Quella di ieri è stata una lunga giornata per Alberto Quadrio Curzio. L’Università Cattolica di Milano gli ha dedicato un intero ciclo di studi culminato con il convegno di presentazione del volume “Economia come scienza sociale. Teoria, istituzioni, storia”, che raccoglie saggi in onore dell’accademico dei Lincei e professore emerito di Economia politica.
Alberto Quadrio Curzio non ha voluto – però – far mancare il suo contributo anche all’incontro organizzato da Inaz, dal titolo “Economia sociale di mercato e umanesimo d’impresa”, che ha segnato l’inizio di una nuova riflessione di Inaz sul mondo imprenditoriale, «non più rivolta solo all’interno dell’universo aziendale», ma proiettata verso l’esterno, dove l’azione degli imprenditori – in termini di scelte di business, ma anche di lavoro e di organizzazione – diventa un agire in qualche modo “politico”, nel senso di una visione multifattoriale della società e della storia.
«Da sempre Inaz crede in un’azienda responsabile e fatta da persone responsabili nei loro diversi ruoli: un’azienda che ha obiettivi di business senza dimenticare il suo impegno verso la società» ha dichiarato Linda Gilli, Cavaliere del Lavoro e presidente e amministratore delegato di Inaz.
ECONOMISTI SENZA APPELLO?
La sentenza della crisi che non passa, lascia alla sbarra la maggioranza degli economisti, non solo responsabili di non aver previsto la crisi, ma – cosa ancora più grave – di continuare a negarla, dimostrando di non avere imparato la lezione. Per l’economista d’impresa Marco Vitale, «il 90% degli economisti sono colpevoli per non aver compreso con sufficiente rapidità le conseguenze del tracollo del credito sull’economia reale». Con la lettura della sentenza non è arrivata però alcuna condanna esemplare. «La crisi non è capita, né superata». C’è poco da fare: «Quando la realtà non è conforme a quanto gli economisti avevano previsto, la colpa non è loro. È sempre e solo della realtà che si è sbagliata». La lezione che dobbiamo affrontare è di natura culturale. «Dobbiamo cercare le ragioni della crisi nella irresponsabilità dei comportamenti, se non vogliamo fare come Don Ferrante, che di fronte alle peste dichiarava, che trattandosi del risultato della fatale congiunzione di Saturno e Giove, non c’erano cautele da prendere e non restava che aspettare». Per Vera Negri Zamagni, che insegna storia economica e integrazione economica europea presso l’Università di Bologna «la giustizia sociale, la legalità e la responsabilità esercitata dai cittadini sono la chiave di volta di un sistema economico di tipo sociale. La cittadinanza sociale deve precedere quella economica. Bisogna uscire dalla contrapposizione tra Stato e Mercato, per recuperare il ruolo attivo della società nel processo democratico di decisione. Bisogna uscire dalla visione risarcitoria di un “welfare state” in grado di intervenire solo dopo e anche male, per porre rimedi a situazioni che si sarebbero potute evitare, con un maggior controllo sul rispetto delle regole. La questione dell’Ilva di Taranto è un esempio di de-responsabilizzazione del welfare dei cittadini, stratificato in decine di anni di politiche del territorio, praticamente assenti».
Forse, per questo in Italia non esiste una parola per tradurre in modo efficace “accountability”?
NUOVE IDEE E NUOVE PRATICHE?
Per Marco Vitale per uscire dalla crisi bisogna abbandonare idee vecchie e pericolose come l’ossessione per il valore dei dividenti degli azionisti. «Questo tipo di prospettiva ha rappresentato una visione di successo troppo ristretta e in molti casi miope». Cita Goethe – Marco Vitale – per ricordare che «non c’è conflitto tra teoria e pratica, ma esiste conflitto tra cattiva teoria e buona pratica e tra buona teoria e cattiva pratica».
Molte idee nuove, sono idee antiche da rimettere al centro. «È caduta l’economia di carta, che non era frutto del lavoro, della produttività, della creatività e dell’impegno dell’uomo. L’economia di carta ha avuto molti sacerdoti e ha avuto anche i suoi premi Nobel. Ci hanno detto che il darwinismo sociale era il motore dello sviluppo e che la solidarietà sociale era un freno. Ci hanno raccontato che la divaricazione tra ricchi, sempre più ricchi, e poveri, sempre più poveri, sarebbe stato uno stimolo all’economia (trickle-down economics). Ci hanno fatto credere che la privatizzazione di tutti i beni e servizi, anche quelli essenziali, era l’unico modo per difenderci dall’inefficienza dello Stato sprecone». Dopo la nazionalizzazione di gruppi bancari privatissimi, possiamo ancora credere che sia così? «Bisogna ricucire molte ferite, tra cui l’abolizione della separazione, tra attività bancaria tradizionale e investment banking». Il Glass-Steagall Act del 1933 voluto da Roosevelt per rispondere alla crisi del ’29, fu votato in tre mesi e fu abrogato dall’amministrazione Clinton, altrettanto velocemente, nel silenzio generale. Oggi, perché non si riesce a varare un provvedimento altrettanto incisivo in tempi rapidi?
OLTRE IL BUSINESS
“Economia oltre la crisi. Riflessioni sul liberalismo sociale” è il titolo del saggio-intervista, di Alberto Quadrio Curzio e Stefano Natoli. La prefazione del libro curata dall’amico e compagno di università, Romano Prodi, è un contributo a recuperare i valori della dottrina sociale della Chiesa alla luce della contemporaneità, «i valori e gli ideali giudaico-cristiani, della civiltà greco-romana, dell’umanesimo, del rinascimento, dell’illuminismo, dell’eurodemocrazia, come visioni di popoli e di stati». Nella prima parte del volume sono approfonditi i temi del rapporto tra economia e istituzioni come caratterizzante l’economia politica, della costruzione di un’economia europea e della sua attuale crisi, della dinamica e competitività dell’economia italiana. La seconda parte sviluppa i temi di teoria economica e storia del pensiero economico, di economia delle risorse naturali e ambientali, di economia dell’innovazione tecnologica che mettono in evidenza la validità e la vitalità di specifiche idee sul ruolo dell’economia come scienza sociale orientata al progresso civile e al bene comune. Per Alberto Quadrio Curzio occorre riflettere su come «la sussidiarietà e la solidarietà per lo sviluppo dovrebbero essere al centro dell’agenda italiana ed europea. I capitani di industria e i manager devono essere consapevoli di essere attori del cambiamento, perché l’umanesimo imprenditoriale non sia un ossimoro, ma un modo di concepire l’attività di impresa nella storia».