La contrapposizione radicale tra industria proprietaria e open source appartiene ormai al passato. Appare ormai azzerata la battaglia ideologica tra piattaforme Windows e Linux. Non esiste sistema che in qualche modo non sia condizionato dalle comunità open source.
Difficile credere che Microsoft sia un’azienda che consideri l’open source una risorsa strategica nell’implementazione delle proprie soluzioni. Eppure così è, o quanto meno è ciò che si può affermare dalla testimonianza diretta di Gianugo Rabellino, personaggio di spicco del mondo open source, fondatore e Ceo di Sourcesense nonché vice presidente del progetto Apache Xml, da settembre approdato in quel di Redmond nel ruolo di senior director nell’ambito dei programmi di interoperabilità di Microsoft.
Rabellino non avrebbe mai e poi mai pensato che la sua esperienza l’avrebbe portato a lavorare in Redmond. Ma la realtà a volte supera l’immaginazione. «Sono rimasto sorpreso dall’impegno e risorse che Microsoft dedica all’open source. La cultura è ormai profondamente cambiata e la capacità di sviluppare un ambiente aperto è ritenuta fondamentale per il successo delle iniziative più critiche».
Dal Web, al Cloud, al mobile tutte le prospettive tecnologiche più interessanti su cui una grande azienda come Microsoft è coinvolta sono condizionate e profondamente influenzate da iniziative open source. L’opinione di Rabellino è che interoperabilità e apertura siano concetti che non possono essere raggiunti compiutamente senza tenere in considerazione e assimilare le logiche che vengono espresse dal mondo open source.
«Non stiamo parlando di sistemi operativi. Il codice di un sistema sviluppato in una logica proprietaria non determina una preclusione incondizionata all’open source. Quest’ultimo – afferma Rabellino – è l’elemento che permette di creare l’apertura e sostenibilità del business in un mondo eterogeneo e altamente diversificato. Non potrebbe essere altrimenti. E la consapevolezza di Microsoft su questi aspetti è totale».
Eppure la battaglia tra grandi aziende si gioca proprio sulla sostanziale differenza del modello di business, open o non open. Si pensi al mercato mobile e ai modelli diametralmente opposti offerti in questo momento da Google e Microsoft. Da una parte Android, piattaforma open Linux-based, dall’altra Windows, piattaforma proprietaria.
A questo proposito Rabellino tiene a sottolineare che «l’effetto “open” farebbe ipotizzare una ricaduta tangibile di vantaggi per gli utenti, in conseguenza della disponibilità di un prodotto come Android, ma in realtà non ne porterà poi molti. La differenza tra l’uno e l’altro approccio è debole. Occorre invece la capacità di sviluppare un ecosistema di interfacce con la tecnologia con cui si confrontano i sistemi operativi.
Se si segue questo tipo di ragionamento – continua Rabellino – ci si accorge che la politica perseguita da Google è sostanzialmente fondata su una pratica commerciale che può essere definita, senza tanti mezzi termini, come una politica di dumping, ovvero un approccio che consente di immettere sul mercato un prodotto alternativo a prezzi inferiori».