Leggo di un nuovo progetto sponsorizzato da Google e che viene chiamato in codice inSight, ovverosia una tecnologia composta da un paio di occhiali particolari connessi a uno smartphone – e quindi alla rete – che permetterebbero il riconoscimento automatico di una persona.
Sviluppata, a quanto viene citato dalle fonti, dal professore Shihari Nelakuditi dell’Università della Carolina del Sud, si tratterebbe per l’esattezza del riconoscimento automatico del nome e cognome di una persona che si osservi semplicemente attraverso questi mirabolanti google glass (così si chiamerebbero gli occhiali); in pratica una volta captata l’immagine, verrebbe avviata in rete una ricerca su tutti i contenuti pubblici disponibili (social network et similia) che li confronterebbe con l’impronta visiva scannerizzata, ricavando alla fine le generalità della persona, visualizzate poi sullo schermo degli occhiali stessi. Sempre secondo queste fonti, per non incorrere in problemi di privacy, il riconoscimento sarebbe possibile solo la prima volta.
Se si dovesse incrociare nuovamente la persona indossante gli stessi vestiti, la ricerca non porterebbe ad alcun frutto. Sarà, siccome però difficilmente ce ne andiamo in giro senza mai cambiarci – almeno fino a quando la perdurante crisi economica in atto non ci costringerà prima o poi in tal senso – a meno che in rete non abbiamo inserito immagini o video di noi che ci ritraggono con gli stessi indumenti, va da sé che molto probabilmente questa ipotetica “schedatura volante” potrebbe non avere di fatto praticamente confini. Anche se l’obiettivo principale che si prefigge questa nuova tecnologia ha fine sociale sicuramente condivisibile, permettendo alle autorità il riconoscimento veloce di persone violente e facinorose prima che possano fare danni (penso ad esempio all’ingresso degli stadi oppure in luoghi pubblici a rischio attentati), non si può fare a meno di avere parecchie perplessità. Le stesse, ad esempio, che seguirono l’introduzione negli aeroporti dello scanner che permetteva agli operatori di distinguere qualsiasi cosa avessimo addosso e quindi restituire di noi un’immagine completamente “a nudo”, ricordate? In ogni caso l’argomento “occhiali particolari” insieme a questo ultimo accenno che ho fatto sugli scanner aeroportuali, hanno sollecitato le mie sinapsi in modo speciale, restituendo alla mia memoria situazioni di alcuni decenni fa quando, ragazzino, leggevo sui giornaletti del tempo, quali intrepido o monello, pubblicità relative a fantastici “occhiali a raggi X” che scaldavano la nostra irrequieta e acerba sessualità adolescenziale, perché promettevano di poter osservare dietro ai muri o sotto i vestiti.
Mi ricordo di ampie e fantasiose discussioni in tal senso con gli amici e il tutto rimase confinato quasi nel mito. Almeno fino ad ora perché, incuriosito, mi sono di nuovo accostato alla rete e ho trovato notizie di una ricerca condotta da due scienziati – Kenneth e Dae Yeon Kim – che promette di sfruttare le frequenze nella gamma dei terahertz per produrre dispositivi che si avvicinano agli occhiali a raggi X della mia giovinezza. Pensate: se si potesse coniugare la tecnologia dei google glass con quest’ultima scoperta, avremmo allora veramente a nudo chi ci starà di fronte, sia dal punto di vista “anagrafico” che “corporale”. A quando una tecnologia che potrà svelarci anche l’anima? Sempre che sia veramente qualcosa che ci piacerebbe avere…Meditiamo, Gente, meditiamo 🙂
Tratto dall’editoriale della newsletter di DMO. Per iscriverti alla Newsletter registrati al portale cliccando qui
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