’anno l’inventore intuisce, nel corso di una presentazione delle funzionalità della stampante per creare parti metalliche e pistoni per una casa automobilistica, che la stessa tecnologia può essere impiegata al fine di creare addirittura edifici…

Leggi anche:  Con Lenovo Neptune, il più grande supercomputer universitario d’Italia diventa più sostenibile

Quattro chiacchiere con Enrico Dini – D-Shape

 

 

Stampare edifici

“Nella macchina che ho sviluppato io, a partire da un file CAD che consente massima libertà nella progettazione delle forme architettoniche, si passa il disegno alla stampante, la quale lo riproduce a grandezza reale, costruendo l’oggetto strato dopo strato a partire dal basso verso l’alto”. La macchina è piuttosto grande e con i suoi bracci occupa 36 metri quadrati. La testa di stampa è formata da trecento ugelli. Ogni strato di sabbia che viene stampato ha uno spessore di 5-10 millimetri, ed è incollato agli altri strati da un legante costituito da materiale inorganico. “Il procedimento permette di passare dalla fase di progettazione fatta a computer, direttamente alla realizzazione, saltando le fasi intermedie che finora erano necessarie per qualsiasi tipo di costruzione. Parliamo di stampi per creare le forme degli elementi costruttivi, di attrezzaggio delle strutture e di preparazione di tutti i lavori in cantiere per passare dal progetto dell’architetto alla fase realizzativa”.

 

Si può quindi prevedere, spiega Dini, un significativo risparmio a livello di tempo e costi, un miglioramento anche della sicurezza sul lavoro, perché la macchina non ha bisogno dell’intervento umano per funzionare, solo di personale specializzato che la sappia gestire. “Si profila quindi una vera e propria rivoluzione in un ambito centrale del vivere umano, come appunto la costruzione di edifici e abitazioni. Il tutto avviene usando materiali locali, sabbia o altro, che però sia granulare”. Se la tecnologia può funzionare in linea di principio, e alcuni esperimenti lo dimostrerebbero (progetti di case a un piano nella valle dell’Hudson in America e di villette in Sardegna, sculture dalle forme avveniristiche già collocate in ambienti pubblici a Pisa), Dini ammette tuttavia alcune debolezze del sistema. Le funzioni statiche e di resistenza del materiale, per esempio, devono essere migliorate. “In termini tecnici si parla di isostatiche di compressione e di trazione. In pratica il materiale è forte in fase di compressione perché è a tutti gli effetti roccia stampata, ma non è altrettanto solido quando vi si esercita una trazione. Forse però alcuni tipi speciali di microfibre possono risolvere il problema. Basterebbe aggiungerle all’impasto iniziale di sabbia con cui si stampano le case”.

Leggi anche:  Brother trionfa agli "iF DESIGN AWARD 2024"

Dalla barriera corallina ai viaggi spaziali

Uno dei progetti attualmente in fase di realizzazione riguarda invece la costruzione o sostituzione di parti di barriera corallina, nelle aree dove questa protezione naturale è stata danneggiata a causa dell’innalzamento del livello del mare o per l’inquinamento e l’azione dell’uomo. Australia e Bahrein sono due paesi in cui si sta portando avanti il progetto, che apre interessanti prospettive a livello di uso della tecnologia a favore dell’ambiente e per tutelare l’ecosistema locale. Dini parla a questo proposito di “coastal restoration” e “maritime engineering”. La sua tecnologia è particolarmente adatta a un simile tipo di impiego perché la D-Shape utilizza come inchiostro particolari leganti proprio a base di sostanze marine: si prelevano le sabbie del fondale oceanico, le si stampa trasformandole in reef artificiale, poi le si colloca nuovamente in mare. “Anche i pesci sembrano apprezzare il progetto. Il nuovo habitat artificiale è un’ottima casa per loro “, ci spiega Dini. Un’altra area di grande interesse sono le implicazioni di D-Shape per i viaggi spaziali. L’Esa – Agenzia Spaziale Europea – ha elaborato un progetto per portare sulla Luna un lander, un piccolo veicolo al fine di condurre ricerche ed esperimenti.

 

 

Il veicolo potrebbe portare con sè una stampante 3D per stampare bunker e rifugi per gli astronauti. Ma non solo. “Quando si va nello spazio uno dei problemi sono i raggi cosmici, che qui sulla Terra sono schermati dall’atmosfera ma su altri pianeti no. Si potrebbero stampare mattonelle di sabbia lunare da assemblare come schermatura per assorbire le radiazioni, e al contempo proteggere le basi lunari dai micrometeoriti, proiettili di roccia che viaggiano a velocità altissime e che possono trapassare il corpo umano, anche se protetto dalla tuta spaziale”. Dalla Luna, usata come stazione intermedia, si potrebbe poi prolungare il viaggio, destinazione Marte. E anche in questo caso una stampante 3D potrebbe rivelarsi parecchio utile, fabbricando in situ tendenzialmente tutto ciò di cui si ha bisogno. “L’era delle colonie umane extraterrestri forse è ancora lontana, ma spero venga il giorno in cui riuscirò a vedere una realtà simile resa possibile anche dalla mia tecnologia”.

Leggi anche:  Axis presenta il SoC ARTPEC-9 per immagini, analitiche con IA e cybersecurity di nuova generazione

Il sogno più grande

Infine l’ultimo progetto, quello più “visionario” come lo definisce lo stesso Dini, consiste nel creare vere e proprio cattedrali nel deserto. “E’ il sogno della mia vita”, commenta l’inventore di D-Shape. Il deserto, uno dei luoghi più inaccessibili sul pianeta. “Immaginiamo immense distese di sabbia che si perdono all’orizzonte. Valore economico zero. Nessuna attività umana può svilupparsi in queste condizioni. La domanda, anzi la sfida, è: si riesce a convertire questo apparente, infinito nulla in un business che favorisce e supporta le attività antropiche?” In Kuwait la risposta dell’ingegnere pisano aveva preso forma nel progetto di trasformare aree di chilometri quadrati di sabbia in oasi verdi abitabili, costruendo immensi alberi di pietra stampati con la sabbia locale. Alberi alla cui ombra il terreno potesse respirare e ristorarsi dal caldo opprimente, mentre il suolo verrebbe reso impermeabile a certe profondità e trasformato in terreno fertile. Una foresta artificiale non solo stampata grazie alle risorse del deserto, ma resa anche abitabile sfruttando i primi metri di altezza degli alberi, ricavando una serie di appartamenti all’interno di essi.

 

 

“Sarebbe un cambiamento enorme, non solo per l’edilizia ma anche per il nostro modo di immaginare e progettare gli spazi urbani. Pensiamoci: trasformare la sabbia in denaro, darle un valore economico. Costruire città e innescare lo sviluppo dove ora non esiste che polvere, sarebbe semplicemente fantastico”. La tecnologia per costruire qualcosa di grande, di davvero rivoluzionario, ci sarebbe già oggi. Il senso etico del proprio lavoro è l’aspetto più profondo, che Dini ci lascia come suggestione alla fine del nostro incontro. “Io sono un inventore, e mi nutro di sogni. La mia ambizione ultima è trasformare il mondo per trasformare in meglio la vita delle persone. Spero che un giorno, tecnologia e società possano davvero evolvere insieme per dare più opportunità a tutti, e creare un mondo più giusto dove l’esistenza stessa possa essere più libera e creativa”.