Inaz ‘fotografa’ il nuovo volto del direttore del personale

Chi è, dov’è, che cosa fa e che cosa vorrebbe fare il “capo delle HR” in una ricerca condotta con il gruppo Este presentata a Milano

Direttore del personale, responsabile “HR”, o Human Resources, chiamatelo come volete: la figura di chi organizza la struttura del personale in azienda è una realtà presente professionalmente in tutte le organizzazioni di grandi dimensioni e in pressoché tutte quelle di medie dimensioni, ma è anche una figura con compiti e implicazioni spesso differenti.

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Una “fotografia” è stata scattata direttamente sul campo grazie ad una ricerca promossa da Inaz, la maggiore società italiana dedicata alle soluzioni per la gestione del personale, in collaborazione con il gruppo Este e con il contributo scientifico della società di ricerche Simulation Intelligence.

L’indagine, condotta con interviste ai responsabili della funzione di 300 aziende al di sopra dei 100 dipendenti, evidenzia un quadro non privo di sorprese, proprio nella definizione di figura, ruoli, compiti e aspettative: uno spaccato di luci e ombre nel quale emergono anche le attese di una categoria che, spesso, vorrebbe poter contribuire maggiormente a scelte operative e strategiche della propria azienda.

“Storici”, “emergenti” e “new entry”: che cosa cambia

Ma chi è questo direttore del personale? Come ci si può attendere, la figura è prevalentemente presente – come ruolo professionale autonomo – nelle aziende di maggiore dimensione, che, a loro volta, sono maggiormente diffuse al nord. Si tratta di un manager, tipicamente tra i 40 – 55 anni, con una significativa esperienza professionale e con una prolungata anzianità nella funzione (per due quinti oltre i dieci anni e per un quinto oltre i venti). Per il 35% – secondo le rilevazioni del campione statistico considerato – si tratta di donne, un valore che, sottolinea il direttore della ricerca Bruno Patierno, presidente di Simulation Intelligence, è più che doppio rispetto alla media dei dirigenti aziendali di prima linea per le altre funzioni.

L’elevata permanenza nella funzione non è tuttavia considerato un fatto necessariamente positivo. Due, infatti, sono gli aspetti negativi che gli stessi direttori del personale lamentano: da una parte una scarsa trasversalità, con limitate esperienze in altri ruoli e funzioni aziendali, e, insieme, una relativamente bassa incidenza nelle “sale di comando” dell’azienda. In altri termini, i dirigenti di questa funzione ritengono di svolgere un ruolo strategico inferiore a quanto vorrebbero e anche di non essere troppo informati. Insomma, ci sarebbe anche un problema di comunicazione interna e di concorso decisionale.

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In compenso, si tratta di una professione aziendale che offre opportunità a profili differenziati. L’indagine evidenzia infatti la presenza di tre tipologie prevalenti:

a) il gruppo prevalente (46%) degli “emergenti”, che sono dei “quasi giovani” attorno ai 40 anni, più spiccatamente maschile ma anche con una certa presenza femminile, nella funzione da 4 – 10 anni, per lo più nel Nord Italia, in imprese private italiane ed estere

b) gli “storici” (46%), attorno ai 50 anni, quasi esclusivamente uomini, prevalentemente in aziende familiari, fortemente specializzati e con poche “contaminazioni” con altre funzioni

c) le “new entry” (19%), che sono il gruppo più innovativo: trentenni, con molte donne, legati a realtà particolarmente dinamiche (aziende nel Nord, spesso filiali di multinazionali estere), provenienti da altre funzioni, come Finanza, Direzione generale, Marketing e destinati, dopo l’esperienza nel Personale, ad affrontare nuovi incarichi per un processo di maturazione professionale più completo e moderno.

Alta specializzazione e limitata visione orizzontale, competenza tecnica, ma non necessariamente contributo innovativo sono gli aspetti che gli stessi “addetti ai lavori” danno di se stessi. L’autonomia decisionale, in particolare, è considerata buona – in linea con i livelli auspicati – per ciò che riguarda gli aspetti relativi all’ “amministrazione” del personale, quindi le “technicalities” operativo–amministrative, mentre si auspica una maggiore autonomia in temi come la gestione delle risorse umane, le politiche formative, le relazioni industriali. Cinque intervistati su sei ritengono che questo quadro sia destinato a restare costante anche in futuro, mentre gestione delle risorse umane e politiche formative sono le aree in cui ci si potrà attendere una maggiore dinamica.

“Nel corso di questi anni i compiti della Direzione del Personale sono significativamente cambiati, almeno per quanto riguarda le aree di intervento della struttura nel suo complesso”, ha sottolineato Linda Gilli, Cavaliere del Lavoro e Presidente di Inaz. “Un esempio di questa tendenza è lo “scaricamento” da parte delle aziende delle attività più routinarie, come l’amministrazione del personale, che, anche nelle aziende medio-grandi, in passato era largamente mantenuta all’interno delle organizzazioni stesse e oggi è progressivamente affidata a specialisti esterni, in un’ottica di esternalizzazione totale o selettiva, resa ancor più in linea con le esigenze di aggiornamento tecnico e normativo di un quadro in continua evoluzione.

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Il nostro compito – ha continuato Linda Gilli – è quello di essere a fianco delle aziende e delle Direzioni del personale per fornire loro gli strumenti per essere sempre più allineati alle nuove esigenze e migliorare la capacità di indirizzo strategico”.

I numeri della ricerca: chi fa che cosa nella Direzione del Personale

L’indagine mostra che i responsabili sono per lo più uomini, ma con una rilevante presenza femminile (65% e 35% rispettivamente), concentrati nella fascia d’età tra i 45 e 54 anni (40%), oltre ad una apprezzabile presenza degli “over 55” (17%). Il 45% ha un’anzianità di funzione tra i 4 e i 10 anni, ma un altro 20% è “sul pezzo” da 11 a 20 anni e il 18% da oltre 20 anni: valori che indicano una notevole stabilità della funzione, che tuttavia può rappresentare anche un handicap in un momento in cui le aziende chiedono sempre più conoscenze interdisciplinari. Il 60% degli intervistati ha sempre operato nell’ambito della Direzione del Personale, una percentuale pressoché analoga (il 57%, mentre il 6% risponde “non so”) afferma di ritenere preferibile un percorso di carriera più “trasversale”.

Come ci si può attendere, la presenza della funzione “Direzione del Personale” si concentra soprattutto nelle grandi aziende e, non a caso, nel centro–nord. Il 42% degli intervistati opera in aziende con oltre 500 dipendenti, che rappresentano il 14% del campione. Viceversa, il 37% si trova presso le aziende medio-piccole, comprese tra i 100 e i 250 dipendenti, che pure sono il 68% del campione. Più equilibrata la situazione presso le medie aziende, quelle comprese tra i 250 e i 500 dipendenti, che rappresentano il 18% del campione esaminato e il 22% degli intervistati.

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La ricerca va tuttavia ben oltre l’analisi degli aspetti “demografici” per domandarsi quali siano i ruoli effettivi dei “capi del personale”. Si rileva che l’autonomia della funzione è generalmente buona. In una scala da 1 a 10 gli intervistati dichiarano piena autonomia (8,2/10) quando si tratta di amministrazione del personale, per scendere via via quando si tratta di gestione, di politiche formative, sviluppo delle persone (7,6), nelle relazioni industriali (7,4) e nella definizione dei contratti aziendali (7,3), aree queste ultime in cui gli interessati desidererebbero una maggiore autonomia (7,8 su 10).

Quanto alla distribuzione delle responsabilità, in tre aziende su quattro esiste un organismo direttivo, soprattutto nelle aziende quotate e nelle grandi aziende con oltre 500 addetti. Tuttavia in meno di un’azienda su tre esiste un Comitato di governance che si riunisce regolarmente e prevede la presenza della Direzione del Personale. Nel 68% dei casi, il Comitato non si riunisce con regolarità, oppure la Direzione del Personale non interviene. In ogni caso, la Direzione del Personale interviene con efficacia nei processi organizzativi. Non solo concorre nell’86% dei casi a definire gli assetti organizzativi, ma per quasi la metà di questi casi (39% del totale generale) il suo contributo è definito rilevante.

Il contributo strategico della Direzione del Personale sembra però essere limitato alla funzione. E questo potrebbe coincidere con l’osservazione circa lo scarso carattere trasversale di questa carriera. Solo nel 31% dei casi, la Direzione del Personale contribuisce alle strategie finanziarie e nel 40% alle strategie di business, in entrambi i casi in modo peraltro poco incisivo.

A completare il quadro sono i dati sulla limitata informazione che la Direzione del Personale ha circa le azioni della sua azienda. Gli intervistati che dichiarano di essere informati “immediatamente” sono solo nel 44% dei casi per quanto riguarda le strategie finanziarie e nel 48% per le strategie di business, mentre l’informazione entro le 2 settimane successive alla decisione è rispettivamente del 31% e del 27%.